Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 08-07-2011) 19-09-2011, n. 34325

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza in data 1 aprile 2011 il Tribunale di Roma in sede di riesame confermava l’ordinanza di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma l’11 marzo 2011 nei confronti di M.G. in ordine ai reati di usura, estorsione tentato e consumata, lesioni personali ai danni di Mi.Gi., reati commessi a partire dall’anno (OMISSIS).

La gravità degli indizi era stata desunta – come risulta dalla motivazione del provvedimento del Tribunale del riesame – dalle dichiarazioni della persona offesa Mi.Gi., titolare di un’impresa di lavorazione del marmo che aveva denunciato di essersi rivolto a vari soggetti privati, tra cui il M., per ottenere prestiti che gli erano stati concessi a tassi cosi elevati che in breve tempo non era riuscito ad onorarli. In tale contesto il Mi. aveva subito da parte del M., il quale chiedeva la restituzione dei prestiti con gli interessi maturati proponendogli anche la "cessione in suo favore dell’affitto di un terreno di praprieta", anche l’aggressione fisica da parte dell’indagato. La versione della persona offesa risultava riscontrata dagli esiti delle intercettazioni telefoniche e dei servizi di osservazione, pedinamento e controllo oltre che dalla documentazione acquisita (matrici di assegni, al vaglio di ulteriori accertamenti).

Avverso la predetta ordinanza l’indagalo ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione.

Con il ricorso si deduce;

1) la mancanza, manifesta illogicità, contraddittorietà della motivazione e il travisamento dei fatti relativamente alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza; il ricorrente osserva in particolare che: a) sarebbero state acquisite solo le matrici degli assegni indicati dalla persona offesa, oggetto tuttavia di ulteriori accertamenti e non valutabili di per sè come indizi nè come riscontro alle dichiarazioni del Mi.; b) le dichiarazioni della persona offesa sarebbero solo parzialmente riscontate dagli esiti delle intercettazioni e non sarebbero immuni da imprecisioni, come rilevato dallo stesso Tribunale del riesame;

nessun riscontro potrebbe essere individuato nelle dichiarazioni di Mi.Ro., fratello della persona offesa, e nelle matrici degli assegni; c) la conversazione intercettata il 15 ottobre 2010 alle ore 14,01 sarebbe stata letta solo parzialmente dal Tribunale del riesame, che avrebbe omesso di prendere in considerazione la parte in cui l’indagato manifesta l’interessamento alla definizione del contratto di affitto del terreno del Mi.; d) quanto ai fatti estorsivi, il Tribunale del riesame avrebbe omesso di considerare che tra le parti erano in corso trattative per l’affitto (e non la cessione) del terreno del Mi. al M., con la previsione di un corrispettivo e finanche di un deposito cauzionale; il gesto di violenza (lancio di un pezzo di marmo) costituiva in realtà un gesto di stizza nell’ambito della trattativa in corso; e) l’entità delle somme in ipotesi date in prestito e dei relativi interessi non sarebbe stata ancora accertata;

2) la mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione con riferimento al pericolo di reiterazione del reato, al pericolo di fuga e al pericolo di inquinamento probatorio; a questo riguardo il ricorrente osserva che mancherebbe la motivazione relativamente al pericolo di fuga, che il riferimento ai precedenti penati sarebbe generico (due condanne per ricettazione non sarebbero significative), la motivazione per il pericolo di inquinamento probatorio sarebbe carente in quanto le esigenze investigative relative all’esatta determinazione degli interessi sarebbero state già soddisfatte attraverso la consulenza tecnica disposta dal pubblico ministero;

3) la mancanza di motivazione con riferimento al rigetto della richiesta di sostituzione della custodia in carcere con altra meno afflittiva.

Il ricorso va rigettato.

Il primo motivo è infondato.

Va premesso che -come affermato più volte da questa Corte (Cass. Sez. 3, 14 aprile 2010 n. 17205, B; sez. 2, 28 novembre 2007 n.770, Giordani; sez. 3 26 ottobre 2006 n.39366, Gaudio; sez. 6, 7 novembre 1997 n.4381, Lupo; sez. 6, 5 luglio 1995 n.2803, Pozzessere; sez. 6, 22 dicembre 1993 n.4235, Chianese)- la dichiarazione della parte offesa del reato di per sè rappresenta un plus rispetto all’apporto richiesto dall’art. 273 c.p.p. (gravi indizi di colpevolezza) e non abbisogna, per remissione del provvedimento cautelare, nè di altri elementi di prova nè di riscontro esterno.

Infetti in tema di misure cautelari personali il termine "indizi", menzionato dall’art. 273 c.p.p., comma 1, assume un valore completamente diverso da quello che il medesimo termine ha nell’art. 192 c.p.p., comma 2, riferendosi unicamente alla natura del giudizio (di probabilità e non di certezza) che è richiesto ai fini dell’applicazione di una misura cautelare e rispetto al quale deve parlarsi non di "prove" ma sempre e comunque di "indizi", poichè che in sede di giudizio de liberiate gli elementi a carico non vanno valutati secondo gli stessi parametri richiesti nel giudizio di merito ( l’art. 273 c.p.p. richiama espressamente l’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, ma non il comma 2). Le dichiarazioni della persona offesa, pur dovendo essere valutate con opportuna cautela provenendo da chi ha un interesse antagonista rispetto a quello dell’imputato, possono pertanto essere assunte, anche da sole, come fonti di prova, se non risultino contrastate da altre diverse emergenze probatorie, siano credibili ed abbiano ad oggetto fiuti di diretta cognizione e specificamente indicati.

Nel caso di specie il Tribunale del riesame ha peraltro indicato una serie di elementi che confermano, sia pure parzialmente, le dichiarazioni della persona offesa Mi., ritenute complessivamente credibili nonostante alcune imprecisioni nella ricostruzione dei rapporti di prestito che il giudice per le indagini preliminari aveva giustificato con riferimento alla ragionevole confusione generata dal "vortice" in cui il Mi. si era venuto a trovare. Nell’ordinanza impugnata si fa quindi riferimento sia agli esiti delle intercettazioni telefoniche (tra le altre, in particolare, la conversazione del 15 ottobre 2010 nel corso della quale il M. indicava la somma dovutagli in Euro 30.000,00 e spiegava di non essere interessato alla corresponsione degli interessi sul dovuto, ma alla cessione dell’affitto di un terreno di proprietà del Mi.) e del servizio di osservazione, pedinamento e controllo svolto dagli agenti operanti (da cui risultava in più occasioni la presenza del M. nella sede dell’impresa del Mi.), sia alle matrici di numerosi assegni riferiti secondo la persona offesa al suo rapporto con il M..

Con le doglianze difensive circa il contenuto dell’intercettazione telefonica citata si tende a sottoporre, peraltro in maniera del tutto generica, al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale investigativo rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito, che esulano dal giudizio di legittimità. Anche te ulteriori deduzioni difensive circa la trattativa in corso tra il M. e la persona offesa per l’affitto del terreno di proprietà di quest’ultima e circa il "gesto di stizza" consistito nel lancio di un pezzo di marmo all’indirizzo del Mi. sono fondate su una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento del provvedimento impugnato, la cui valutazione è incensurabile in questa sede. Quanto alle matrici degli assegni e al loro limitato valore indiziario, la Corte rileva che la documentazione in questione, oggetto di ulteriori accertamenti come puntualizzato nel provvedimento impigliata è stata correttamente valutata, in una visione non parcellizzata della vicenda, come un significativo elemento di conferma della complessiva attendibilità della persona offesa la quale aveva offerto tutti gli elementi utili in suo possesso per la completa ricostruzione dei suoi rapporti finanziari con il M..

Anche il secondo motivo è infondato.

Quanto alla mancata considerazione nell’ordinanza impugnata dell’esigenza cautelare costituita dal pericolo di fuga, la doglianza difensiva è del tutto infondata poichè in sede di riesame è possibile confermare una misura cautelare anche per esigenze cautelari diverse da quelle poste a base della sua applicazione, in quanto l’art. 309 c.p.p., comma 9, consente al tribunale di annullare o riformare in senso favorevole all’imputato il provvedimento impegnato anche per motivi diversi da quelli enunciati nell’atto di impugnazione, ovvero di confermarlo per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento (Cass. sez. 6, 29 marzo 2007 n.26317, Caconi; sez. 5, 5 dicembre 2006 n.4446, Semeraro; sez. 1, 11 ottobre 2005 n.43014. Saccomanno; sez. 1, 10 gennaio 2000 n.51, Pata).

Inoltre il Tribunale del riesame ha correttamente ravvisato il pericolo concreto di reiterazione della condotta criminosa desumendolo non solo dalla personalità dell’imputato, con riferimento alle condanne per reati contro il patrimonio (del tutto opinabile è la doglianza difensiva, secondo la quale si tratterebbe di due condanne per ricettazione non significative), ma anche dalle modalità delle condotte, protratte nel tempo con atteggiamenti violenti (con specifico riferimento, quanto ai fatti estorsivi, ai due episodi di violenza fisica dirette alla persona).

In tal modo il giudice di merito ha operato una valutazione che, in modo globale, ha preso in considerazione entrambi i criteri direttivi (specifiche modalità e circostanze del fatto, personalità della persona sottoposta ad indagini desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali) indicati dall’art. 274 c.p.p., lett. c), (Cass. Sez. 5, 17 aprile 2009, n. 21441, Fiori; sez. 4, 1 aprile 2004 n. 37566, Albanese).

Priva di fondamento è anche la doglianza relativa alla motivazione circa la ritenuta sussistenza del pericolo di inquinamento probatorio poichè, anche se in maniera sintetica, il giudice di merito ha dato una giustificazione sufficientemente concreta del ritenuto pericolo per l’acquisizione dibattimentale e la genuinità della prova nonchè per l’approfondimento investigativo in ordine alla determinazione esatta degli interessi praticati, evidentemente non raggiunta attraverso la concludenza tecnica cui il ricorrente fa solo un generico riferimento.

Il terzo motivo è del tutto generico e, comunque, manifestamente infondato.

Dal contesto della motivazione della sentenza impugnata, in cui sono state espressamente e legittimamente richiamate tutte le osservazioni contenute nell’ordinanza custodiale in ordine alle esigenze cautelari, si desume che il pericolo di recidiva e quello di inquinamento probatorio sono stati ritenuti di rilevanza tale da far escludere, "per assicurare le finalità probatorie e la tutela della collettività", l’adeguatezza di misure cautelari diverse dalla custodia in carcere.

Al rigetto del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

A norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, copia del presente provvedimento va trasmesso al Direttore dell’Istituto Penitenziario in cui il ricorrente è ristretto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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