Cass. civ. Sez. II, Sent., 25-01-2012, n. 1042 Ordinanza ingiunzione di pagamento: opposizione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 1118 del 2005 il Giudice di pace di Parma, decidendo sull’opposizione proposta dal sig. B.S. avverso l’ordinanza-ingiunzione del 28 gennaio 2005;

emessa dal Sindaco del Comune di Parma in relazione ad un verbale di accertamento per violazione dell’art. 15, comma 6, del Regolamento in materia di pubbliche affissioni, l’accoglieva e, per l’effetto, annullava il provvedimento sanzionatorio impugnato.

A sostegno dell’adottata decisione il suddetto giudice rilevava che l’opposizione era da ritenersi fondata sul presupposto che l’affermazione della responsabilità dell’opponente (quale Presidente del Circolo Arci Onirica) implicava che l’ente che aveva applicato la sanzione provasse la titolarità in capo a tale soggetto della proprietà del materiale pubblicitario abusivamente affisso.

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Comune di Parma basato su un unico complesso motivo, avverso il quale l’intimato si è costituito in questa sede con controricorso. Il difensore dell’ente ricorrente ha depositato anche memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Il collegio ha deliberato l’adozione della motivazione della sentenza in forma semplificata.

Motivi della decisione

1. Con l’unico motivo dedotto l’ente ricorrente ha prospettato la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 6 e del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 24 nonchè degli artt. 15 e segg. del reg. com. Parma approvato con Delib. 24 febbraio 1999, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. In particolare, con tale doglianza, il ricorrente lamenta l’erroneità della sentenza impugnata poichè, nella specie, il giudice di pace di Parma avrebbe dovuto affermare – con riferimento alle indicate disposizioni normative – il diverso principio giuridico secondo cui, in materia di pubblicità illegittima, deve essere considerato responsabile della sanzione non solo colui che materialmente dispone dei mezzi pubblicitari (e, quindi, li affigge od espone) ma, altresì, il soggetto a cui vantaggio si realizzata la pubblicità (salva, ovviamente, la dimostrazione che l’affissione si sia verificata contro la sua volontà).

2. Rileva il collegio che deve essere, innanzitutto, disattesa l’eccezione pregiudiziale di inammissibilità proposta dal controricorrente sul presupposto che il ricorso risultava formulato nei confronti del sig. B.S. (che non aveva ricoperto il ruolo di parte nel giudizio di primo grado) e non nei riguardi dell’Associazione Circolo Arci Onirica. L’eccezione è priva di pregio perchè il ricorso è stato presentato nei confronti del B.S., quale Presidente del predetto Circolo (oltre che anche come responsabile in proprio).

3. Ciò posto, si osserva che il ricorso è infondato e deve, pertanto, essere rigettato. Secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 4725 del 2004 e, da ultimo, Cass. n. 13770 del 2009), in tema di sanzioni amministrative emesse, ai sensi del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 24 per l’affissione di manifesti contenenti messaggi pubblicitari senza la prescritta autorizzazione, la responsabilità solidale della persona giuridica, o dell’ente privo di personalità giuridica – ne caso di violazione commessa dal rappresentante o dal dipendente degli enti medesimi, nell’esercizio delle proprie funzioni o incombenze – consente di includere nell’ambito applicativo della norma non soltanto i soggetti legati alla persona giuridica o all’ente da un formale rapporto organico, ovvero da un rapporto di lavoro subordinato, ma anche tutti i casi in cui i rapporti siano caratterizzati in termini di affidamento (inteso come materiale consegna all’autore della violazione del materiale pubblicitario) o di avvalimento (inteso come attività di cui il committente profitta); tale principio, tuttavia, deve considerarsi applicabile a condizione che l’attività pubblicitaria sia comprovatamente riconducibile all’iniziativa del beneficiario quale committente o autore del messaggio pubblicitario o che sia documentato il rapporto tra autore della trasgressione ed ente o persona giuridica opponente, restando comunque escluso che il beneficiario del messaggio pubblicitario sia solidalmente responsabile della violazione per il solo fatto di averne potuto trarre giovamento.

Orbene, il giudice di pace, con la decisione impugnata, sul corretto presupposto che la violazione dei regolamenti comunali in tema di pubblicità trova la sua fonte primaria nel D.Lgs. n. 507 del 1993, si è conformato al principio da ultimo richiamato escludendo, con l’adozione di una motivazione adeguatamente svolta e logicamente plausibile in relazione alla valutazione delle risultanze probatorie rimaste acquisite, che, nella specie, non si poteva affermare in via presuntiva che l’associazione opponente fosse proprietaria o titolare di qualsivoglia diritto sui manifesti pubblicitarì risultati abusivamente affissi, non essendo, allo scopo, sufficiente che l’affissione stessa fosse concretamente avvenuta in suo favore. Al riguardo, il giudice di pace ha, infatti, congruamente evidenziato che i manifesti abusivi erano costituiti da comuni fogli per stampa tipo A4 sui quali erano stati stampati il nome del gruppo musicale, il titolo dello spettacolo e il luogo e la data dello svolgimento di quest’ultimo presso il Circolo Onirica, giungendo, perciò, alla logica conseguente conclusione che, sulla scorta di questi elementi, era del tutto illegittimo presumere la proprietà dei manifesti in capo al suddetto Circolo (ancorchè risultasse essere il soggetto avvantaggiato dalla pubblicità) e la sicura riconducibilità dell’attività di averne commissionato l’affissione illegittima (trattandosi, in altre parole, di beni mobili "al portatore", privi, cioè, di idonee caratteristiche attraverso le quali era lecito risalire al proprietario degli stessi).

Avendo, quindi, risolto la questione di diritto dedotta in controversia in termini conformi alla giurisprudenza di questa Corte (richiamando anche la conferente sentenza n. 5919 del 1994), offrendo una motivazione sicuramente sufficiente ed immune da vizi logici, la sentenza impugnata può dirsi esente dalla censure dedotte con il ricorso, il quale deve, quindi, essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 600,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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