Corte Costituzionale, Sentenza n. 391 del 2006, in tema di norme per l’impiego regionale e locale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 17 ottobre 2005 il Presidente del Consiglio dei ministri ha chiesto alla Corte costituzionale di dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1, commi 7 e 8, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 11 agosto 2005, n. 19 (Norme in materia di comparto unico del pubblico impiego regionale e locale nonché di accesso all’impiego regionale), per violazione degli artt. 5, 117, primo e secondo comma, lettera l), e 120 della Costituzione.

Prevedono le impugnate norme che, «in via transitoria, ai fini della definizione del primo contratto collettivo del comparto unico, rispettivamente, dell’area del personale dirigenziale e non dirigenziale, l’A.Re.Ra.N. ammette alla contrattazione, con pari dignità, le organizzazioni sindacali rappresentative sia del comparto del personale degli enti locali della Regione, sia del comparto del personale regionale, secondo la disciplina di cui ai commi 7 e 9 dell’art. 16 della legge regionale n. 13 del 2000» (comma 7) e che «l’A.Re.Ra.N. sottoscrive il contratto di cui al comma 7 verificando previamente, sulla base della rappresentatività accertata per l’ammissione alle trattative ai sensi del medesimo comma 7, che le organizzazioni sindacali che aderiscono all’ipotesi di accordo, indipendentemente se rappresentative nel comparto del personale degli enti locali della Regione o nel comparto del personale regionale, rappresentino nel loro complesso il 51 per cento del totale della rappresentatività definita dalla somma delle quote di rappresentatività ottenute, per ognuno dei comparti, dalla rideterminazione della rappresentatività delle singole organizzazioni sindacali in proporzione al rapporto intercorrente fra il personale in servizio a tempo indeterminato nel singolo comparto e il numero totale del personale in servizio a tempo indeterminato nell’intero comparto unico, alla data del 31 dicembre 2001» (comma 8).

Premette la difesa erariale che l’art. 4, numero 1, dello Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia, approvato con legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), attribuisce alla competenza legislativa esclusiva della Regione la materia dell’ordinamento degli Uffici e degli Enti dipendenti dalla Regione e dello stato giuridico ed economico del personale ad essi addetto, competenza da esercitarsi, peraltro, in armonia con la Costituzione, con i principi generali dell’ordinamento giuridico della Repubblica, con le norme fondamentali delle riforme economico-sociali e con gli obblighi internazionali dello Stato, nonché nel rispetto degli interessi nazionali e di quelli di altre Regioni.

Ricordato quindi che, ai sensi dell’art. 117, comma 2, lettera l) della Costituzione, la materia dell’ordinamento civile rientra nella potestà legislativa esclusiva dello Stato, si duole il ricorrente che la rappresentatività delle organizzazioni sindacali ammesse alla contrattazione collettiva venga individuata, dall’art. 1, comma 7, della legge regionale n. 19 del 2005, in base a criteri diversi da quelli stabiliti dal decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), posto che, mentre l’art. 43 di tale fonte esige, per l’ammissione alla contrattazione collettiva nazionale, da parte dell’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN), una «rappresentatività non inferiore al 5 per cento, considerando a tal fine la media tra il dato associativo e il dato elettorale», la disposizione impugnata, attraverso il rinvio all’art. 16, commi 7 e 9, della legge regionale 3 luglio 2000, n. 13 (Disposizioni collegate alla legge finanziaria 2000), ritiene sufficiente, per l’ammissione alla contrattazione da parte dell’Agenzia regionale per la rappresentanza negoziale (A.Re.Ra.N.), una percentuale di rappresentatività, «intesa quale media tra la percentuale delle deleghe rispetto al totale delle stesse e la percentuale dei voti rispetto al totale dei voti espressi nelle elezioni delle Rappresentanze sindacali unitarie», non inferiore al 4 per cento.

Il successivo comma 8 della medesima norma subordina, poi, la sottoscrizione del contratto collettivo, da parte dell’A.Re.Ra.N., alla verifica della rappresentatività delle organizzazioni sindacali aderenti, calcolata, ancora una volta, secondo parametri diversi da quelli fissati nell’art. 43 del decreto legislativo n. 165 del 2001.

Ad avviso dell’Avvocatura, le disposizioni impugnate sarebbero illegittime perché, regolamentando i diritti sindacali e i requisiti per l’ammissione delle organizzazioni sindacali alla contrattazione collettiva, inciderebbero sulla materia dell’ordinamento civile, riservata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, piuttosto che su quella dello stato giuridico ed economico del personale, e ciò tanto più che lo Statuto speciale nessuna competenza, in materia di diritti sindacali, attribuisce alla Regione.

Inoltre non sarebbe possibile la deroga ai principi stabiliti nel d.lgs. n. 165 del 2001, posto che gli stessi – espressione delle istanze di unitarietà e uniformità desumibili dagli artt. 5 e 120 della Costituzione – si configurerebbero quale parametro immodificabile dalle leggi regionali, la cui violazione ben potrebbe pertanto essere censurata innanzi al Giudice delle leggi (come ritenuto dalla sentenza n. 274 del 2003).

2.– Si è costituita la Regione Friuli-Venezia Giulia che ha chiesto il rigetto del ricorso, «in quanto inammissibile e infondato», riservandosi di esplicitarne successivamente le ragioni.

3.– Nella memoria depositata in data 4 ottobre 2006, la Regione Friuli-Venezia Giulia – premesso che la legge regionale 11 agosto 2005, n. 19, è stata emanata nell’esercizio della potestà legislativa primaria in materia di ordinamento degli Uffici e degli Enti dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed economico del personale ad essi addetto nonché di ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni (art. 4, numeri 1 e 1 bis dello Statuto speciale) – sostiene che lo Stato non si sarebbe attenuto ai principi fissati dalla consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale, la quale esige, in caso di impugnazione di leggi delle Regioni ad autonomia speciale, una puntuale illustrazione delle ragioni per le quali non dovrebbe farsi riferimento alle disposizioni dello Statuto speciale, bensì alle norme che il Titolo V della Costituzione dedica alle Regioni ordinarie.

Il ricorso sarebbe inammissibile, inoltre, perché l’asserita violazione dei criteri previsti dal d.lgs. n. 165 del 2001 sarebbe contraddittoria rispetto alla dedotta illegittimità per invasione della sfera dell’ordinamento civile, posto che quest’ultima toglierebbe all’altra ogni rilievo.

La censura sarebbe peraltro generica perché la difesa erariale, a ben vedere, non avrebbe affatto sostenuto la natura di norme fondamentali di riforma economico-sociale delle disposizioni di cui al d.lgs. n. 165 del 2001; né, tanto meno, avrebbe illustrato ragioni a sostegno di tale qualificazione; né, ancora, esposto i motivi della ritenuta, perdurante operatività, pur dopo la riforma del Titolo V, del suddetto limite. Del resto la stessa, lamentata violazione della competenza statale, in materia di ordinamento civile, sarebbe stata dal ricorrente semplicemente affermata, senza alcuna argomentazione volta a motivare l’appartenenza alla relativa area, piuttosto che a quella dello «stato giuridico ed economico del personale», della disciplina impugnata.

Inammissibile sarebbe altresì, per assoluta mancanza di motivazione, la censura volta a sostenere la lesione «del principio di unità, di cui agli artt. 5 e 120 Cost.», in conseguenza della violazione delle norme del d.lgs. n. 165 del 2001, tanto più che la sentenza n. 274 del 2003, richiamata in ricorso, si sarebbe limitata a menzionare l’istanza unitaria, presente nella Costituzione, al solo fine di argomentare la possibilità, per lo Stato, di denunciare qualsiasi violazione, da parte di una legge regionale, di norme costituzionali; principio che, nella fattispecie, non è affatto in contestazione.

In ogni caso le doglianze dell’Avvocatura sarebbero infondate nel merito, perché le norme impugnate non atterrebbero alla materia dell’ordinamento civile, ma a quella dell’ordinamento del personale.

Sottolinea anche la Regione che il Presidente del Consiglio si è limitato ad impugnare una disciplina transitoria (e non anche l’analoga normativa «a regime»); disciplina transitoria resa necessaria dalla mancata costituzione delle RSU e che è dettata – come quella a regime – attraverso il richiamo di norme contenute nella legge regionale n. 13 del 2000, mai contestata dallo Stato.

Peraltro, la stessa «tradizione legislativa statale» confermerebbe l’appartenenza della materia di riferimento all’area dell’ordinamento del personale: e invero, l’art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione della disciplina in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale), avrebbe posto, come (unico) vincolo alla potestà legislativa delle Regioni speciali, la necessità di prevedere «criteri di rappresentatività, ai fini dei diritti sindacali e della contrattazione, compatibili con le norme costituzionali», e la stessa Corte costituzionale avrebbe affermato, nella sentenza n. 2 del 2004 (punto 9 del Considerato in diritto), che le Regioni ben possono disciplinare procedure e modalità della contrattazione collettiva.

La censura di violazione dei criteri previsti dal d.lgs. n. 165 del 2001 sarebbe infondata sotto molteplici profili: anzitutto, l’art. 1, comma 3, del decreto legislativo, dopo aver stabilito che le disposizioni ivi contenute costituiscono «principi fondamentali ai sensi dell’art. 117 della Costituzione», e che «le Regioni a statuto ordinario si attengono ad esse, tenendo conto delle peculiarità dei rispettivi ordinamenti», qualifica come «norme fondamentali di riforma economico sociale della Repubblica» esclusivamente «i principi desumibili dall’art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, e successive modificazioni, e dall’art. 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59», come ribadito del resto anche dal Giudice delle leggi in numerose pronunce.

Inoltre, la distonia tra l’art. 43 del d.lgs. n. 165 del 2001 e le norme impugnate sarebbe giustificata dal fatto che il primo si riferisce ai comparti di contrattazione nazionali, mentre la legge regionale n. 19 del 2005 si riferisce al comparto unico del pubblico impiego regionale e locale che, istituito dall’art. 127 della legge regionale n. 13 del 1998 (Disposizioni in materia di ambiente, territorio, attività economiche e produttive, sanità e assistenza sociale, istruzione e cultura, pubblico impiego, patrimonio immobiliare pubblico, società finanziarie regionali, interventi a supporto dell’Iniziativa Centro Europea, trattamento dei dati personali e ricostruzione delle zone terremotate), è totalmente distinto dai primi.

Infine, da un lato, sarebbe errata la stessa qualificazione di norme fondamentali di riforma economico-sociali attribuita alle disposizioni del d.lgs. n. 165 del 2001, in materia di rappresentatività; dall’altro, il limite di tali riforme non varrebbe più per le Regioni speciali, nella materia di cui all’art. 4, n. 1 dello Statuto, come ripetutamente affermato anche dalla Consulta.

Quanto alla censura volta a prospettare la lesione degli artt. 5 e 120 della Costituzione, essa, oltre che inammissibile per genericità e mancanza di motivazione, sarebbe del tutto infondata, arbitrario essendo il preteso collegamento tra l’art. 43 del d.lgs. n. 165 del 2001 e i parametri costituzionali evocati.

4.– In data 10 ottobre 2006 anche il Presidente del Consiglio ha depositato una memoria, nella quale si contesta, in primo luogo, l’eccezione di inammissibilità del ricorso, fondata sull’asserita carenza di ogni riferimento ai parametri statutari, osservando che la legge regionale è stata impugnata sulla premessa che la materia da essa regolata è estranea a quanto previsto dall’art. 4 dello Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia.

Conseguentemente, essendo impossibile individuare una norma dello Statuto speciale che riconosca alla regione una qualche competenza sul punto, al di là della previsione dell’art. 4 – che rimette alla regione la ben più circoscritta materia dell’organizzazione degli uffici – l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla resistente non avrebbe fondamento.

Parimenti inconsistente, a giudizio della difesa erariale, sarebbe il rilievo secondo cui il ricorso non chiarirebbe le ragioni per le quali la norma censurata inciderebbe sull’ordinamento civile, piuttosto che sullo stato giuridico ed economico del personale, trattandosi di argomentazione basata sulla confusione tra l’ambito regolamentato – la contrattazione in materia di lavoro – e il profilo, ad essa prodomico, della individuazione dei soggetti legittimati a parteciparvi.

Neppure sarebbe condivisibile l’assunto secondo cui la rappresentatività delle organizzazioni sindacali è argomento estraneo ai principi di unitarietà e uniformità consacrati negli artt. 5 e 120 della Costituzione: in realtà, proprio la riferibilità della natura del soggetto ammesso alla contrattazione all’ambito dell’ordinamento civile ne solleciterebbe una regolamentazione ispirata ad esigenze di unitarietà, non essendo accettabile che ogni regione, nell’ambito dello stesso territorio nazionale, fissi autonomamente i requisisti di ammissione alla contrattazione in materia di pubblico impiego.

Richiamate, quanto al merito, le argomentazioni sviluppate nel ricorso introduttivo, la difesa erariale insiste quindi per l’accoglimento del ricorso.

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, in riferimento agli artt. 117, commi primo e secondo, lettera l), nonché 5 e 120 della Costituzione, l’art. 1, commi 7 e 8, della legge Regione Friuli-Venezia Giulia 11 agosto 2005, n. 19 (Norme in materia di comparto unico del pubblico impiego regionale e locale nonché di accesso all’impiego regionale), nella parte in cui prevede che, «in via transitoria, ai fini della definizione del primo contratto collettivo del comparto unico, rispettivamente, dell’area del personale dirigenziale e non dirigenziale, l’A.Re.Ra.N. ammette alla contrattazione, con pari dignità, le organizzazioni sindacali rappresentative sia del comparto del personale degli enti locali della Regione, sia del comparto del personale regionale, secondo la disciplina di cui ai commi 7 e 9 dell’art. 16 della legge regionale n. 13 del 2000» (comma 7) e che «l’A.Re.Ra.N. sottoscrive il contratto di cui al comma 7 verificando previamente, sulla base della rappresentatività accertata per l’ammissione alle trattative ai sensi del medesimo comma 7, che le organizzazioni sindacali che aderiscono all’ipotesi di accordo, indipendentemente se rappresentative nel comparto del personale degli enti locali della Regione o nel comparto del personale regionale, rappresentino nel loro complesso il 51 per cento del totale della rappresentatività definita dalla somma delle quote di rappresentatività ottenute, per ognuno dei comparti, dalla rideterminazione della rappresentatività delle singole organizzazioni sindacali in proporzione al rapporto intercorrente fra il personale in servizio a tempo indeterminato nel singolo comparto e il numero totale del personale in servizio a tempo indeterminato nell’intero comparto unico, alla data del 31 dicembre 2001» (comma 8).

Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, infatti, la legge regionale censurata disciplinerebbe una materia – «diritti sindacali» – che, già diversamente regolata da norme statali, sarebbe attinente all’«ordinamento civile», e quindi riservata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato dall’art. 117, comma secondo, lettera l), della Costituzione; inoltre, la disciplina impugnata, in quanto contrastante con quella dettata dal d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), violerebbe le norme costituzionali (artt. 5 e 120) che assicurano «le istanze di unitarietà ed uniformità» dell’ordinamento.

2.– La Regione resistente eccepisce l’inammissibilità del ricorso per non avere il Presidente del Consiglio dei ministri illustrato le ragioni per le quali lo scrutinio di legittimità costituzionale della legge regionale dovrebbe essere effettuato non già in base allo Statuto di una Regione speciale, bensì in base alle norme che il Titolo V della Costituzione dedica al riparto di competenze tra Stato e Regioni ordinarie.

L’eccezione non è fondata.

Ai fini dell’ammissibilità dell’impugnazione proposta avverso una legge di Regione a Statuto speciale è necessaria, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’illustrazione delle ragioni per le quali non trovano applicazione nel caso in esame le norme speciali statutarie, ma quelle «ordinarie» del Titolo V della Costituzione: illustrazione che, ove non sia condivisa da questa Corte perché la materia disciplinata è viceversa riconducibile a quella contemplata da una norma statutaria, dà luogo ad una pronuncia di infondatezza per erroneità del parametro costituzionale evocato.

Discende da ciò che, poiché non si può ridurre tale requisito di ammissibilità a mera, formalistica enunciazione dell’inesistenza di qualsiasi norma statutaria contemplante la materia, esso va inteso nel senso che dal contesto del ricorso (la cui interpretazione, quale domanda giudiziale, compete a questa Corte) deve emergere, anche implicitamente, l’esclusione della possibilità di operare il sindacato di legittimità costituzionale in base allo Statuto speciale, essendo esso possibile solo ai sensi del Titolo V della Costituzione.

Nel caso di specie, la natura del parametro indicato («ordinamento civile», ma lo stesso sarebbe a dirsi di altre materie contemplate nell’art. 117, comma secondo, della Costituzione) è indice inequivoco della consapevolezza di quella impossibilità, essendo evidente che il parametro costituzionale evocato (a torto o a ragione; ma questo attiene alla fondatezza) esclude di per sé l’utilità di uno scrutinio alla luce delle norme statutarie. A ciò si aggiunga che, nel caso di specie, la riconduzione della materia disciplinata dalla legge regionale a quella dell’«ordinamento civile» si accompagna all’esame – sintetico, ma adeguato ai fini dell’ammissibilità – della norma statutaria (art. 4, n. 1) in tesi più prossima (ordinamento degli uffici e stato giuridico del personale dipendente dalla Regione) al tema della contrattazione collettiva.

3.– Fondata, invece, è l’eccezione di inammissibilità del ricorso, proposta dalla Regione sotto altri profili.

3.1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, infatti, pur deducendo l’inesistenza di qualsiasi potestà legislativa regionale in materia di «ordinamento civile» – materia alla quale sarebbe riconducibile la norma censurata – contraddittoriamente ravvisa la violazione della riserva statale di potestà legislativa nella divergenza tra la disciplina statale di cui al d.lgs. n. 165 del 2001 e la norma regionale censurata: ne discende che non potendo coesistere – se non in un rapporto di subordinazione, non dedotto nel ricorso – una censura attinente sia all’an, sia al quomodo dell’esercizio della potestà legislativa, la questione è inammissibile.

3.2.– Rilevato che l’art. 117, comma primo, Cost., è evocato senza motivazione di sorta, deve dichiararsi inammissibile anche la questione sollevata in riferimento agli artt. 5 e 120 della Costituzione: mancando nel ricorso ogni illustrazione delle ragioni per le quali la disciplina contenuta nel d.lgs. n. 165 del 2001 sarebbe «espressione delle istanze di unitarietà ed uniformità espresse» da quelle norme costituzionali, la questione sollevata si risolve, in realtà, nel ribadire – solo apparentemente sotto diverso profilo – la prima, inammissibile censura sopra scrutinata.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 7 e 8, della legge regionale 11 agosto 2005, n. 19 (Norme in materia di comparto unico del pubblico impiego regionale e locale nonché di accesso all’impiego regionale), della Regione Friuli-Venezia Giulia sollevata, in riferimento agli artt. 117, commi primo e secondo, lettera l), 5 e 120 della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 novembre 2006.

Depositata in Cancelleria il 21 novembre 2006.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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