T.A.R. Sicilia Catania Sez. I, Sent., 06-10-2011, n. 2417 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con provvedimento n° URB 07/930 del 28.10.10, l’Amministrazione resistente ha denegato la concessione edificatoria richiesta dalla ricorrente in data 04.07.08, relativa alla demolizione e ricostruzione di alcuni edifici, nel rispetto della cubatura esistente e dei parametri urbanistici della zona.

Il provvedimento così formulato non avrebbe tenuto delle osservazioni presentate dalla ricorrente con nota del 31.12.2009, di seguito al preavviso di rigetto del 15.12.2009, con la quale si è affermato che il progetto di intervento, oltre a rispettare la cubatura complessiva esistente, sarebbe conforme ai parametri di zona dettati dal vigente p.r.g. e rispettoso di tutti i vincoli insistenti nella zona, ancorché scaduti da tempo.

Parte ricorrente, con il ricorso in epigrafe, ha impugnato il detto diniego, affidandosi alle seguenti censure:

I. Eccesso di potere per inesistenza dei presupposti e travisamento – Violazione e falsa applicazione dell’art. 10 d.p.r. 380/01 – Violazione e falsa applicazione dell’art. 10 bis della l. 241/90 – Eccesso di potere per difetto di motivazione.

Posto che il provvedimento di assenso edilizio consiste in una concessione edilizia, sarebbe inutile dubitare, come espresso nel diniego, della configurabilità del progetto alla fattispecie di ristrutturazione edilizia.

In ogni caso, l’intervento in questione, ai sensi delle norme calendate, rientrerebbe a pieno titolo nella fattispecie di ristrutturazione, di tal guisa che il diniego fondato sulla non configurabilità sarebbe illegittimo.

Altrettanto illegittimo sarebbe il diniego orientato al contrasto sulle norme tecniche, posto che non sarebbe stata individuata l’effettiva motivazione posta a fondamento della scelta operata dall’Amministrazione, ove, per altro, si consideri che nessun elemento motivazionale sarebbe stato riferito alle osservazioni presentate di seguito al preavviso di diniego.

II. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della l.r. 17/94.

In ogni caso, in applicazione della norma calendata, essendo decorso il termine di centoventi giorni dalla domanda, si sarebbe formato il silenzio assenso sulla richiesta di concessione edilizia.

Costituitosi, il Comune ha concluso per l’infondatezza del gravame, evidenziando tutta una serie di motivi che osterebbero all’accoglimento del progetto contenuti nella scheda istruttoria e la circostanza che la ricorrente, in sede di osservazioni al preavviso di diniego, si sarebbe impegnata a presentare una variante, poi non prodotta.

Alla pubblica udienza del 9.6.2011, la causa è stata trattenuta per la decisione.

2. Come premesso in punto di fatto, il ricorso è volto ad impugnare il diniego di rilascio di una concessione edilizia volta alla demolizione e ricostruzione di edifici di proprietà della ricorrente.

La motivazione del provvedimento impugnato è affidata alle seguenti conclusioni:

a) condivisione del parere contrario della scheda tecnica istruttoria,

b) "l’intervento proposto non è riconducibile alla ristrutturazione ma è da considerare come nuova costruzione in quanto non viene rispettata la sagoma del preesistente, nonché l’altezza alla gronda e l’area di sedime, e che pertanto la costruzione sia in contrasto con le norme di attuazione del p.r.g. vigente";

c) condivisione con quanto sostenuto nel preavviso di diniego, nota prot. n. 291000/09 del 15.12.2009, relativamente al contrasto tra la costruzione proposta e le norme di attuazione del P.R.G. vigente.

Nel dettaglio, posto che gli atti sub a) e c) debitamente fanno parte del complesso motivazionale, in quanto espressamente richiamati nel provvedimento di diniego, è da dire che la scheda tecnica così stabilisce:

"Zonizzazione di prg – Per la destinazione urbanistica dell’immobile si allega l’annotazione di P.R.G. del 6.10.2008: premesso l’art. 1 della l.r. 5.11.1973 n. 38 e successive modifiche ed integrazioni la particella 261 del foglio 9 ricade parte in SEDE STRADALE, parte in VINCOLO ASSOLUTO, fascia di rispetto stradale e porzione in VERDE PUBBLICO a corredo dell’asse stradale".

Ed ancora: "considerato che con la circolare Lunardi (n. 4174 del 7/8/2003) viene precisato quanto segue: che con l’intervento di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione si deve tenere conto della volumetria e della sagoma preesistenti; che il mancato riferimento al rispetto dell’area di sedime non consente la ricostruzione dell’edificio all’interno del lotto in maniera del tutto discrezionale; che si possono consentire modifiche di collocazione rispetto alla precedente area di sedime, rientrante nelle varianti essenziali; che in caso di diverso posizionamento dell’edificio occorre adeguarsi alle disposizioni contenute nella strumentazione urbanistica vigente per quanto attiene allineamenti, distanze e distacchi", ha concluso con la definizione di cui al punto b).

In ultimo, in riferimento all’esito dell’istruttoria, la scheda rileva "la non conformità del progetto alle prescrizioni della normativa urbanistica generale, alle prescrizioni di zona e alle norme di attuazione del P.R.G. vigente".

Il preavviso di diniego prot. n. 291000 del 15.12.2009, così come esibito dalla stessa Amministrazione, comunica la non assentibilità "perché l’intervento edilizio proposto non è riconducibile alla ristrutturazione ma è da considerare come nuova costruzione in quanto non viene rispettata la sagoma, l’altezza alla gronda e l’area di sedime preesistenti".

Nulla viene detto in ordine alla conformità al vigente P.R.G. o circa la sussistenza di vincoli.

Ciò consente di valorizzare la censura secondo la quale il provvedimento adottato sarebbe adottato senza un sufficiente supporto motivazionale.

Invero, ma la circostanza non viene dedotta, il provvedimento, in ordine alla conformità alle NTA, prevede delle considerazioni assolutamente non presenti nel preavviso di rigetto.

Tuttavia, parte ricorrente, nell’esitare detto necessario incombente procedurale, con nota acquisita al protocollo del Comune in data 31.12.2009, ha chiarito che i vincoli sarebbero scaduti, che l’intervento sarebbe rivolto a migliorare la viabilità di zona, mediante arretramento della nuova costruzione rispetto a quella da demolire, in maniera tale da consentire l’allargamento dell’arteria stradale principale.

Su dette autonome valutazioni, il Comune, in effetti, replica solo in sede di ricorso, adducendo la configurabilità della zona come "bianca", con le ordinarie conseguenze in ordine alla possibilità di realizzare la demolizione e ricostruzione dell’immobile.

Nel provvedimento, considerando la scheda tecnica richiamata, si riferisce solo della zona soggetta a vincoli (riferendosi alla sola particella catastale), senza alcuna specificazione circa l’incidenza reale del progetto su detti vincoli, per altro confutati da parte ricorrente in sede di controdeduzioni.

Tanto appare sufficiente per ritenere fondata la censura, con la precisazione che il Comune potrà rideterminarsi adeguatamente motivando.

2.a.) Ciò posto, ritiene il Collegio di dover affrontare con precedenza la questione posta con la seconda censura, secondo la quale si sarebbe formato il titolo edilizio per l’inutile decorso del termine di 120 giorni dalla presentazione della domanda.

Chiarisce subito il Collegio che parte ricorrente non deduce che, una volta trascorso il detto termine, la stessa abbia presentato la comunicazione di avvio dei lavori e la perizia giurata di cui all’art. 2 della l.r. 17/94.

Il Tribunale ha avuto modo di chiarire (cfr, ex multis, T.A.R. Sicilia Catania, sez. I, 14 luglio 2010, n. 3034) "che infondato è il motivo di gravame con il quale la parte ricorrente ritiene che, a fronte del decorso dei 120 giorni previsti dall’art. 2 della l.r. 17/94, essendosi formato il silenzio assenso, il Comune consumerebbe il proprio potere di intervenire sull’atto ormai del tutto efficace (cfr. T.A.R. Catania, I, 23.11.2004, n. 3386; I, 21.11.2006 n. 2322). Ed invero, sussistendo i presupposti di legge (art. 2 L.r. 17/1994), il decorso di 120 giorni dalla presentazione della domanda di concessione edilizia attribuisce al richiedente una posizione equiparabile all’ottenimento della concessione stessa, con la differenza però che il procedimento non può dirsi concluso fin quando l’interessato non abbia comunicato di aver dato inizio ai lavori, aprendo così una seconda fase che si conclude o con un intervento esplicito della P.A., sollecitata a riesaminare la pratica per effetto della manifestata intenzione di iniziare l’opera, o con il decorso dell’ulteriore termine di 30 giorni; in quest’ultima ipotesi il silenzio assenso può ritenersi consolidato, nel senso che il comune non ha più il fisiologico governo della pratica edilizia, e pertanto non può più decidere sulla stessa con atto "di primo grado" (cfr., altresì, T.A.R. Sicilia, Palermo, I, 11.2.2003 n. 148 e, sostanzialmente in termini C.G.A. 8.3.2005, n. 111, che, però, ritiene che l’Amministrazione possa "revocare" il titolo tacitamente formatosi anche solo al mero fine di ripristinare la legalità violata e senza applicazione degli ordinari principi in materia di autoannullamento d’ufficio, riferendo la verifica di legittimità del titolo abilitativo edilizio alla data della sua formazione).

Ciò premesso, il Collegio rileva che i commi 5 e 7 dell’art. 2 della l.r. 17/94, stabiliscono quanto segue:

5. La domanda di concessione edilizia si intende accolta qualora entro centoventi giorni dal ricevimento dell’istanza, attestato con le modalità di cui al comma 2, non venga comunicato all’interessato il provvedimento motivato di diniego.

7. Per quanto previsto al comma 5, prima dell’inizio dei lavori il progettista deve inoltrare al sindaco una perizia giurata che asseveri la conformità degli interventi da realizzare alle prescrizioni urbanistiche ed edilizie, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e sanitarie e l’ammontare del contributo concessorio dovuto in base alla normativa vigente.

Dal combinato disposto delle due norme, quindi, emerge che già la semplice comunicazione dell’avvio dei lavori non appare sufficiente a consolidare la formazione della concessione edilizia ove non sia accompagnata dalla produzione della perizia giurata, così come descritta al comma 7.

Invero, detto comma, esordisce con l’espresso rinvio al comma 5 ("per quanto previsto dal comma 5") ad indicare, quindi, che la sanatoria per silenzioassenso ivi prevista non è soltanto condizionata al mero decorso del tempo, ma dalla combinazione delle due condizioni: la comunicazione di inizio lavori e la legittimità degli stessi avvalorata da una necessaria perizia tecnica attestante la conformità alle prescrizioni urbanistiche ed edilizie, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e sanitarie".

Dagli atti della causa, come premesso, emerge che la ricorrente non ha esibito né la comunicazione d’avvio lavori, né la perizia tecnica.

Sicché, non può dirsi che si sia consolidato il silenzio assenso e, quindi, la concessione edilizia.

2.b) Con il primo motivo di ricorso, è stata stigmatizzata l’illegittimità del provvedimento impugnato, in quanto fondata sulla non configurabilità di una ristrutturazione, ma di una nuova costruzione "in quanto non viene rispettata la sagoma del preesistente, nonché l’altezza alla gronda e l’area di sedime, e che pertanto la costruzione sia in contrasto con le norme di attuazione del p.r.g. vigente".

La modifica strutturale, così come descritta, non viene contestata da parte ricorrente, che, però sottolinea come la ricostruzione sia prevista nel rispetto della volumetria esistente e dei medesimi indici urbanistici di zona, con una parziale traslazione dell’area di sedime.

Rileva il Collegio che è incontestato che le altezze e la sagoma siano diverse da quelle del fabbricato originale, come del resto risulta dalle planimetrie allegate al ricorso.

Sostiene parte ricorrente che ciò non pregiudicherebbe l’assentibilità del progetto mediante il titolo edilizio più qualificato, appunto, in Sicilia, la concessione edilizia.

Sulla questione posta all’attenzione del Collegio, parte ricorrente ha richiamato la giurisprudenza del Giudice di seconde cure (CGA, 25.5.2009, n. 481) secondo la quale "la Regione siciliana, ai sensi dell’art. 14, lett. f), dello Statuto regionale, ha, nella materia dell’urbanistica, competenza legislativa primaria o esclusiva. Nondimeno, molte disposizioni dell’ordinamento statale sono state recepite nell’ordinamento regionale, e ciò anche – per quanto qui rileva – nelle materie dell’urbanistica e dell’edilizia.

L’art. 1 della L.R. 10 agosto 1985, n. 37, ha recepito la L. 28 febbraio 1985, n. 47, "ad eccezione degli articoli 3, 5, 23, 24, 25, 29 e 50,… con le sostituzioni, modifiche ed integrazioni" ivi previste.

L’art. 9, comma 1, di detta legge n. 47/1985, considerando "le opere di ristrutturazione edilizia, come definite dalla lettera d) del primo comma dell’articolo 31 della legge 5 agosto 1978, n. 457", mostra di richiamare nell’ordinamento regionale siciliano quantomeno la definizione di "ristrutturazione edilizia" contenuta nella cit. lett. d) dell’art. 31 della legge statale n. 457/1978.

Sicché, con legge regionale posteriore e perciò prevalente, tale ultima disposizione è stata sovrapposta – con effetti da ritenere estesi anche alla successiva "codificazione" operatane dall’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001; il quale ultimo è comunque utilizzabile, almeno come essenziale parametro esegetico della stessa legislazione regionale – all’identica lett. d) dell’ art. 20 L.R. 27 dicembre 1978, n. 71.

Inoltre, l’art. 1 della cit. L.R. n. 71/1978 – a tenore del quale "sino alla emanazione di una organica disciplina regionale, la legislazione statale e regionale in materia urbanistica si applica con le modifiche e le integrazioni della presente legge" – ha recepito nella legislazione regionale fra l’altro la cit. legge statale n. 457/1978.

Tornando, per quanto qui rileva, al relativo art. 31 (recante la "definizione degli interventi") – e, in particolare, della relativa lett. d) del primo comma – è agevole osservare che tale disposizione è stata trasfusa letteralmente nell’art. 20 della cit. L.R. n. 71/1978.

La medesima disposizione è stata, quindi, riportata nell’art. 3, comma 1, lett. d), del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, con l’aggiunta – nel testo originario – di un ulteriore periodo, del seguente tenore: "Nell’àmbito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e successiva fedele ricostruzione di un fabbricato identico, quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali, a quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica".

L’art. 1, comma 1, lett. a), del D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 301 – anteriore alla stessa data di entrata in vigore del testo unico (1 luglio 2003) nonché a quella (24 luglio 2003) di inizio della ricostruzione dell’edificio crollato durante la manutenzione straordinaria – ha infine sostituito le parole: "successiva fedele ricostruzione di un fabbricato identico, quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali, a quello preesistente" con le seguenti: "ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente".

Sin dal 1 luglio 2003, ai sensi della cit. lett. d) sono, dunque, ""interventi di ristrutturazione edilizia", gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell’àmbito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica".

Peraltro, lo stesso art. 1, comma 1, D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 301, ha novellato, con la successiva lett. b), altresì l’art. 10, comma 1, lett. c), del T.U. approvato con il cit. D.P.R. n. 380/2001, inserendo, dopo le parole "ristrutturazione edilizia", le seguenti: "che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e".

Per l’effetto, il testo di detto art. 10 è questo: "Costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire:… c) gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso".

Correlativamente, l’art. 22 del D.P.R. n. 380/2001, già ab origine, stabilisce che "sono realizzabili mediante denuncia di inizio attività gli interventi non riconducibili all’elenco di cui all’articolo 10 e all’articolo 6" (quest’ultimo riguardante l’attività edilizia libera).

3.2. – Nella relazione ministeriale al D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 301, è dato rinvenire alcuni chiarimenti di basilare rilievo esegetico.

"Come è noto, la legge 21 dicembre 2001, n. 443 (c.d. legge Obiettivo), introduce numerose e sostanziali modifiche anche alla disciplina concernente i titoli abilitativi occorrenti per realizzare le opere edilizie. In particolare, la citata legge amplia la possibilità di ricorrere alla denuncia di inizio attività (D.I.A.) includendo tutti gli interventi, ivi compresa la demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma, classificabili nella categoria della ristrutturazione edilizia…".

Ivi si specifica che, ai sensi dell’art. 1, comma 14, di detta L. n. 443/2001, il cit. D.Lgs. n. 301/2002 ha inteso "dare adempimento alla richiamata disposizione"; e che "la lettera a) del testo… modifica, all’interno della definizione degli interventi di ristrutturazione edilizia, la categoria della demolizione e ricostruzione, la quale per essere compresa in tale categoria occorre solamente che abbia – ai sensi dell’art. 1, comma 6, lettera b), della legge n. 443 del 2001 – la stessa volumetria e sagoma. La lettera b) del testo… introduce un richiamo alla definizione di ristrutturazione edilizia, adottata dall’art. 3 del testo unico, volto a chiarire che all’interno della categoria generale delle ristrutturazioni edilizie viene richiesto il permesso di costruire solo per gli interventi stabiliti dall’art. 10".

3.3. – Stima il Collegio che quest’ultimo passaggio della relazione sia davvero dirimente, per la corretta esegesi del sistema vigente; con correlativa inconferenza, a tal fine, della giurisprudenza formatasi in riferimento a vicende anteriori al 30 giugno 2003.

La dichiarata "intenzione del legislatore" – che, nella specie, risulta esattamente trasfusa sia nel tenore letterale che nell’oggettiva ratio legis espressa del vigente testo unico – è dunque che "all’interno della categoria generale delle ristrutturazioni edilizie viene richiesto il permesso di costruire solo per gli interventi stabiliti dall’art. 10".

Il che equivale a dire che il nuovo discrimen tra gli interventi soggetti e quelli non soggetti a permesso di costruire (ossia al titolo abilitativo edilizio che in Sicilia è ancora denominato concessione edilizia) non passa più – come affermato dalla sentenza qui appellata, che per questo ha disatteso il ricorso per motivi aggiunti – tra la lettera c) e la lettera d) dei cit. artt. 31 L. n. 457/1978, 20 L.R. n. 71/1978 e 3 D.P.R. n. 380/2001 (nel senso che solo gli "interventi di restauro e di risanamento conservativo" non abbisognano di permesso di costruire, o titolo equivalente, il quale sarebbe invece necessario per tutti gli "interventi di ristrutturazione edilizia").

Tale discrimen è, invece, interno alla lettera d) di tutte le citate disposizioni legislative (nazionali e regionali): dovendosi discernere, tra gli "interventi di ristrutturazione edilizia" ivi enumerati, quelli che – ai sensi dell’art. 10 T.U. cit. – "portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso", richiedenti il permesso di costruire; da quelli che consistano, invece, nella realizzazione di un organismo edilizio identico al precedente, senza aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, né, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, mutamenti della destinazione d’uso, che viceversa tale permesso non richiedono, restando perciò soggetti alla disciplina abilitativa semplificata di cui all’art. 22 del cit. T.U. (Cfr., parzialmente de eadem re, C.d.S., 11 aprile 2007, n. 1669)".

Ciò posto, il Comune asserisce, con il provvedimento impugnato, che nel caso in esame non potrebbe configurarsi l’ipotesi di ristrutturazione, ma la diversa fattispecie, di seguito alla demolizione, non essendo mantenuti i requisiti di sagoma, l’altezza di gronda e l’area di sedime, di nuova costruzione.

Occorre precisare ulteriormente quale sia la differenza tra le due fattispecie.

Secondo condivisibile giurisprudenza (cfr. T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I, 09 febbraio 2011, n. 239; Cons. St., Sez. IV, 9 luglio 2010 n. 4462, ivi richiamato), "la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha ripetutamente chiarito che… il concetto di ristrutturazione edilizia comprende anche la demolizione seguita dalla fedele ricostruzione del manufatto, purché tale ricostruzione assicuri la piena conformità di sagoma, di volume e di superficie tra il vecchio ed il nuovo manufatto e venga, comunque, effettuata in un tempo ragionevolmente prossimo a quello della demolizione (si veda, fra le tante, Cons. St., Sez. sez. V, 3 aprile 2000, n. 1906) ".

Intervenuto, come sopra chiarito, a definire siffatto intervento edilizio, l’art. 3 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, e la modifica introdotta dall’art. 1 del D. Lgs. 27 dicembre 2002, n. 301, il vincolo della fedele ricostruzione richiesto dalla prima norma è venuto meno, così estendendosi ulteriormente il concetto della ristrutturazione edilizia, che, continua la decisione n. 239/11 Tar Brescia cit.,"per quanto riguarda gli interventi di ricostruzione e demolizione ad essa riconducibili, resta distinta dall’intervento di nuova costruzione per la necessità che la ricostruzione corrisponda, quanto meno nel volume e nella sagoma, al fabbricato demolito (Cons. St., Sez. IV, 28 luglio 2005 n. 4011; Cons. St., Sez. V, 30 agosto 2006 n. 5061).

In particolare, la giurisprudenza (cfr. Cons. St., Sez. VI, 16 dicembre 2008 n. 6214; Sez. IV, 16 giugno 2008 n. 2981; Sez. V, 4 marzo 2008 n. 918; Sez. IV, 26 febbraio 2008 n. 681) ha sottolineato che ciò che contraddistingue la ristrutturazione dalla nuova edificazione è la già avvenuta trasformazione del territorio, attraverso una edificazione di cui si conservi la struttura fisica (sia pure con la sovrapposizione di un "insieme sistematico di opere, che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente"), ovvero la cui stessa struttura fisica venga del tutto sostituita, ma – in quest’ultimo caso – con ricostruzione, se non "fedele" – termine espunto dall’attuale disciplina -, comunque, rispettosa della volumetria e della sagoma della costruzione preesistente".

Quindi, non esiste un tertius genus di ristrutturazione preceduta da demolizione che consenta anche la realizzazione di un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comporti aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comporti mutamenti della destinazione d’uso.

E la distinzione, continua la citata decisione del TAR Lombardo n. 239/11, "non è priva di rilievo, posto che va precisato il differente regime cui sono soggetti gli interventi di ristrutturazione edilizia rispetto alle nuove costruzioni: ove la ristrutturazione mantenga inalterati i parametri urbanistici ed edilizi preesistenti, l’intervento non è subordinato al rispetto dei vincoli posti dagli strumenti urbanistici sopravvenuti, giacché la legittimazione urbanistica del manufatto da demolire si trasferisce su quello ricostruito (cfr. TAR Milano, Sez. 2°, 7.9.2010 n. 5122, Cons. St, Sez. V, 14 novembre 1996 n. 1359; Cons. St., Sez. V, 28 marzo 1998 n. 369; Cass. civ., sez. II, 12 giugno 2001 n. 7909; Tar Calabria, Reggio Calabria, 24 gennaio 2001 n. 36; Puglia, Bari, sez. III, 22 luglio 2004 n. 3210)".

Ritiene il Collegio, conclusivamente, che dai principi sopra esposti si possano prospettare le seguenti categorie di ristrutturazione edilizia:

1) interventi edilizi che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso (necessitanti il permesso di costruire)

2) interventi edilizi consistenti nella realizzazione di un organismo edilizio identico al precedente, senza aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, né, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, mutamenti della destinazione d’uso (per i quali è sufficienti la d.i.a.);

3) ristrutturazione relativa alla ricostruzione seguita alla demolizione di un organismo di cui mantiene quanto meno sagoma e volume (per i quali è sufficienti la d.i.a. e, in Sicilia – secondo la medesima citata decisione n. 480/10 del CGA -, l’autorizzazione edilizia ex art. 5 L.R. n. 37/1985).

Quindi, non è configurabile un’ipotesi residuale di ristrutturazione derivante da una demolizione e ricostruzione che non mantenga, quanto meno, sagoma e volume.

Invero, per mera completezza, è da dire che, in riferimento al concetto di ristrutturazione, è possibile, sia pure in maniera del tutto limitata, anche la traslazione dell’area originaria.

Secondo la Circolare 7 agosto 2003, n. 4174 del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti "debbono considerarsi ammissibili, in sede di ristrutturazione edilizia, solo modifiche di collocazione rispetto alla precedente area di sedime, semprechè rientrino nelle varianti non essenziali, ed a questo fine il riferimento è nelle definizioni stabilite dalle leggi regionali in attuazione dell’art. 32 del Testo unico. Resta in ogni caso possibile, nel diverso posizionamento dell’edificio, adeguarsi alle disposizioni contenute nella strumentazione urbanistica vigente per quanto attiene allineamenti, distanze e distacchi.

In ragione delle considerazioni espresse, per gli interventi di demolizione e ricostruzione inclusi nella ristrutturazione non può trovare applicazione quella parte della normativa vigente che detta prescrizioni per quanto riguarda gli indici di edificabilità ed ogni ulteriore parametro di carattere quantitativo (altezze, distanze, distacchi, inclinate, ecc.) riferibile alle nuove costruzioni. Ciò in quanto il relativo rispetto potrebbe risultare inconciliabile con la demolizione e ricostruzione intesa come operazione da effettuarsi con la sola osservanza della sagoma e della volumetria preesistenti (ed in tale prospettiva, qualora non venga utilizzata per intero la sagoma e la volumetria esistenti, l’intervento non può essere incluso nella categoria della ristrutturazione edilizia).

Va però soggiunto che la demolizione e ricostruzione, rientrando per espressa declaratoria legislativa nella ristrutturazione edilizia, dovrà rispettare le prescrizioni ed i limiti dello strumento urbanistico vigente per quanto compatibili con la natura dell’intervento e quindi non in contrasto con la possibilita’, esplicitamente prevista dal legislatore, di poter operare la ricostruzione attenendosi al solo rispetto di sagoma e volume. Più specificatamente la demolizione e ricostruzione può comportare aumenti della superficie utile nei limiti consentiti o non preclusi per la ristrutturazione edilizia: in proposito, deve ritenersi insita nella natura di tale intervento la possibilità di aumento della superficie utile con il conseguente incremento del carico urbanistico, stante la fondamentale ratio legislativa di favorire il rinnovo del patrimonio edilizio anche sotto un profilo tecnicoqualitativo che comporta il più delle volte, per la stessa praticabilità dell’intervento, un diverso dimensionamento della superficie utile".

Venendo al caso in esame, non può concludersi, come fa parte ricorrente, che è sufficiente inquadrare la fattispecie in esame in quella per la quale è necessario il permesso di costruire e, quindi, in Sicilia, la concessione edilizia, posto che tra i concetti di nuova edificazione e ristrutturazione edilizia non vi è soltanto una diversa accezione terminologica, ma, come si è visto, una diversa disciplina in ordine ai requisiti di conformità.

E’ indubbio che il progetto di cui si chiede l’assenso edilizio, pur rispettando la volumetria preesistente, non mantiene la medesima sagoma e tanto basta per non consentire una catalogazione dell’intervento edilizio tra quelli di ristrutturazione, con la conseguenza che, trattandosi di nuova costruzione, così come il Comune sostiene, deve essere conforme a tutte le prescrizioni di PRG e con le NTA.

Tuttavia, in questo senso, rammentando quanto ritenuto in ordine alla insufficienza delle motivazioni espresse nel provvedimento impugnato circa la sussistenza dei vincoli e alla non conformità del progetto alle norme di attuazione, il Comune avrebbe dovuto esprimersi relazionando il progetto alle concrete regole poste a presidio del territorio.

Né, si badi bene, l’eventuale individuazione da parte dell’Amministrazione del tipo di intervento edilizio rispetto alla domanda presentata dal privato può essere sufficiente a consentire il diniego, in quanto, ove mai il progetto, seppur erroneamente qualificato, fosse conforme a tutta la normativa di settore (interna e non), lo stesso avrebbe dovuto essere approvato.

Sicché rimane comunque l’obbligo del Comune di rappresentare quali norme si ritengano violate dalla istanza di rilascio del titolo edilizio.

Anche in questo caso, quindi, la censura va accolta e, pertanto, va confermato l’annullamento del provvedimento impugnato, con salvezza delle determinazioni dell’Amministrazione alla luce delle considerazioni espresse dalla presente decisione.

Stimasi equo disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, facendo salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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