Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 25-01-2012, n. 1047 Retribuzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 2/4/03 il giudice del lavoro del Tribunale di Catania, nel pronunziarsi sul ricorso proposto il 6/3/96 da P. A. nei confronti di F.U. e dell’Associazione Sportiva Tennis Club Umberto, condannò quest’ultima a corrispondere al ricorrente la somma di Euro 48.198,21 per differenze retributive, mentre condannò in solido entrambi i convenuti al pagamento della parte del credito vantato dal dipendente relativamente al periodo compreso tra l’1/10/77 (data di inizio del rapporto) ed il 15/1/83 (data in cui il F. aveva lasciato la gestione dei campi da tennis) e dichiarò l’illegittimità del licenziamento orale intimato dall’Associazione, condannandola alla riassunzione o al risarcimento del danno nella misura pari a tre mensilità.

A seguito del gravame interposto dal F., dal lavoratore e dall’Associazione sportiva, la quale aveva svolto anche appello incidentale, la Corte d’appello di Catania, riuniti i giudizi, decise la causa all’udienza dell’1/4/04, dichiarando l’inammissibilità dell’impugnazione proposta dall’Associazione e rigettando quella del lavoratore, mentre accolse l’appello principale formulato dal F. e quello incidentale della stessa Associazione, riformando la sentenza gravata e rigettando la domanda del lavoratore.

Seguì il ricorso in Cassazione del P., al quale gli intimati reagirono con ricorso incidentale condizionato; la suprema Corte, con sentenza n. 10433 dell’8/5/07, cassò la sentenza impugnata, senza rinvio nei confronti dell’Associazione sportiva, mentre dispose il rinvio in relazione al rapporto che riguardava F.U., designando per lo svolgimento del giudizio rescissorio la Corte d’appello di Caltanisetta.

Riassunto il procedimento ad opera del P. ed instauratosi il contraddittorio nei confronti della predetta Associazione e degli eredi del F. di cui in epigrafe, la Corte d’appello di Caltanisetta, con sentenza del 25/2 – 11/3/09, in parziale accoglimento dell’appello del P. dichiarò il diritto di quest’ultimo a vedersi corrisposto il risarcimento del danno nella misura pari ad otto mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, con condanna dell’associazione al pagamento della relativa differenza, mentre rigettò per il resto l’impugnazione del lavoratore, oltre che quella del F. e dei suoi eredi legittimi, confermando le restanti statuizioni della decisione gravata. Per la cassazione della sentenza propone ricorso il P., il quale affida l’impugnazione a tre motivi di censura.

Resistono con controricorso gli eredi del F. di cui in epigrafe, i quali propongono, a loro volta, ricorso incidentale condizionato in relazione alla questione della solidarietà passiva e ricorso incidentale in ordine alle questioni della prescrizione e della natura subordinata del rapporto di cui trattasi. L’Associazione sportiva Tennis Club Umberto è rimasta solo intimata. Entrambe le parti depositano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Col primo motivo il ricorrente denunzia l’omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, oltre che la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, dolendosi della statuizione impugnata nella parte in cui ha escluso la legittimazione passiva del F. per il periodo successivo al 15/1/83, nonostante fosse stata richiesta la sua condanna in solido con l’Associazione fino al 31/5/95 nella sua qualità di Consigliere delegato della stessa.

Secondo il ricorrente la solidarietà per le obbligazioni sociali del Consigliere delegato era stabilita dall’art. 20 dello Statuto dell’Associazione, allegato all’atto pubblico di costituzione della stessa risalente al 23/11/75, e tale circostanza, trascurata dal giudicante, benchè provata con documenti, denotava l’origine contrattuale dell’obbligazione assunta dal F. in tale sua veste.

Col secondo motivo il P. si duole dell’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, ex art. 360 c.p.c., n. 5, sostenendo che il giudice d’appello non aveva dato il giusto rilievo alle testimonianze dalle quali era emerso la svolgimento di attività negoziale per conto dell’Associazione da parte di F. U..

Col terzo motivo il ricorrente censura la sentenza per difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia, ex art. 360 c.p.c., n. 5, lamentandosi del fatto che il giudice d’appello non ha dato alcuna motivazione della scelta discrezionale di limitare la liquidazione del danno ad otto mensilità dell’ultima retribuzione globale, a fronte della specifica richiesta risarcitoria di quantificarlo con riferimento alle retribuzioni non percepite nel periodo intercorso tra il licenziamento e la riassunzione.

A loro volta gli eredi del F., di cui in epigrafe, propongono preliminarmente un motivo di ricorso incidentale condizionato per omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ossia quello rappresentato dalla dedotta nullità del ricorso in riassunzione, il cui tenore non consentiva di comprendere la ragione per la quale il loro dante causa F.U. avrebbe dovuto rispondere in solido con l’Associazione anche per il periodo successivo al 15/1/83, pur avendo il P. ammesso, nel ricorso introduttivo del giudizio, che il rapporto di lavoro col F. era cessato a tale data.

Oggetto del primo motivo del ricorso incidentale è, invece, la contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, vale a dire quello rappresentato dalla eccepita prescrizione del credito vantato da controparte nei confronti di F.U., avendo quest’ultimo lasciato la gestione dei campi da tennis in data 15/1/83, mentre la Corte territoriale l’aveva giudicata insussistente, in quanto la parte convenuta non aveva fornito la prova della stabilità reale del rapporto.

Col secondo motivo del ricorso incidentale gli eredi del F. deducono l’insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, vale a dire quello della contestazione del vincolo della subordinazione che la Corte di merito aveva ritenuto sussistente sulla scorta, a loro dire, di una sopravvalutazione degli indici rivelatori della stessa.

Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c.. Osserva la Corte che i motivi di entrambi i ricorsi presentano profili di inammissibilità e di infondatezza che non possono che determinarne il rigetto. Anzitutto, per quel che concerne il ricorso principale si evidenzia che i relativi motivi sono inammissibili, sia per la non corretta formulazione dei relativi quesiti, sia perchè attraverso gli stessi si tenta una rivisitazione delle risultanze processuali non ammissibile nella presente sede di legittimità, sia perchè si tratta di questioni dedotte per la prima volta.

Invero, il quesito formulato a conclusione del primo motivo di doglianza, vale a dire quello che verte sulla lamentata mancata disamina della portata dell’art. 20 dello Statuto dell’Associazione ai fini dell’accertamento della responsabilità solidale del F., oltre a riflettere una questione nuova, è inconferente rispetto alla "ratio decidendi" dell’impugnata sentenza. Questa è, infatti, incentrata sulla rilevata mancanza, alla luce di quanto chiarito dalla Corte di Cassazione nella fase rescindente del giudizio, della prova dell’effettivo svolgimento di una attività negoziale svolta da F.U. nei rapporti col P. in riferimento al periodo successivo al 15/1/83, tale da farlo ritenere coobbligato in solido con l’Associazione per le obbligazioni da questa assunte.

Risulta, altresì, violato il principio di autosufficienza del ricorso in cassazione in quanto era preciso onere del ricorrente indicare quando e come le circostanze di fatto e di diritto, ora esposte, erano state evidenziate ed allegate agli atti del giudizio.

Quanto al secondo motivo, diretto a dimostrare che il F. svolgeva attività negoziale per conto dell’Associazione nei confronti del P., vi è semplicemente da rilevare che lo stesso si compendia in una inammissibile rivisitazione delle risultanze istruttorie, adeguatamente vagliate dalla Corte di merito, che non è consentita in questa sede.

Invero, come è stato già statuito da questa Corte (Cass. sez. lav. n. 2272 del 2/2/2007), "il difetto di motivazione, nel senso di sua insufficienza, legittimante la prospettazione con il ricorso per cassazione del motivo previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), è configurabile soltanto quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, poichè, in quest’ultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione. In ogni caso, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi (come accaduto nella specie) le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse". Orbene, nella fattispecie in esame può tranquillamente affermarsi che, nel loro complesso, le valutazioni del materiale probatorio operate dal giudice d’appello appaiono sorrette da argomentazioni logiche e perfettamente coerenti tra di loro, oltre che aderenti ai risultati fatti registrare dall’esito delle prove orali su punti qualificanti della controversia, per cui le stesse non meritano affatto le censure di omessa disamina mosse col presente motivo di doglianza. Nè coglie nel segno il terzo motivo di censura, attraverso il quale si imputa al giudice d’appello l’omessa motivazione in ordine alla decisione di limitare ad otto mensilità dell’ultima retribuzione la misura del chiesto risarcimento e, nel contempo, si chiede di accertare se in caso di licenziamento inefficace il danno debba ricoprire l’importo delle retribuzioni non percepite fino alla riassunzione. Infatti, non risponde al vero che il giudice d’appello ha omesso di motivare la propria decisione al riguardo, posto che dalla sentenza impugnata si ricava che la liquidazione del danno fu eseguita in via equitativa in base alla norma di cui all’art. 1226 c.c., in diretta applicazione delle regole generali in materia di risarcimento del danno ai sensi degli artt. 1218 c.c. e segg., per cui l’entità della retribuzione fu presa di riferimento come esclusivo parametro economico. Orbene, tale specifica autonoma "ratio decidendo" non può, comunque, ritenersi scalfita dal quesito finale che è teso esclusivamente all’accertamento di un principio astratto che non è funzionale al "decisum", che è, invece, ancorato ai concreti dati fattuali della vertenza.

Per quel che riguarda il ricorso incidentale, si osserva che il motivo che verte sulla prescrizione è inammissibile in quanto privo del relativo quesito di diritto, così come richiesto dall’art. 366- bis c.p.c.; inoltre, è infondato poichè fino al momento del deposito del ricorso (6/3/1996) non poteva non sussistere il "metus" del dipendente in regime di rapporto che si era rivelato essere non assistito dalla garanzia della tutela reale, tanto più che solo con la sentenza (2/4/2003) del giudizio di primo grado, in cui era stato impugnato il licenziamento orale, fu accertato che il rapporto col F. doveva ritenersi concluso alla data del 15/1/83.

D’altronde, come correttamente rilevato dal giudice d’appello, dovevano essere gli eredi del F., che intendevano avvalersi della eccepita prescrizione, a provare come si era in concreto articolato il rapporto lavorativo, al fine di evidenziare se vi erano stati atti interruttivi della prescrizione o se lo stesso si era svolto in modo tale da escludere la sussistenza del naturale "metus" del ricorrente per tutto il periodo lavorativo, anche perchè dalla sentenza rescindente della Cassazione si deduce come presupposto logico che le questioni di prescrizione erano state superate.

Il secondo motivo del ricorso incidentale, vale a dire quello attraverso il quale si deduce l’insufficiente motivazione circa la ritenuta sussistenza del vincolo della subordinazione, è, invece, infondato, posto che al riguardo la valutazione del materiale probatorio operato dalla Corte di merito poggia su argomentazioni congrue ed immuni da rilievi di carattere logico-giuridico che traggono spunto sia dall’accurata disamina degli elementi tipici della subordinazione, come emersi dalle deposizioni testimoniali, sia dagli altri elementi indiziari offerti dagli atti di causa. Orbene, non va dimenticato che "in tema di giudizio di cassazione, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge).

Conseguentemente, per potersi configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia, è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza. Pertanto, il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la "ratio decidendi" venga a trovarsi priva di base. (Nella specie la S.C. ha ritenuto inammissibile il motivo di ricorso in quanto che la ricorrente si era limitata a riproporre le proprie tesi sulla valutazione delle prove acquisite senza addurre argomentazioni idonee ad inficiare la motivazione della sentenza impugnata, peraltro esente da lacune o vizi logici determinanti)" (Cass. Sez. 3 n. 9368 del 21/4/2006; in senso conf. v. anche Cass. sez. lav. n. 15355 del 9/8/04).

Si rende, infine, superflua la disamina del motivo del ricorso incidentale condizionato, svolto con riferimento alla negata sussistenza di un vincolo di solidarietà di F.U. per le obbligazioni contratte dall’Associazione successivamente al 15/1/83, stante il mancato accoglimento del ricorso principale sulla opposta tesi della sussistenza di un siffatto vincolo.

La reciproca soccombenza delle parti costituisce giusto motivo per la integrale compensazione tra le medesime delle spese del presente giudizio. Nulla va statuito in ordine alle spese nei confronti dell’Associazione Sportiva Tennis Club Umberto che è rimasta solo intimata nel presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e rigetta sia il ricorso principale che quello incidentale. Compensa tra le parti le spese del presente giudizio; nulla per le spese nei confronti dell’intimata associazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *