Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 08-07-2011) 19-09-2011, n. 34327

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza in data 31 marzo 2011, depositata il 4 aprile 2011, il Tribunale di Catania rigettava l’appello proposto da D.B.M. – condannato con sentenza del Tribunale di Catania del 2 dicembre 2010 per usura ed estorsione alla pena di sette anni di reclusione ed Euro 1.200,00 di multa, avverso l’ordinanza di rigetto dell’istanza di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari, presso la propria abitazione o in ospedale, emessa dal Tribunale di Catania in data 29 dicembre 2010.

Il D.B. aveva chiesto la sostituzione della misura cautelare per le sue condizioni di salute e l’istanza era stata rigettata dopo l’espletamento di un accertamento peritale. Il perito aveva riscontrato una cardiomiopatia dilatativa idiopatica trattata con impianto defibrillatore e farmacoterapia, in buon compenso emodinamico, ed aveva consigliato, se non vi fossero stati elementi di pericolosità sociale, forme alternative alla detenzione in carcere, pur affermando la compatibilità delle condizioni di salute del D.B. con il regime carcerario.

Avverso la predetta ordinanza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione.

Con il ricorso si deduce la mancanza o manifesta illogicità della motivazione in ordine alle doglianze formulate con l’appello e, in particolare, alla mancanza in ambiente carcerario della presenza costante di un cardiologo e della strumentazione necessaria per intervenire in caso di urgenza, alla circostanza che il perito avesse effettuato una verifica nel breve periodo senza compiere un monitoraggio prolungato delle condizioni cardiologiche del D. B., alla mancata valutazione della pericolosità dell’imputato e dell’idoneità degli arresti domiciliari o del ricovero ospedaliere a soddisfare qualunque esigenza cautelare (runico precedente specifico del D.B. risaliva all’anno 1998, le altre condanne riguardavano furti; solo un altro soggetto, T., era coinvolto nella vicenda processuale per la quale il D.B. era detenuto); il ricorrente, infine, ritiene illogico il riferimento contenuto nell’ordinanza impugnata alla cronicità e irreversibilità della patologia.

Il ricorso è infondato e va rigettato.

Le doglianze del ricorrente sono in gran parte ripetitive di quelle, analoghe, contenute nell’atto di appello e, comunque, infondate.

Quanto alle pretese carenze dal punto di vista sanitario dell’ambiente carcerario, la Corte osserva che il provvedimento impugnato è coerente con le conclusioni del perito di ufficio il quale aveva ritenuto le condizioni di salute del D.B., la cui patologia carpisca era trattata con impianto defibrillatore e farmacoterapia, compatibili "con la casa circondariale dove l’imputato è allocato e dove può ricevere adeguata assistenza dallo specialista convenzionata con la struttura carceraria".

I rilievi difensivi al riguardo appaiono del tutto generici e assertivi, privi comunque di una struttura argomentativa idonea a contrastare le conclusioni del perito nominato dal Tribunale di Catania.

Nel provvedimento impugnato, peraltro, si puntualizza, allo scopo comunque di responsabilizzare l’autorità amministrativa nell’adozione di tutte le misure indispensabili per consentire i controlli medici necessari, che "…è onere della Direzione sanitaria del carcere provvedere a tutti i controlli cardiologici necessari per verificare il corretto funzionamento del defibrillatore provvedendo eventualmente anche a tradurre il detenuto presso il nosocomio specialistico ove tali controlli dovranno essere eseguiti…".

Il giudice di merito si è quindi adeguato al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. sez. 6, 15 luglio 2010 n.34433, Forastefano; sez. 1 6 marzo 2008 n. 12716, Pipitone; sez. 5 15 marzo 2006 n. 16500, Lo Giudice) secondo il quale la valutazione della gravità delle condizioni di salute del detenuto e della conseguente incompatibilità col regime carcerario deve essere effettuata sia in astratto, con riferimento ai parametri stabiliti dalla legge, sia in concreto, con riferimento alla possibilità di effettiva somministrazione nel circuito penitenziario delle terapie di cui egli necessita.

Infondata è anche la doglianza circa l’affidabilità dell’indagine peritale condotta "nel breve periodo", in quanto il giudice di merito ha rilevato, con argomentazione logicamente coerente, che "l’accertamento non può che essere contenuto nei fisiologici limiti temporali del mandato del Tribunale, ma è del pari evidente che è stato espletato sulla base di un controllo clinico generale".

Il riferimento alla cronicità e irreversibilità della patologia non appare in tale contesto inconferente poichè l’art. 275 c.p.p., comma 4 bis, preclude il mantenimento della custodia in carcere nei confronti del soggetto affetto da malattia particolarmente grave, in conseguenza della quale le sue condizioni di salute risultino incompatibili con lo stato di detenzione e comunque tali da non consentire adeguate cure in ambiente penitenziario, e deve essere inteso nel senso che il detenuto non può essere mantenuto in vinculis, allorquando nell’istituto carcerario non sono praticabili adeguati interventi diagnostici e terapeutici, atti non solo a risolvere e ad alleviare lo stato morboso ma anche a controllare l’evoluzione della malattia per evitarne il peggioramento.

Infondati è anche la doglianza relativa alla ritenuto esclusiva idoneità della misura cautelare della custodia in carcere a fronteggiare il pericolo di reiterazione della condotta criminale. Il giudice di merito ha correttamente ritenuto persistente il pericolo concreto di reiterazione della condotta criminosa desumendolo non solo dalla natura e obiettiva gravità dei fatti (usura e tentata estorsione) e dalla personalità dell’imputato, con riferimento ai precedenti penati che nel ricorso si tenta di sminuire con argomenti scarsamente significativi (oltre che per l’unico precedente specifico risalente all’anno 1998, le altre condanne riguarderebbero "episodi di furto"), ma anche alla peculiare condotta posta in essere dall’imputato, compiutamente descritta nella sentenza di primo grado con la quale il D.B. era stato condannato alla pena di anni sette di reclusione ed Euro 1.200,00 di multa. In tal modo il giudice di merito ha operato una valutazione che, in modo globale, ha preso in considerazione entrambi i criteri direttivi (specifiche modalità e circostanze del fatto, personalità della persona sottoposta ad indagini desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali) indicati dall’art. 274 c.p.p., lett. c) (Cass. sez. 5, 17 aprile 2009 n.21441, Fiori; sez. 4, 1 aprile 2004 n.37566, Albanese) ed ha giustificato in maniera adeguata, con riferimento alla particolare intensità del pericolo di reiterazione della condotta criminosa, la ritenuta "infungibilità della misura inframuraria". A questo riguardo va peraltro rilevato che l’art. 274 c.p.p., lett. c) non riguarda, comunque, il rischio di commissione ulteriori reati con i medesimi concorrenti e secondo le stesse modalità, ma fa riferimento alla probabile commissione di reati della stessa specie, cioè di reati che offendono lo stesso bene giuridico e non già di fattispecie omologhe a quelle per cui si procede (Cass. sez. 1, 22 settembre 2006 n. 13928, Failla).

Al rigetto del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

A norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, copia del presente provvedimento va trasmesso al Direttore dell’istituto penitenziario in cui il ricorrente è ristretto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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