Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Il 15 maggio 2003 il Tribunale di Milano, divenuto competente a seguito di sentenza del Tribunale di Ancona del 6 aprile 1999, per quel che interessa in questa sede, accoglieva la domanda proposta dalla T.S. s.r.l. di Sergio Tontarelli e Gabriella Mazzola nei confronti di B.F., C.F. e V. P., che avevano prestato garanzia personale con scrittura privata del 2 luglio 1990 a favore della T.S.s.r.l. e a favore dei coniugi T., cui la società FAMONT s.r.l., quale unica socia della società Merida, aveva ceduto la sua partecipazione con due distinti atti notarili nella misura del 99% alla T.S. e dell’1% ai coniugi, condannando i convenuti al pagamento in loro favore della somma di Euro 198.811,26, oltre interessi e spese.
Su gravame dei convenuti, la Corte di appello di Milano il 30 dicembre 2005 riformava integralmente la sentenza di primo grado e condannava le appellate, ossia la M.G. e la T.S. alle spese del doppio grado del giudizio. Avverso siffatta decisione propongono ricorso per cassazione la T.S. s.r.l. e M. G., affidandosi a tre motivi.
Resistono con controricorso gli originari convenuti, appellanti. Le ricorrenti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
Va preliminarmente precisato che il ricorso non necessita dei quesiti di diritto, essendo diretto contro sentenza emessa prima del 2 marzo 2006. 1. – In punto di fatto, va posto in rilievo che la T.S., M. G. e T.S., il quale in seguito rinunciò agli atti del giudizio, avevano acquistato da FAMONT s.r.l., avente causa da MI.TO.FIN s.r.l. la quota della società MERIDA pari all’intero capitale della stessa.
Il giorno del perfezionamento della cessione delle quote, che risultavano gravate da pegno in favore di terzo, in virtù di un atto unilaterale di garanzia, sottoscritto il 2 luglio 1990, i convenuti prestarono garanzia personale, garantendo:
1) la piena proprietà e disponibilità di quanto ceduto a T.S. e a M.G. il 13 luglio 1990 dalla società FAMONT, unica socia della MERIDA, ovvero del 99% alla T.S. e dell’1% ai coniugi M. e T., in regime di comunione legale;
2) la veridicità ed esattezza della situazione patrimoniale della MERIDA (e segnatamente dell’immobile consistente il capitale della società);
3) l’esatto e puntuale adempimento di ogni obbligo nascente dalla legge e dall’atto di cessione delle quote sociali a carico della cedente FAMONT nei confronti degli acquirenti delle quote stesse.
Poco meno di un anno dopo la LADA, nuova denominazione sociale della MERIDA, fu convenuta in giudizio, unitamente ai nuovi soci, ossia T.S. e M., avanti al Tribunale di Torino da N. G., creditore di Ca.Ma., come terzo socio della MERIDA. Il N., a garanzia del proprio credito verso il Ca., aveva costituito un pegno sulla sua quota, annotandolo mediante trascrizione nel libro dei soci. Quando fu stipulata la cessione delle quote della MERIDA, appartenenti alla FAMONT, l’atto era stato trascritto nel libro dei soci, la cui ultima annotazione (prima della cessione), sottoscritta da V.P., uno dei garanti, intervenuto quale cedente in rappresentanza sia quale amministratore delegato della MI.TO.FIN. e sia quale amministratore delegato (certificante la cessione) della MERIDA era redatta nel senso che la MI.TO.FIN., in persona del suo amministratore delegato – il V. – cedeva quote di nominali di L. 20 milioni, costituenti l’intero capitale della FAMONT, di cui amministratore era D.M. (cessionario).
In merito al pegno costituito dal N. a garanzia del proprio credito verso il Ca., il titolare dei diritti aveva eccepito la inopponibilità a se stesso della cessione della quota avvenuta successivamente alla costituzione, tra cui quella di Ca.
(che, nel frattempo, ne era rientrato in possesso), a MI.TO.FIN e da quest’ultima alla FAMONT, dante causa della T.S. e di M. G..
Il Tribunale di Torino accoglieva la eccezione di inopponibilità delle cessioni intervenute in tempo successivo alla costituzione del pegno e la sentenza passava in giudicato dopo la decisione della Corte di cassazione del 28 ottobre 1997.
La T.S. e la M. facevano allora valere la garanzia di cui alla scrittura del 2 luglio 1990 e chiedevano al Tribunale di Ancona di condannare i garanti in solido al pagamento delle somme occorrenti per liberare del pegno la quota da ciascuno di essi acquistata.
Il Tribunale di Ancona si dichiarava incompetente per territorio e la causa veniva riassunta avanti al Tribunale di Milano, che accoglieva la domanda e condannava in solido i convenuti al pagamento di Euro 198.811,26 pari all’importo complessivamente versato al N. per ottenere la liberazione della quota della MERIDA (ora LADA), gravata dal pegno, oltre spese di lite.
La Corte di appello, con la sentenza oggi impugnata, riformava integralmente la decisione.
2. – Ciò posto in rilievo, osserva il Collegio che tutto il ricorso si incentra, pur attraverso la formulazione e la stesura delle censure, sulla interpretazione della prestata fidejussione, attuando la quale il giudice dell’appello sarebbe incorso nella violazione delle regole ermeneutiche di cui agli artt. 1362 e 1363, nonchè dell’art. 1369 c.c., in quanto avrebbe ritenuto circoscritto il contenuto della garanzia, nel senso che esso si riferiva al patrimonio della società ceduta – la MERIDA, escludendo la proprietà delle quote cedute.
Ad avviso delle ricorrenti, la causa concreta di quella fidejussione sarebbe stata individuata nella funzione di garantire la consistenza patrimoniale della società, una volta applicati i criteri di interpretazione storica della volontà delle parti e di cui agli artt. 1362-1363 c.c. (primo motivo: violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3; e pure come si vedrà al secondo motivo, anche se sotto altro profilo).
3.-Al riguardo, e per verificare se tale approccio interpretativo sia rinvenibile e immune da censure nella sentenza impugnata, il Collegio rileva in linea di principio che, come è ormai acquisito, in dottrina e in giurisprudenza, le varie regole legali di interpretazione del contratto sono dominate dal principio di gerarchia, nel senso che le norme di cui agli artt. 1362 e 1363 c.c., hanno prevalenza su quelle c.d. integratrici (artt. 1365-1371 c.c.), essendo evidente che la determinazione oggettiva del significato da attribuire alla dichiarazione non ha ragion d’esser quando la ricerca subbiettiva conduca ad un utile risultato, ossia escluda da sola che le parti abbiano poste in essere un determinato rapporto giuridico.
Questi criteri non possono portare ad una dilatazione della portata del contenuto negoziale con l’individuazione di diritti ed obblighi diversi da quelli ivi contemplati o con la eterointegrazione dell’assetto negoziale previsto dai contraenti nemmeno se questo adeguamento si presenti in astratto idoneo a ben contemperare i loro interessi.
3.-Ciò affermato in linea di principio, osserva la Corte in ordine al primo motivo, con il quale viene prospettata la violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., che il giudice dell’appello ha esaminato il tenore letterale dell’art. 3 del negozio di garanzia e ne ha dedotto che i garanti si limitarono a garantire anzitutto la piena proprietà e disponibilità di quanto (così) ceduto dalla FAMONT alla T.S. e alla M..
La Corte territoriale ha quindi sin dall’inizio mostrato di osservare il principio di gradualismo dei criteri interpretativi.
Infatti, la Corte, sempre attenta al tenore della clausola ha affermato che "quanto così ceduto" fosse sì poco precisa, ma, dall’esame complessivo della scrittura" anche estendendosene la portata fino a ritenere che con essa le parti intendessero riferirsi senz’altro alla quota sociale, piuttosto che ai singoli cespiti appartenenti alla MERIDA, come sembrerebbe più probabile alla luce delle ulteriori espressioni contenute nella clausola in esame, tuttavìa, anche in tal caso l’oggetto della garanzia non potrebbe comunque estendersi fino a comprendere eventi pregiudizievoli ed imputabili a soggetti diversi dalla FAMONT" (p. 9 sentenza impugnata).
E ciò trovava conforto nel fatto che il gravame per il quale il N. ottenne la declaratoria di inefficacia relativa alle cessioni di quote nei suoi confronti era un pegno costituito dall’ex socio Ca.Ma., e annotato mediante trascrizione nel libro dei soci, ossia una garanzia reale alla quale la FAMONT era del tutto estranea (p. 9 sentenza impugnata).
In altri termini il "quanto così ceduto" non poteva che riferirsi all’assicurazione che i garanti offrivano della libertà da oneri e gravami di qualsiasi genere dipendenti dalla gestione sociale della cedente FAMONT, per cui, ammesso e non concesso, che "quanto così ceduto" garantiva la disponibilità e proprietà della quota sociale ceduta, in realtà, si garantiva non la libertà della quota da qualsiasi onere o gravame, ma solo la libertà da quelli dipendenti dalla gestione sociale della FAMONT. Il giudice dell’appello, inoltre, si è fatto carico di esaminare, onde rafforzare il suo convincimento nella lettura della clausola n.3 anche di raffrontare le clausole n. 5 e 7 per dedurre che, avendo la cedente FAMONT ritenuto di garantire agli acquirenti la libertà delle quote da qualunque gravame dipendente non solo dalla sua propria gestione, ma anche dalla gestione della MERIDA, ossia in relazione anche a vicende anteriori alla sua entrata in società, la differenza di espressioni tra la clausola n. 3 e le clausole n. 5 e n. 7 rafforzava la conclusione che i garanti, noti e preparati professionisti, fossero ben consci del maggior rischio che si era assunta la FAMONT e, quindi, rilasciarono la propria garanzia unicamente e limitatamente alle esposizioni imputabili alla propria garantita – la MERIDA, secondo i dati patrimoniali loro forniti dalla cedente FAMONT nonchè alla libertà dei cespiti posseduti dalla MERIDA da ogni vincolo o peso.
E ciò, ad avviso del Collegio, sembra sufficiente per ritenere che la interpretazione della garanzia, così come formulata, da parte del giudice dell’appello non è affetta da alcuno dei vizi denunciati, come al terzo motivo, che sembra costituire, peraltro, una specificazione del primo, se non una sua duplicazione, come pure rilevano i resistenti, allorchè assumono che in presenza della clausola contrattuale di cui al n. 3 nella parte in cui è previsto "i sottoscritti garantiscono l’esatto e puntuale adempimento di ogni obbligo nascente dalla legge" e dal citato atto di cessione delle quote sociali a carico della cedente FAMONT nei confronti degli acquirenti delle quote stesse, in tal modo risultando rispettato nell’approccio interpretativo il principio gradualistico.
In merito a questa doglianza (motivazione erronea circa fatto decisivo e controverso per il giudizio – art. 360 c.p.c., n. 5) va, inoltre, rilevato che effettivamente questa parte della clausola non è presente nella motivazione della sentenza impugnata, ma per la semplice ragione che una volta approfondito ed accertato il senso logico della stessa, quale desumibile dal suo tenore letterale, dai fatti pregressi e connessi in qualche modo al giudizio de quo, il giudice dell’appello, pur non avendola espressamente richiamata, ha comunque individuato tra le clausole indicate quella avente ad oggetto la definizione "estensiva" dell’obbligo di garanzia, dovendosi osservare che in effetti la garanzia afferiva, dato il tenore letterale e la cadenza temporale con cui fu stipulata, al contratto di cessione con la intestazione e la proprietà delle quote della cedente ai due attuali ricorrenti.
Una volta operata tale ricostruzione sistematica, il giudice dell’appello ha ritenuto irrilevante pronunciarsi sul resto anche in considerazione del fatto che, come si legge nella sentenza impugnata ed è posto in rilievo con il primo motivo, quel giudice ha preso in considerazione le clausole n. 5 e n. 7 e le ha confrontate con quella di cui all’art. 3 della scrittura, concludendo che i garanti si fossero fatti carico solo di quanto ceduto dalla FAMONT perchè, essendo legali e commercialista non si sarebbero potuto spingere a garantire fatti che potevano essere anche assai remoti e magari anche illeciti (come un secondo libro soci), compiuti, perdippiù, da soggetti sconosciuti, quale l’ex socio Ca., di cui non potevano che essere all’oscuro (p. 11 sentenza impugnata).
In tal modo argomentando, il giudice dell’appello, sempre fedele al rispetto del principio del gradualismo, in termini rigorosamente obbiettivi ha individuato la vera intenzione delle parti, ossia la causa concreta del negozio posto in essere dai convenuti, ponendo anche in rilievo la iniziativa del N., le garanzie offerte dalla cedente, l’affidabilità dei dati patrimoniali da essa indicati. Anzi, proprio in riferimento alle considerazioni sopra esposte che dimostrano il corretto percorso metodologico seguito dal giudice dell’appello, va osservato che la sentenza impugnata non merita alcuna censura. Tutto l’iter argomentativo finora seguito appare, inoltre, conforme a quel criterio ultimamente elaborato dalla giurisprudenza (di recente n. 10298/02), in virtù del quale il giudice non può assolutamente ignorare tutte le convenzioni intercorse tra le parti o fermarsi ad una sola clausola contrattuale, perchè, come si evince dalla sentenza impugnata, le clausole sono state esaminate nel loro complesso logico-sistematico e se alcune di esse non sono state richiamate nella loro interezza è solo perchè, attraverso il processo logico seguito, il giudice del merito si è potuto convincere dell’oggetto della fidejussione quale effettivamente considerato e voluto dai contraenti.
4.-L’esame del secondo motivo (violazione dell’art. 1369 c.c. -art. 360 c.p.c., n. 3) a questo punto diventa irrilevante, in quanto, come è pacifica giurisprudenza, si tratta di criterio interpretativo- integrativo che non ha ragion di essere utilizzato, quando, come nella specie, la quaestio disputanda è stata risolta ex artt. 1362 e 1363, che hanno condotto ad un utile risultato, per cui l’ulteriore criterio, così come richiesto dalle ricorrenti, sarebbe inammissibile in quanto inducente a sostituire, da parte del giudice del merito, la propria soggettiva opinione all’accertata effettiva volontà dei contraenti. Peraltro, è appena il caso di aggiungere, che l’espressioni "così quanto ceduto", pur dichiarata poco precisa (v. p. 8 sentenza impugnata) è stata contestualizzata al fine di individuare la precisa volontà proprio attraverso l’approfondito accertamento della comune intenzione delle parti quale risultata dall’applicazione dei criteri principali.
Conclusivamente il ricorso va respinto, ma si rinvengono giusti motivi, per la complessità della vicenda, onde compensare integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.
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