Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 16-06-2011) 19-09-2011, n. 34320

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Avverso l’ordinanza indicata in epigrafe, che ha confermato il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP del Tribunale di Firenze, il 24 dicembre 2010, propone ricorso la difesa di S. G., chiedendo l’annullamento del provvedimento e deducendo a motivo:

a) la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) in relazione all’art. 125 c.p.p., comma 3 per mancanza di motivazione. Lamenta la ricorrente che la motivazione dell’ordinanza è carente sia con riguardo alla descrizione del fatto storico che ha comportato l’emissione del provvedimento, sia con riguardo alla astratta configurabilità del reato contestato trattandosi di motivazione che fa rinvio al provvedimento genetico della misura e che fa ricorso a clausole di stile, mentre la giurisprudenza della Cassazione,riguardo alle misure cautelari reali attribuisce al giudice del riesame un controllo penetrante e preciso della legalità della misura, con riferimento al fumus commissi delicti. b) la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., lett. b) perchè il reato di ricettazione non può essere configurato nei fatti in esame;

l’imputato è il legale rappresentante della società che è proprietaria dei beni sequestrati e solo in virtù della carica societaria viene contestata al S. la ricettazione. c) la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., lett. b) in relazione all’art. 321 c.p.p., per essere insussistenti le esigenze cautelari.

Motivi della decisione

2. Il ricorso è manifestamente infondato 2.1 Con il primo motivo il ricorrente lamenta il vizio della motivazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) sia pure nella forma più grave della carenza assoluta, affermando che il Tribunale avrebbe fatto un improprio rinvio alla motivazione del provvedimento del GIP. Va,allora, ricordato che secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte (Sentenza n. 25932 del 2008 Rv. 239692) il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice.

Pertanto non la generica insufficienza o incompletezza dell’apparato argomentativo configura la violazione di legge, ma la vera e propria assenza degli elementi strutturali giustificativi del provvedimento.

Nel caso in esame la motivazione non manca, perchè, come asserisce lo stesso ricorrente, la motivazione fa rinvio, per relazionerà, al provvedimento del GIP. In tal caso la motivazione non può dirsi mancante perchè, come è già stato ritenuto da questa Corte la motivazione "per relationem" di un provvedimento giudiziale è legittima anche quando il richiamo ad altro atto o provvedimento sia solo implicito, allorchè il giudicante si sia ad esso riferito "perfacta concludentia". Rv. 239589.

Quanto al secondo motivo di ricorso va rilevato che secondo un accreditato e maggioritario principio giurisprudenziale di questa Corte, che il collegio condivide, la verifica della sussistenza del fumus non può assolutamente coincidere con l’esame necessario per un giudizio di colpevolezza, essendo sufficiente la semplice enunciazione di una ipotesi di reato e la astratta sussumibilità del fatto nella fattispecie di reato contestata; giungendo altresì, nei suoi più avanzati orientamenti, a rilevare che siffatto requisito può essere desunto dal contenuto della imputazione, sia pure senza alcuna possibilità di apprezzamento in ordine alla fondatezza dell’accusa. Orbene nel caso esame il provvedimento del Tribunale fa specifico riferimento alla vicenda della vendita dell’appartamento, nel quale erano contenuti i mobili oggetto del sequestro, dalla quale è scaturita la condanna del figlio dell’imputato per truffa ed alla fondatezza dell’ipotesi di reato ascritta al S. che in qualità di amministratore ha consentito che gli arredi venissero detenuti nell’immobile della società. D’altra parte non può non rilevarsi l’estrema genericità del motivo di ricorso che fa rinvio alle deduzioni contenute nell’appello senza farsi carico di precisarne l’ambito, affinchè questa Corte ne possa fare oggetto di autonoma valutazione. Il ricorso, pertanto, si dimostra non autosufficiente. Del pari manifestamente infondato è l’ultimo motivo che sollecita alla Corte un giudizio di merito che non le compete.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, il ricorrente che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *