T.A.R. Sicilia Palermo Sez. III, Sent., 06-10-2011, n. 1737 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il ricorso in epigrafe, notificato il 16 febbraio 1999 e depositato il 13 marzo seguente, è impugnato l’ordine di demolizione e sgombero del materiale di risulta dell’immobile di cui in epigrafe in quanto posto entro i 150 metri dalla battigia e, dunque, insanabile ai sensi dell’art. 23, comma 10 della L.r. n. 37 del 1985;

I ricorrenti riferiscono:

– di avere edificato il rustico prima del 31 dicembre 1976;

– di avere successivamente realizzato opere di completamento e, nel 1982, altri due vani;

– di avere presentato istanza di sanatoria ai sensi della legge regionale n. 37 del 1985, rigettata con provvedimento del Sindaco del Comune intimato, notificato alla sig.ra S., in data 1 ottobre 1996;

– di avere contestato, con nota del 30 ottobre 1996, la predetta decisione negativa in quanto l’immobile sarebbe stato realizzato in epoca antecedente al 31 dicembre 1976, e di avere allegato, al tal fine, una dichiarazione sostitutiva di atto notorio in cui sarebbero stati indicati i tempi di costruzione del fabbricato per il quale è causa;

– che il Comune intimato, con provvedimento a firma del Sindaco e del responsabile dell’Ufficio comunale competente, del 16 dicembre 1996, si sarebbe riservato di avviare una nuova istruttoria e di comunicarne gli esiti.

Deducono l’illegittimità dell’ordine di demolizione n. 12/98 del 30 dicembre 1998 e del rigetto dell’istanza di condono che nel medesimo atto, a loro dire, sarebbe contenuto, per i seguenti motivi:

"1) Eccesso di potere per contrasto con precedente provvedimento; difetto di motivazione violazione dell’art. 3, l.r. 10/91" in quanto il Comune avrebbe comunicato la riapertura dell’istruttoria con ciò determinando la sopravvenuta inefficacia del diniego di sanatoria del 9 settembre 1996;

"2) Violazione dell’art. 8 della l.r. n. 10/91": benché sia noto che secondo la giurisprudenza amministrativa non è necessario l’avviso di avvio del procedimento in materia di repressione degli abusi edilizi, la particolarità del caso concreto, ove l’amministrazione si sarebbe impegnata alla riapertura dell’istruttoria, né avrebbe imposto l’effettuazione;

"3) Eccesso di potere per travisamento dei fatti; difetto d’istruttoria; erronea applicazione dell’art. 23 co. 10, l.r. n. 37/85; violazione dell’art. 26, co. 3, lett. f) della l.r. 37/85", poiché nessuna prova contraria il Comune avrebbe offerto per smentire il fatto della realizzazione dell’immobile in data anteriore al 31 dicembre 1976, così come avrebbero dimostrato i ricorrenti con l’apposita dichiarazione sostitutiva e come si ricaverebbe dall’atto di acquisto del fondo risalente al 17 gennaio 1975;

"4) Erronea e falsa applicazione dell’art. 15, lett. a) l. 78/1976", dato che al tempo della domanda di sanatoria – che, ad avviso dei ricorrenti, sarebbe il momento rilevante ai fini dell’individuazione della disciplina edilizia da applicare al coso concreto – la zona omogenea ove è ubicato il manufatto di che trattasi era ormai normata come zona B4, donde l’inapplicabilità del vincolo d’inedificabilità assoluta, per espressa previsione contenuta nella norma predetta;

"5) Erronea e falsa applicazione dell’art. 23, co. 10, della l.r. n. 37/85", poiché non andrebbe condivisa la tesi giurisprudenziale secondo cui l’art. 2 della l.r. n. 15/1991 avrebbe natura interpretativa del comma 10 dell’art. 23 della l.r. n. 37/85, con l’effetto di rendere immediatamente efficace nei confronti dei privati il divieto d’inedificabilità assoluta di cui all’art. 15 lett. a) della l. r. n. 78/1976;

"6) Violazione del D.gvo 22 del 5/2/1997", poiché l’ordinanza impugnata non indicherebbe la discarica abilitata a ricevere il materiale risultante dalla demolizione del manufatto.

Concludono chiedendo l’annullamento dell’atto impugnato, previa sospensione della sua esecuzione.

Il Comune di Castelvetrano, ritualmente intimato, non si è costituito in giudizio.

Con ordinanza n. 609 del 31 marzo 1999, è stata respinta la domanda cautelare.

All’udienza pubblica del 23 settembre 2011, su richiesta di parte ricorrente, la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

1. Va subito rilevato che, a parte il provvedimento impugnato, nessun altro documento è stato esibito dai ricorrenti al fine di dimostrare l’ammissibilità e la fondatezza del gravame proposto: in particolare, non risultano prodotti, seppur espressamente indicati nella esposizione dei fatti, il titolo in forza del quale hanno acquistato dell’immobile, l’istanza di sanatoria per le opere abusive successivamente compiute e il conseguente provvedimento di diniego del 1 ottobre 1996, la nota di contestazione del suddetto diniego destinata al Comune intimato, datata 30 ottobre 1996, e l’allegata dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà e, infine, il provvedimento del 16 dicembre 1996, con il quale il Comune si sarebbe riservato di avviare una nuova istruttoria e di comunicarne gli esiti.

A fronte di tale evidente carenza probatoria, dall’esame della motivazione del provvedimento impugnato si evince che:

– nessun riferimento è presente all’asserito avvio di una nuova istruttoria – il cui esito, in ogni caso, avrebbe dovuto tradursi in un nuovo provvedimento di secondo grado incidente sulla pregressa decisione di diniego;

– è fatto esplicito riferimento al parere negativo espresso dalla Commissione edilizia e comunicato in data 11 marzo 1996, alla sola R. S. quale unica sottoscrittrice dell’istanza di sanatoria dell’11 aprile 1986;

– è fatto esplicito riferimento all’atto di rigetto dell’istanza di sanatoria, citato dagli stessi ricorrenti, redatto il 9 settembre 1996 e notificato il 1 ottobre 1996.

Ora, a parte il fatto che, in sostanza, nessuna prova o inizio della stessa è stata fornita dai ricorrenti a proposito della data di avvio dei lavori prima dell’entrata in vigore della legge regionale 12 giugno 1976, n. 78 (16 giugno 1976) e al compimento delle strutture essenziali entro il 31 dicembre 1976, così come stabilito dall’art. 23 della legge regionale n. 37 del 1985, appare evidente che i ricorrenti non abbiano impugnato, entro il termine decadenziale di legge, il diniego di sanatoria del 1° ottobre 1996, e che esso, pertanto, è divenuto inoppugnabile.

Segue da ciò che, con il consolidamento di tale atto negativo presupposto, i ricorrenti non possono conseguire nessuna utilità concreta dall’eventuale annullamento del conseguenziale atto sanzionatorio, oggetto del presente gravame.

2. Comunque sia, a prescindere da tale profilo d’inammissibilità, il ricorso, nel merito è infondato, per le seguenti ragioni.

2.1.Il primo motivo è destituito di fondamento.

Non può dubitarsi, invero, che, ammesso e non concesso, che effettivamente il Comune abbia comunicato ai ricorrenti la riapertura dell’istruttoria, tale semplice riavvio sia inidoneo a determinare la sopravvenuta inefficacia del diniego di sanatoria del 9 settembre 1996, effetto quest’ultimo ipotizzabile soltanto a seguito della conclusione del nuovo iter procedimentale con un espresso atto di ritiro.

2.2. Parimenti infondato è il secondo motivo, sia perché l’asserita comunicazione di riapertura dell’istruttoria integrerebbe proprio quell’avviso di avvio del procedimento di cui, invece, i ricorrenti lamentano l’omissione, sia perché, comunque, il Collegio non ravvisa, nel caso di specie, alcuna ragione peculiare per discostarsi dal consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale, i provvedimenti repressivi di abusi edilizi non devono essere preceduti dall’avviso dell’inizio del procedimento, trattandosi di procedimenti tipizzati e vincolati, considerato, altresì, che i provvedimenti sanzionatori presuppongono un mero accertamento tecnico sulla consistenza delle opere realizzate e sul carattere abusivo delle medesime (ex plurimis: Cons. Stato, IV, 30 marzo 2000, n. 1814; T.A.R. Sicilia, Palermo, II, 6 giugno 2007, n. 1617; 27 marzo 2007, n. 979; III, 20 marzo 2006, n. 608; 20 aprile 2005, n. 577; T.A.R. Sicilia, Catania, III, 3 marzo 2003, n. 374; T.A.R. Campania, Napoli, IV, 12 febbraio 2003, n. 797; 14 giugno 2002, n. 3499; 28 marzo 2001, n. 1404).

2.3. Il terzo motivo non ha pregio.

L’art. 15, comma primo, lett. a), della L.r. 12 giugno 1976, n. 78, stabilisce una fascia di inedificabilità assoluta di 150 metri dalla battigia.

Giova ricordare che l’art. 23 della L.r. 10 agosto 1985, n. 37, nel disciplinare le condizioni di applicabilità della sanatoria di cui alla legge n. 47/1985, dispone al decimo comma, ultima parte, che "Restano altresì escluse dalla concessione o autorizzazione in sanatoria le costruzioni eseguite in violazione dell’ art. 15, lett. a, della legge regionale 12 giugno 1976, n. 78, ad eccezione di quelle iniziate prima dell’entrata in vigore della medesima legge e le cui strutture essenziali siano state portate a compimento entro il 31 dicembre 1976.".

La norma pone, dunque, due condizioni cumulative per l’applicabilità, in via eccezionale, della sanatoria, facendo riferimento non solo alla circostanza – che i ricorrenti asseriscono che il Comune intimato non abbia univocamente provato – che le strutture essenziali siano state portate a compimento entro il 31 dicembre 1976, ma, anche, che la costruzione sia stata iniziata prima dell’entrata in vigore della citata legge regionale n. 78 del 1976.

La citata legge regionale è entrata in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione, avvenuta sulla Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana del 16 giugno 1976, n. 36 (cfr. art. 25 della l.r. n. 78 del 1976).

Ed allora, nel caso in specie, a fronte di quanto affermato nell’ordine di demolizione, parte ricorrente nessun principio di prova – così come già evidenziato al precedente punto 1. – ha offerto per dimostrare non solo che l’opera, nelle sue strutture essenziali, è stata conclusa entro il 31 dicembre 1976, ma anche di averne iniziato la costruzione prima del 16 giugno del 1976; è soltanto dedotto, invero, che i lavori abusivi siano stati definiti prima del 31 dicembre 1976.

Deve, quindi, ritenersi non provato – da parte dei ricorrenti che ne avevano l’onere – che la costruzione sia stata iniziata prima dell’entrata in vigore della l.r. n. 78 del 1976, avvenuta il 16 giugno 1976.

Ne consegue, sotto tale profilo, l’insanabilità dell’immobile in interesse.

2.4. Il quarto motivo è parimenti infondato.

Secondo l’orientamento assolutamente prevalente della giurisprudenza, condiviso dal Collegio, che non rinviene nel caso in esame ragioni peculiari per discostarsene – peraltro confermato dalla recente legislazione (art. 36 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) che esplicitamente richiede la cd. "doppia conformità" -, la concessione edilizia in sanatoria presuppone la conformità del manufatto abusivo agli strumenti urbanistici vigenti sia al tempo della sua realizzazione, sia al momento in cui si chiede il rilascio del provvedimento di condono (cfr. T.A.R. Toscana, Firenze, III, 13 maggio 2011, n. 837; T.A.R. Lombardia, Brescia, I, 27 maggio 2011, n. 785; T.A.R. Sicilia, Palermo, III, 9 novembre 2009, n. 1743; II, 11 febbraio 2003, n. 805; T.A.R. Sicilia, Catania, I, 9 gennaio 2009, n. 5).

L’accertamento di conformità previsto dall’art. 13 della l. 28.2.1985, n. 47, poi confluito nel citato art. 36 del D.P.R. 6.6.2001, n. 380, infatti, è diretto a sanare le opere solo formalmente abusive, in quanto eseguite senza il previo rilascio del titolo, ma conformi nella sostanza alla disciplina urbanistica applicabile per l’area su cui sorgono, vigente sia al momento della loro realizzazione che al momento della presentazione dell’istanza di sanatoria.

Il provvedimento di accertamento di conformità assume, pertanto, una connotazione eminentemente oggettiva e vincolata, priva di apprezzamenti discrezionali, dovendo l’autorità procedente valutare l’assentibilità dell’opera eseguita senza titolo, sulla base della normativa urbanistica e edilizia vigente, in relazione ad entrambi i momenti considerati dalla norma.

Non è dato comprendere, allora, in forza di quale altra norma o principio ordinamentale o tesi interpretativa, la conformità urbanistica al tempo della realizzazione dell’abuso – imprescindibile ai fini della sanatoria, come appena dimostrato – dovrebbe essere accertata con riferimento allo stato di urbanizzazione di fatto dell’area – evidentemente abusivo – piuttosto che agli strumenti urbanistici al tempo vigenti.

Ne discende l’infondatezza del mezzo.

2.5. Anche il quinto motivo è destituito di fondamento.

Con l’art. 15 della l.r. 78/76, il legislatore siciliano ha previsto che, ai fini della formazione degli strumenti urbanistici generali comunali, le costruzioni debbano arretrarsi di 150 metri dalla battigia.

L’art. 2, comma 3 della l.r. 15/91, ha poi precisato che "Le disposizioni di cui all’ articolo 15, primo comma, lettere a, d, ed e della legge regionale 12 giugno 1976, n. 78 devono intendersi direttamente ed immediatamente efficaci anche nei confronti dei privati.

Esse prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi".

La giurisprudenza amministrativa successiva, e ormai pacifica, ha affermato la natura interpretativa e la conseguente efficacia retroattiva da attribuirsi al precetto di cui all’art. 2 della l.r. 15/1991 cit., ponendo fine al contrasto giurisprudenziale sino a quel momento latente (cfr. da ultimo anche C.G.A. 695/06).

È ormai stabile, quindi, l’arresto giurisprudenziale secondo cui "Il divieto di edificazione nella fascia di rispetto di 150 metri dalla battigia sancito dall’art. 15 l. reg. Sicilia 12 giugno 1976 n. 78, ha come destinatari, in base alle successive l. reg. Sicilia 30 aprile 1991 n. 15 (art. 2) e 31 maggio 1994 n. 17 (art. 6), non soltanto le amministrazioni comunali in sede di formazione degli strumenti urbanistici, ma anche i privati che intendano procedere a lavori di costruzione entro tale fascia" (cfr. T.A.R. Sicilia, Palermo, III, 2 novembre 2010, n. 14015; 20 luglio 2009, n. 1328; III, 4 gennaio 2008, n. 1; I, 9 ottobre 2008, n.1251; III, 18 aprile 2007, n. 1130; III, 4 ottobre 2006, n. 2019; I, 11 novembre 2002, n. 3817; I, 10 dicembre 2001, n. 1854; C.G.A., 19 marzo 2002, n. 158; 31 gennaio 1995, n. 10).

La doglianza, per tali ragioni, non merita accoglimento.

2.6. Anche il sesto motivo è infondato.

A prescindere dalla genericità della formulazione della censura, si osserva che l’omessa indicazione nell’ordinanza impugnata della discarica abilitata a ricevere il materiale risultante dalla demolizione del manufatto, appare circostanza non viziante, giacché l’individuazione dell’apposita discarica è adempimento interamente gravante sull’autore dell’abuso e detentore dei "rifiuti" da smaltire, sul quale sussiste un autonomo onere di informazione e obbligo di esecuzione secondo le modalità stabilite dalle leggi di settore.

3. Conclusivamente, il ricorso è infondato e va respinto.

4. Nulla è da statuirsi per le spese del giudizio, atteso che l’intimato Comune di Castelvetrano non si è costituito.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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