Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 08-07-2011) 19-09-2011, n. 34324

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza in data 29 marzo 2011 il Tribunale di Broscia in sede di riesame confermava l’ordinanza – emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brescia il 10 marzo 2011 – di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di \Laci Fatjon\ e \\Locci Giovanni\ qualificando come tentativo di estorsione e sequestro di persona il fatto qualificato nell’ordinanza cautelare come sequestro di persona a scopo di estorsione ai darmi di \Abidi Youne\, zio del denunciaste \Omtani Rahaduel\.

Avverso la predetta ordinanza gli indagati hanno proposto, tramite il difensore, ricorso per Cassazione.

Con il ricorso si deduce l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale e la mancanza o illogicità della motivazione con riferimento alla ritenuta attendibilità di \Abidi Younes\ e soprattutto di suo nipote \Omtani Rahduel\, soggetto che l’\Abidi\ aveva indicato come \Yefreni Mohamed\; sia \Abidi\ che \Omtani\ non offrirebbero alcuna garanzia sulla loro permanenza in Italia, mentre nessun elemento di riscontro sarebbe emerso a carico degli indagati (cittadini albanesi regolarmente soggiornasti in Italia e dediti a stabile attività lavorativa) circa le addotte ragioni del sequestro di \Abidi\ (un debito per torniture di sostanze stupefacenti all’\Omtani\); il Tribunale non avrebbe tenuto adeguato conto delle informazioni rilasciate ai sensi dell’art. 391 bis c.p.p. da due donne, tali \Serdjuka\ e \Vjazovkma\, secondo le quali l’\Abidi\ all’interno dell’appartamento di (omissis) in cui era stato condotto non si trovava in stato di restrizione nè era sorvegliato e, addirittura, si era allontanato unitamente agli indagati dall’abitazione per farvi ritorno dopo circa un’ora e disponeva del telefono cellulare; nè sia stato trovato il foglio sul quale il \\Locci\ avrebbe trascritto i dati della carta d’identità di \Abidi\ che, a dire di quest’ultimo, si sarebbe fatto consegnare; non vi sarebbero elementi, inoltre, che comprovassero un’attività estorsiva ai danni dell’\Omtani\, anche attraverso le pretese telefonale minacciose che a costui (secondo l’\Abidi\) sarebbero state rivolte dopo la presentazione della denuncia e di cui non vi era traccia.

Il ricorso è inammissibile.

I ricorrenti tendono a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale indiziario rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito. Intatti i ricorrenti formulano censure di merito improponibili in sede di legittimità, prospettando sostanzialmente una rilettura in fatto degli elementi indiziari già presi in considerazione e analiticamente valutati nella loro complessiva gravità dal Tribunale del riesame, che ha adeguatamente giustificato le conclusioni circa la sussistenza della gravità indiziaria attraverso una puntuale valutazione delle emergenze investigative e una motivazione coerente e lineare, esente da contraddizioni e manifeste illogicità (Cass. Sez. Un. 22 marzo 2000 n. 11, Audino;

sez. 4, 3 maggio 2007 n.22500, Terranova). Va ribadito, infatti, che a controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale è diretto a verificare, da un lato, la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato argomentativo che collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza dell’indagato e, dall’altro lato, la valenza sintomatica degli india senza coinvolgere il giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici (Cass. Sez.Un.30 aprile 1997 n.6402, Dentinone; sez. 1, 20 marzo 1998 n. 1700, Barbaro). In sede di ricorso proposto ai sensi dell’art. 311 c.p.p., comma 2, la motivazione del provvedimento che dispone una misura coercitiva è pertanto, censurabile solo quando sia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito o talmente priva di coordinazione e carente dei necessari passaggi logici da far risultare incomprensibili te ragioni che hanno giustificato l’applicazione della misuro (Cass. sez. 1, 7 dicembre 1999 n.6972, Alberti). Nell’ordinanza impugnata vengono invece puntualmente posti in evidenza i plurimi e convergenti elementi che consentivano di identificare nei due ricorrenti e in \Farruku Remi\ coloro che avevano sequestrato \Abidi Younes\ e tentato di estorcere denaro ad \Omtani Rahduel\ attraverso un’organica e consequenziale ricostruzione della vicenda basata soprattutto sulle dichiarazioni della persona offesa \Abidi\, ritenuta (al contrario dell’\Omtani\ il quale aveva fornito una versione sostanzialmente coincidente, ma viziata da "eccessi narrativi e affermazioni non riscontrate) pienamente attendibile perchè priva di "relazioni personali di cointeressenza o di precedente frequentazione con le persone dei coindagati". In particolare il giudice di merito ha evidenziato l’immediato riconoscimento da parte di \Abidi\ nelle persone dei tre indagati di coloro che lo avevano sequestrato, minacciandolo con un cacciavite (arnese che era stato effettivamente rinvenuto a bordo dell’autovettura in uso ai tre, unitamente ad un paio di manette), e lo avevano condotto in un’abitazione occupata da due ragazze di origine russa (circostanza che aveva trovato successiva conferma nelle dichiarazioni, assunte nell’ambito delle indagini difensive, delle due donne). Nell’ordinanza impugnata si pone inoltre in rilievo che i tre, che l’\Abidi\ non aveva alcun motivo di seguire spontaneamente non avendoli mai conosciuti prima, vantavano un credito nei confronti dell’\Omtani\, come confermato esplicitamente dai ricorrenti e, indirettamente, dalle due donne russe che avevano sentilo discorsi relativi a rapporti pecuniari tra i protagonisti della vicenda, oltre che dallo stesso \Omtani\ (il quale aveva tuttavia indicato come effettivo debitore un suo amico, tale \Ballouti Samir\). Le dichiarazioni rese dalle due dorme russe sono state infine debitamente valutate dal giudice di merito il quale, pur ritenendo di dover escludere sulla base delle dichiarazioni in questione comportamenti aggressivi nei confronti dell’\Abidi\, ha, con argomentazione immune da viù logici e giuridici, ritenuto che "la coartazione della sua volontà si sia efficacemente prodotta proprio con i fatti della prima aggressione subita, con la privazione del veicolo di sua appartenenza, con l’allontanamento da persone eventualmente in grado di offrirgli un aiuto, con l’isolamento presso luoghi lontani e, soprattutto, con la continua compresenza dei sequestratoti". Quanto al tentativo di estorsione ai danni dell’\Omtani\, il Tribunale del riesame ha tenuto conto della descrizione da parte dell’\Abidi\ dei ripetuti contatti telefonici tra i suoi sequestratoli e il nipote al quale, con fare minaccioso, era state chiesta la pronta corresponsione di una somma di denaro, non correlata tuttavia alla liberazione dello zio ma ai personali rapporti pregressi con l’\Omtani\ (non ha mancato il Tribunale del riesame, nella parte riservata alla ricostruzione della vicenda, di evidenziare che uno dei sequestratoli conosceva il numero dell’utenza cellulare dell’\Omtani\).

Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno di una somma in favore della Cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000,00.

A norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, copia del presente provvedimento va trasmesso al Direttore dell’istituto penitenziario in cui il ricorrente è ristretto.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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