Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 02-03-2011) 16-09-2011, n. 34244

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La Corte d’Appello di Messina, con sentenza 13/7/2007, confermava la decisione 18/10/2000 del locale Tribunale, che aveva condannato A.A. alla pena di anni due di reclusione, perchè dichiarato colpevole del delitto di calunnia in danno dei componenti della Corte d’Assise di Siracusa, incolpati, pur sapendoli innocenti, con esposti pervenuti presso la Procura della Repubblica di Messina e presso quella di Siracusa rispettivamente in data 10 e 11 febbraio 1998, di falso ideologico nella motivazione della sentenza 23/10/1997 emessa nei suoi confronti, nella quale si erano attribuite al collaboratore di giustizia M.A. dichiarazioni mai rese.

Il Giudice distrettuale evidenziava che l’accusa rivolta dal denunziante ai componenti della Corte d’Assise era palesemente falsa, in quanto le dichiarazioni del collaborante erano state fedelmente riprodotte nella motivazione della sentenza, con una sola inesattezza, frutto di evidente equivoco interpretativo, la quale, pur non funzionale al contesto complessivo della motivazione, era stata dolosamente strumentalizzata nella prospettiva di accreditare l’infondata accusa di falso ideologico.

Detta sentenza, a seguito di ricorso per cassazione (dell’imputato) dichiarato inammissibile, diveniva irrevocabile il 4/4/2008. Anche il successivo ricorso straordinario ex art. 625 bis c.p.p., veniva dichiarato inammissibile da questa Suprema Corte, con ordinanza 23/10/2008.

In accoglimento, però, dell’incidente di esecuzione proposto da uno dei difensori dell’ A., il Tribunale di Messina, con ordinanza 16/4/2009, revocava l’esecutività della sentenza e restituiva l’interessato nel termine per impugnare.

2. Ha riproposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore, l’ A., deducendo la violazione della legge penale, con riferimento all’art. 368 c.p., e il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dell’elemento psicologico del reato, che doveva essere escluso, in quanto comunque v’era difformità, sia pure parziale, tra quanto dichiarato dal collaborante e quanto riportato in sentenza.

3. Il ricorso è inammissibile.

Rileva preliminarmente la Corte che il caso in esame presenta, nella dinamica processuale che lo ha contraddistinto, aspetti patologici.

Ed invero, l’impugnazione proposta, a suo tempo, dall’imputato e sulla quale era intervenuta la relativa decisione (ordinanza 4/4/2008 di questa Suprema Corte) avrebbe dovuto precludere al difensore del medesimo imputato la possibilità di ottenere la restituzione nel termine per proporre, a sua volta, impugnazione. L’astratta configurabilità infatti, di una duplicazione di impugnazioni, promananti l’una dall’imputato e l’altra dal difensore, rappresenterebbe un’opzione palesemente incompatibile con l’esigenza di assicurare una "ragionevole durata" del processo, sulla base di quanto imposto dall’art. 111 Cost. e dall’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (Sez. U. 31/1/2008, dep. 7/2/2008, imp. Huzuneanu), nonchè con il principio della consunzione del diritto d’impugnazione.

E’ accaduto, tuttavia, che il Giudice dell’esecuzione, sia pure errando, ha accolto la richiesta dell’interessato volta ad ottenere la declaratoria di non esecutività della sentenza che viene qui in rilievo e la restituzione nel termine per impugnarla. Tale provvedimento del Giudice dell’esecuzione è divenuto definitivo per mancanza d’impugnazione.

Deve, pertanto, prendersi in esame il nuovo ricorso proposto dal difensore dell’ A. avverso la sentenza d’appello.

Le doglianze in esso articolate si risolvono in non consentite censure in fatto all’apparato argomentativo su cui riposa la sentenza di merito, che da conto, in maniera adeguata e logica, delle ragioni che giustificano la conclusione alla quale perviene, sottolineando, in particolare la evidente strumentalizzazione da parte del denunziante di una inesattezza interpretativa delle dichiarazioni rese dal collaboratore M., assolutamente ininfluente nell’economia della complessa e articolata motivazione della sentenza di condanna pronunciata a carico del medesimo denunziante, e quindi la intenzionalità dell’incolpazione e la piena consapevolezza da parte di costui dell’innocenza degli incolpati, nei suoi confronti si era insinuato di avere deliberatamente alterato il contenuto della detta fonte di prova, al solo scopo di motivare la pronuncia di condanna, accusa – questa – assolutamente infondata e di estrema gravità. 4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende della somma, che stimasi equa di Euro mille.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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