T.A.R. Sicilia Palermo Sez. III, Sent., 06-10-2011, n. 1736 Demolizione di costruzioni abusive Edilizia e urbanistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il ricorso in epigrafe, notificato il 10 ottobre 1995 e depositato il giorno 19 seguente, il sig. G.G., in qualità di originario proprietario, e i coniugi M.R.M. e L.G., nonché N.G., quali aventi causa del primo (v. copie degli atti pubblici di compravendita, in notar Salvatore Lombardo, rispettivamente, del 12 marzo 1985, rep. n. 7947 e del 7 gennaio 1985, rep. n. 7586, in atti), hanno impugnato l’ordinanza sindacale n. 425 del 21 luglio 1995, nella parte in cui ingiunge la demolizione del fabbricato indicato in epigrafe, "composto di tre locali, costituenti un unico garage, ed il vano scala a piano terra, di cinque vani, cinque accessori, una veranda coperta ed il vano scala a primo e di due vani e due accessori e vano scala di secondo piano" perché sarebbero stati edificati in epoca successiva al 1970.

Ne hanno chiesto l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia, sostenendone l’illegittimità perché, a loro dire, sarebbe inficiata da:

1) "Violazione di legge: art. 10, I comma, legge 6 agosto 1967, n. 765 sostitutivo dell’art. 31, I comma, legge 17 agosto 1942, n. 1150; art. 15, I comma, legge 6 agosto 1967, n. 765 (art. 41/ter, legge 17 agosto 1942, n. 1150);

2)"Eccesso di potere sotto il profilo del travisamento dei fatti";

3)"Violazione di legge: art. 3, legge 7 agosto 1990, n. 241; difetto di motivazione";

4) "Violazione dei principi dell’ordinamento giuridico amministrativo in tema di legittimo affidamento indotto dall’operato della P.A.";

5) "Violazione del principio generale dell’ordinamento giuridico della necessaria certezza dei rapporti giuridici";

6) "Violazione di legge art. 32, legge 1150/42";

7) "Eccesso di potere sotto il profilo del difetto di atto presupposto";

8) "Violazione di legge: art. 13, comma II, legge 765/67".

Il Comune di Marsala, ritualmente intimato, non si è costituito in giudizio.

Con l’ordinanza n. 2690 del 15 novembre 1995, è stata accolta la domanda incidentale di sospensione dell’efficacia del provvedimento impugnato;

All’udienza pubblica del 23 settembre 2011, su richiesta di parte ricorrente, il ricorso è stato posto in decisione.

Motivi della decisione

1.Giova premettere una breve ricostruzione dei fatti di causa, fondata sugli atti prodotti da parte ricorrente.

Per il manufatto indicato in epigrafe, il sig. G.G., in qualità, all’epoca, di proprietario, presentò, in data 20 marzo 1981, prot. n. 10645, la domanda di concessione in sanatoria ai sensi della legge regionale 29 febbraio 1980, n. 7 (Norme sul riordino urbanistico edilizio), allegando, al tal fine, una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, prot. n. 9421 del 19 marzo 1981, del seguente tenore "(…) dichiara di avere iniziato i lavori di costruzione del piano terra nel febbraio 1960 e di averli ultimati nel maggio 1960. Successivamente, nel gennaio 1967 ha sostituito le coperture esistenti e nel contempo ha iniziato i lavori per la sopraelevazione del 1° e del 2° piano che ha ultimati nelle strutture entro la fine del 1967".

Successivamente, in data 6 novembre 1984, il medesimo sig. G., con nota prot. n. 49365, (in atti) rinunciò all’istanza di sanatoria già proposta, chiedendo al Comune intimato, che vi acconsentì, la restituzione della documentazione ad essa allegata.

Risulta, altresì, che in data 29 novembre 1984, venne apposta in calce all’istanza di sanatoria del 20 marzo 1981, prot. n. 10645, la testuale dichiarazione sottoscritta da N.G. nella quale si legge che " in data 29.11.84 ritira tutta la documentazione relativa al progetto in sanatoria il figlio perché rinuncia con lettera prot. n. 49365 del 6.11.84. Autorizzata dal Sindaco".

Parte ricorrente ha versato poi in atti il parere legale del 26 novembre 1984, proveniente dall’Ufficio legale del Comune intimato, destinato al Sindaco pro tempore, avente ad oggetto la menzionata istanza del sig. G.G., del 6 novembre 1984, di rinuncia all’istanza di sanatoria già proposta, ove si legge che "per le opere realizzate anteriormente all’entrata in vigore della legge Mancini (n. 765/67), fuori dall’ambito del piano di ricostruzione e dai centri abitati, non era necessaria la preventiva licenza edilizia".

Secondo la prospettazione di parte ricorrente il manufatto oggetto dell’ordine di demolizione ora impugnato sarebbe stato completato, quanto al piano terra, nel periodo compreso tra il febbraio ed il maggio 1960; i lavori per la costruzione dei piani sopraelevati sarebbero stati ripresi nel mese di gennaio del 1967 e completati in tutte le strutture fisiche nel mese di luglio dello stesso anno; infine, nel periodo intercorso tra agosto e dicembre 1967 sarebbero state poste in essere le opere di rifinitura dei piani sopraelevati "procedendo per tal modo alla pavimentazione dei locali, al rivestimento delle pareti, alla collocazione degli infissi e dell’impianto di illuminazione".

2. Ciò posto, vanno scrutinati i singoli motivi dedotti.

Il primo e il secondo mezzo di censura vanno esaminati congiuntamente, attesa la loro stretta consequenzialità.

2.1. Con il primo motivo è dedotta l’illegittimità del provvedimento demolitorio poiché nessun titolo autorizzatorio sarebbe stato necessario per la realizzazione dei manufatti che ne sono oggetto, trattandosi di lavori iniziati prima dell’entrata in vigore della legge n. 765 del 1967, quanto alle strutture murarie di fondazione, e, poi, quanto alle opere di mero completamento, perché in itinere alla medesima data. Stando così le cose, ad avviso dei ricorrenti, non potrebbe affermarsi la necessità della licenza edilizia che sarebbe richiesta, soltanto, nell’ipotesi di edificazione di una nuova costruzione se avviata dopo l’entrata in vigore della legge cit..

Con il secondo motivo si contesta la rappresentazione della situazione di fatto del luogo di ubicazione del manufatto abusivo, posta a base del provvedimento impugnato, così come accertata dall’amministrazione comunale in forza dell’aereofogrammetria che sarebbe stata eseguita nel 1970 e dalla quale non risulterebbe la presenza di alcun corpo di fabbrica.

L’assunto appare privo di fondamento sotto il profilo fattuale, così come in diritto.

Appare dirimente, in punto di fatto, quanto è inequivocabilmente posto a presupposto dell’ordine di demolizione impugnato – contestato solo labialmente da parte ricorrente e sfornito di alcun principio di prova – laddove, in motivazione, è richiamata "la cartografia riproducente l’aereofotogrammetria del 1970 in cui chiaramente si evince la sagoma del fabbricato prospiciente la via Salemi, mentre del corpo di fabbrica posto sul retro (n.d.r., quello oggetto della controversia de qua) non si ha traccia alcuna"; nel prosieguo è ancora detto che "…per il corpo di fabbrica posto sul retro, non riportato nell’aereofogrammetria del 1970 e come tale costruito in epoca successiva (n.d.r. alla data del 1° settembre 1967), era necessaria la licenza edilizia".

La stessa amministrazione comunale, peraltro, dopo avere accertato, e motivato nei termini anzidetti, "che gli abusi sono stati commessi nel periodo successivo al 01/09/67" ha, comunque, dato espressamente la possibilità agli odierni ricorrenti di offrire al riguardo la prova contraria (ad esempio, mediante un contratto notarile che facesse menzione del manufatto, indicandone una data certa di preesistenza e fornendone una adeguata descrizione, fotografie aeree, fatture, ricevute, bolle di consegna, relative all’esecuzione dei lavori e/o all’acquisto dei materiali, sopralluoghi, e così via) onere che, tuttavia, non è stato esercitato né in sede endoprocedimentale, né tantomeno nel corso del presente giudizio.

Quanto alla ripartizione dell’onere probatorio durante la fase dell’istruttoria procedimentale deve rammentarsi che, secondo l’indirizzo giurisprudenziale consolidato, cui aderisce il Collegio riguardo al caso di specie, ai fini del conseguimento della sanatoria per costruzioni abusive, a fronte dell’onere incombente sul soggetto che ha compiuto l’ abuso edilizio di fornire la prova della ricorrenza dei presupposti richiesti per la concessione del beneficio, spetta all’amministrazione quello di controllare l’attendibilità dei fatti dedotti ex adverso, compiendo ogni opportuna verifica istruttoria ed eventualmente contrapponendo ad essi le risultanze di proprie verifiche ed accertamenti d’ufficio (v. T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII, 22 marzo 2011, n. 1618; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 6 dicembre 2010, n. 35404).

Ora, traslata la vicenda in sede giurisdizionale, appare evidente che, gravando sempre sulla parte ricorrente l’onere della prova dell’ultimazione dei lavori entro la data utile per ottenere il titolo a sanatoria, non può ritenersi sufficiente, al riguardo, l’allegazione della dichiarazione sostitutiva di atto notorio, così come contraddetta dalle risultanze dell’istruttoria condotta dall’autorità comunale.

Parte ricorrente non ha fornito, in realtà, alcun elemento, neanche indiziario, dal quale possa desumersi o presumersi la legittima e qualificata preesistenza del manufatto in data antecedente al 1970.

Sulla questione, la giurisprudenza amministrativa, anche di questo Tribunale, è ferma nel ritenere che "l’ onere di fornire la prova dell’epoca di realizzazione di un abuso edilizio incombe sull’interessato, e non sull’amministrazione, che, in presenza di un’opera edilizia non assistita da un titolo edilizio che la legittimi, ha solo il poteredovere di sanzionarla ai sensi di legge e di adottare, ove ricorrano i presupposti, il provvedimento di demolizione" (ex multis: T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII, 2 luglio 2010, n. 16569; T.A.R. Piemonte, Torino, sez. I, 25 marzo 2011, n. 278; T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, sez. II, 19 aprile 2006, n. 501; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. III, 26 ottobre 2005, n. 4099; T.A.R. Umbria, 10 luglio 2003, n. 589; T.A.R. Basilicata, 29 aprile 2003, n. 370).

Dagli atti versati in giudizio non risulta provata l’epoca in cui le opere sanzionate sarebbero state realizzate, ma sono rinvenibili soltanto le affermazioni dei ricorrenti secondo cui:

a) le rilevazioni fotografiche sarebbero state effettuate nel 1963 e non nel 1970;

b) la cartografia riproducente l’aereofotogrammetria sarebbe stata successivamente integrata da una serie di cd. rilievi di campagna (ispezione dei luoghi effettuata a mezzo un incaricato della P.A.) e infine sarebbe stata consegnata nel 1970;

c) la riproduzione su carta dell’aereofotogrammetria sarebbe stata effettuata mediante un mero pantografo.

Tali asserzioni, però, non sono suffragate da prove concrete e nemmeno da un principio di prova.

La conseguenza è che parte ricorrente, sulla base del materiale di causa, non ha dimostrato che le opere sanzionate sono state avviate e completate entro il 1° settembre 1967, a prescindere dalla loro qualificazione come nuova costruzione o ampliamento o opere di mero completamento e rifinitura.

Non vi è dubbio, allora, che per le opere iniziate e concluse dopo l’entrata in vigore della legge n. 765 del 1967, ossia per le nuove costruzioni, così come per l’ampliamento o la modifica di quelle esistenti secondo la normativa urbanistico – edilizia invocata, la licenza edilizia era sempre necessaria (cfr. la Circolare del Ministero dei Lavori Pubblici 28 Ottobre 1967, n. 3210 "Istruzione per l’applicazione della legge 6 Agosto 1967, n. 765, recante modifiche ed integrazione alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150").

In tal senso si è espressa la giurisprudenza di legittimità, affermando che "la modificazione e l’ ampliamento di un preesistente fabbricato, che venga realizzata dopo l’entrata in vigore della l. 6 agosto 1967 n. 765, recante modifiche alla l. urb. 17 agosto 1942 n. 1150, richiede il preventivo rilascio di licenza edilizia, a norma dell’art. 10 della medesima legge del 1967, pure quando il fabbricato stesso si trovi nell’ambito del territorio comunale, ancorché al di fuori del centro abitato e delle zone d’espansione.

Ne consegue, in difetto di tale licenza, che l’ordine del sindaco di demolizione di quel fabbricato configura esercizio dei poteri autoritativi spettanti al sindaco medesimo a fronte di opere abusive (…)"(v. Cassazione civile, sez. un., 16 giugno 1983, n. 4118).

Anche la giurisprudenza amministrava ha ritenuto che, alla stregua dell’art. 31, l. 17 agosto 1942, n. 1150 (come modificato dalla l. 6 agosto 1967 n. 765) non era necessaria la licenza edilizia esclusivamente per opere di ristrutturazione interne che non comportavano né l’ampliamento, né la variazione della struttura e dell’aspetto della costruzione preesistente (cfr. Cons. Stato, sez. V, 1 ottobre 1986, n. 474).

Per tali ragioni, i primi due motivi di gravame sono destituiti di base.

2.2. Con il terzo, il quarto e il quinto motivo, si deduce che il potere repressivo in materia edilizia – pur non essendo, di regola, soggetto ad alcun termine prescrizionale o decadenziale, né all’obbligo di una motivazione diversa da quella della semplice indicazione dell’opera abusiva e della norma violata – nel caso di specie, avrebbe dovuto essere esercitato previo bilanciamento tra la posizione soggettiva consolidata dei ricorrenti e l’interesse pubblico attuale e concreto alla demolizione dell’immobile, in considerazione del lunghissimo lasso di tempo intercorso dall’asserita commissione dell’abuso.

Si sostiene, altresì, che al momento della sua realizzazione l’opera sarebbe stata conforme allo strumento urbanistico vigente.

La tesi non può essere condivisa.

Va rilevata, innanzitutto, la genericità dell’asserzione della conformità del manufatto allo strumento urbanistico vigente al tempo della sua realizzazione, che non ne permette il vaglio nel merito.

Per il resto, il Collegio, pur conoscendo quell’orientamento espresso da una parte della giurisprudenza sulla specifica questione della rilevanza del lunghissimo lasso di tempo trascorso tra la commissione dell’abuso e l’esercizio del potere repressivo che ravvisa un onere di congrua motivazione – avuto riguardo anche alla entità e alla tipologia dell’abuso – circa la sussistenza di un pubblico interesse diverso da quello al ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato (v. Cons. Stato, sez. IV, 6 giugno 2008, n. 2705), aderisce, anche rispetto al caso di specie, al diverso indirizzo giurisprudenziale maggioritario secondo cui il potere di applicare misure repressive in materia urbanistica può essere esercitato in ogni tempo e i relativi provvedimenti non necessitano di alcuna specifica motivazione in ordine all’interesse pubblico a disporre il ripristino della situazione antecedente alla violazione, essendo in re ipsa l’interesse pubblico alla rimozione dell’abuso allo scopo di ripristinare l’assetto urbanistico – edilizio violato, anche nel caso in cui l’abuso sia commesso in data risalente, non sussistendo alcun affidamento legittimo del contravventore a vedere conservata una situazione di fatto contra jus che il tempo non può consolidare, né legittimare l’interessato a dolersi del fatto che l’Amministrazione non abbia emanato in data antecedente i dovuti atti repressivi (Cons. Stato, VI, 11 maggio 2011, n. 2781; V, 11 gennaio 2011, n. 79; IV, 31 agosto 2010, n. 3955; IV, 1° ottobre 2007, n. 5049 e n. 5050; V, 7 settembre 2009, n. 5229; IV, 10 dicembre 2007, n. 6344; VI, 19 ottobre 1995, n. 1162; V, 12 marzo 1996).

Per completezza, si osserva che i presupposti per tale onere motivazionale rafforzato, comunque, non ricorrono nel caso in esame, in cui non può ipotizzarsi alcun incolpevole affidamento sulla liceità dell’opera, in ragione del fatto che l’originario proprietario avesse chiesto e ottenuto, nel 1984, la restituzione della domanda di sanatoria – già presentata nel 1981 nella consapevolezza della abusività dell’opera – basandosi sul parere dell’Ufficio legale del Comune intimato, ove è affermato che "per le opere realizzate anteriormente all’entrata in vigore della legge Mancini (n. 765/67), fuori dall’ambito del piano di ricostruzione e dai centri abitati, non era necessaria la preventiva licenza edilizia"; invero, è stato accertato dal Comune in sede istruttoria, e non smentito dalle risultanze processuali, in questa sede, che le opere di che trattasi, in realtà, sono state avviate e completate dopo il 1970.

Va da sé, che, in ogni caso, la decisione del ritiro della domanda di sanatoria rientrasse in toto nella disponibilità dell’interessato, a nulla valendo, in senso opposto, un’eventuale "autorizzazione" dell’autorità comunale la quale, a maggior ragione, non potrebbe ora essere invocata al fine di giustificare un presunto affidamento sulla non abusività delle opere.

Appare, invece, obbligata la scelta dell’Amministrazione comunale di avviare il procedimento di repressione dell’abuso a fronte dell’acclarata edificazione del manufatto in epoca successiva al 1° settembre 1967, del venir meno della richiesta di sanatoria siccome ritirata, nonché della carenza di altra successivamente presentabile alla stregua delle discipline condonistiche successivamente emanate, su decisione, si ribadisce, rimessa esclusivamente alla parte privata interessata (comportando, peraltro, oneri economici di una certa rilevanza).

I motivi, dunque, sono infondati.

2.3. Con il sesto e il settimo motivo, si deduce la mancanza del presupposto atto di diffida a demolire, che avrebbe dovuto precedere l’ordine di demolizione, ai sensi dell’art. 32 della legge urbanistica del 1942.

Il Collegio non condivide la descritta censura.

Vanno riconosciuti al provvedimento impugnato la sostanziale natura, il valore e la funzione propri non dell’ordine di demolizione, come asserito da parte ricorrente, bensì della diffida a demolire.

Invero, esso si è risolto, nel caso di specie, nel formale invito al trasgressore alla eliminazione dell’abuso in un dato termine (90 giorni), con previsione della esecuzione d’ufficio per il caso di inadempienza.

E non può porsi in dubbio che il provvedimento con il quale si intima la demolizione delle opere abusivamente realizzate con prefissione di un termine per l’esecuzione e con l’avvertimento che, in difetto, si procederà all’esecuzione di ufficio, così come avvenuto nel caso di specie, configuri, ai sensi dell’art. 32 della l. 17 agosto 1942, n. 1150, una diffida a demolire e non un ordine di demolizione: nel caso di interventi edilizi abusivi, infatti, l’ingiunzione di demolizione costituisce la prima ed obbligatoria fase del procedimento repressivo, in quanto la sanzione demolitoria ha natura di diffida (Cons. Stato, sez. V, 14 maggio 1992, n. 394; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 27 maggio 2011, n. 1685).

Ma anche a volere accedere alla tesi di parte ricorrente, ritiene il Collegio che, in considerazione dell’infondatezza dei precedenti motivi di ricorso, la violazione dedotta con tale motivo, in quanto di natura meramente procedimentale, non potrebbe comunque condurre all’annullamento dell’atto gravato, in quanto nell’ipotesi di specie, trattandosi di attività vincolata – ed essendo emerso dalla disamina dei precedenti motivi di ricorso che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso, ben può farsi applicazione del disposto dell’art. 21 octies, comma 2, prima parte, legge n. 241/90 (ex multis, v. T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, 19 ottobre 2010, n. 20263).

2.4. Con l’ultimo motivo, si deduce che il Comune illegittimamente avrebbe disposto la sanzione demolitoria, dovendosi, invece, disporre in alternativa quella pecuniaria, attesa l’impossibilità di procedere alla restituzione in pristino per ragioni di ordine tecnico, invero non precisate.

L’assunto, oltreché genericamente dedotto, non ha pregio.

E’ sufficiente, pertanto, ricordare che l’art. 41 della legge urbanistica del 1942, così come sostituito dall’articolo 13 della legge 6 agosto 1967, n. 765, dispone che "Qualora non sia possibile procedere alla restituzione in pristino ovvero alla demolizione delle opere eseguite senza la licenza di costruzione e in contrasto con questa, si applica in via amministrativa una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall’Ufficio tecnico erariale" (comma 2).

Premesso che in presenza di opere realizzate in assenza di concessione edilizia l’ordine di demolizione costituisce atto dovuto alla stregua della norma appena citata, va precisato che la possibilità di applicare la sanzione pecuniaria, costituisce una eventualità della fase esecutiva, subordinata alla accertata circostanza dell’impossibilità di ripristino dello stato dei luoghi. Detta impossibilità può essere rilevata d’ufficio o fatta valere dall’interessato, ma, comunque, accertata, in concreto, nella fase successiva all’ingiunzione a demolire a carattere solamente diffidatorio (v. Cons. Stato, sez. V, 21 maggio 1999, n. 587).

Il motivo, pertanto, è infondato.

3.In conclusione, per tutte le ragioni che precedono il ricorso va respinto.

4. Nulla è da statuirsi per le spese processuali, atteso che l’intimato Comune di Marsala non si è costituito in giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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