Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 16-06-2011) 19-09-2011, n. 34319 Sequestro preventivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

V.M., sottoposto ad indagini per la violazione dell’art. 646 c.p., ricorre, ex art. 325 c.p.p. avverso l’ordinanza 21.1.2011 con la quale il Tribunale di Padova ha confermato il provvedimento di sequestro preventivo della somma di Euro 15.573,81 quale saldo di conto corrente (OMISSIS) della Banca di Roma, siccome (secondo la ipotesi accusatoria) indebitamente trattenuta dall’indagato all’esito della risoluzione del contratto di gestione del servizio di corrispondenza dell’ASL di Padova e dell’Istituto Oncologico Veneto.

Il giudice delle indagini preliminari, ritenuta la esistenza del fumus boni juris disponeva il sequestro della somma di cui sopra, giustificandolo con la necessità di evitare lo aggravamento del reato e la protrazione delle sue conseguenze.

A seguito di reclamo, il Tribunale del riesame ha confermato il provvedimento di sequestro, ravvisando la ricorrenza di tutti i presupposti previsti dalla legge per la emanazione del provvedimento.

La difesa dell’indagato ricorrendo nella presente sede, lamenta il vizio di mancanza e contraddittorietà della motivazione, e la mancanza del requisito del periculum in mora. In particolare la difesa, dopo avere succintamente descritto la natura del contratto di gestione del servizio corrispondenza instaurato dalla società amministrata dall’indagato con la ASL di Padova e l’Istituto Oncologico Veneto, lamenta che il Tribunale non avrebbe preso in considerazione la documentazione depositata dalla stessa difesa, riguardante la vertenza civile in corso tra la IDEA s.r.l., l’ASL (OMISSIS) e la azienda ospedaliera padovana, nonchè l’accordo intercorso fra le parti.

La difesa lamenta inoltre che il Tribunale, in modo contraddittorio ed irrazionale avrebbe ravvisato il fumus boni jurus del delitto di cui all’art. 646 c.p., nella omissione del deposito di un rendiconto da parte dell’indagato, condotta, questa che pur potendo integrare una causa di risoluzione del contratto, non potrebbe di per sè costituire prova del reato di appropriazione indebita. Sostiene infine la difesa la mancanza del requisito del periculum in mora essendo stato risolto il rapporto contrattuale con conseguente impossibilità per la società amministrata dall’indagato di protrarre la condotta illecita. La difesa concludendo che il provvedimento impugnato sarebbe abnorme, perchè inappropriato rispetto alla finalità in concreto perseguita, potendo essere richiesto un sequestro conservativo, richiede l’annullamento della ordinanza cautelare reale.

Il ricorso è manifestamente infondato per le seguenti ragioni.

Contro le ordinanze emesse a norma dell’art. 324 c.p.p. in materia di sequestro preventivo, il ricorso è ammesso solo per violazione di legge ( art. 325 c.p.p., comma 1) per censurare cioè "errores in iudicando" o "errores in procedendo" ( art. 606 c.p.p., lett. b, c) commessi dal giudice di merito, la cui decisione risulti di conseguenza radicalmente viziata. Va precisato inoltre che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il difetto di motivazione integra gli estremi della violazione di legge solo quando l’apparato argomentativo che dovrebbe giustificare il provvedimento o manchi del tutto o risulti privo dei requisiti minimi di coerenza, di completezza e di ragionevolezza, in guisa da apparire assolutamente inidoneo a rendere comprensibile l’iter logico seguito dall’organo investito del procedimento.

Passando quindi in esame i vari aspetti delle doglianze proposte il Collegio rileva la manifesta infondatezza della censura di abnormità del provvedimento e quella del vizio di carenza di o di illogicità della motivazione. Il provvedimento impugnato non può infatti essere considerato "abnorme" perchè esso non si pone "fuori dal sistema processuale", ma è provvedimento giurisdizionale tipico che costituisce espressione di un potere proprio dell’organo che lo ha emesso. Per le ragioni dianzi indicate, inoltre, non possono essere prese in considerazione le doglianze incentrate su affermati vizi della motivazione riconducibili alle ipotesi di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), perchè queste ultime esulano dai possibili motivi di impugnazione previsti dall’art. 325 c.p.p. che circoscrive, come già osservato, il sindacato di legittimità alle sole ipotesi di violazione di legge. Fra queste ultime rientra indubbiamente la violazione dell’art. 125 c.p.p. che, nel caso in esame, peraltro non ricorre. Infatti, il provvedimento impugnato è sorretto da motivazione che è reale (la mancanza di motivazione rileva ai fini della nullità prevista dall’art. 125 c.p.p. nel caso in cui essa sia "fisicamente" del tutto assente) e non è meramente apparente. Quest’ultima, la motivazione apparente, ricorre solo nel caso in cui essa sia del tutto generica e disancorata dalle argomentazioni proposte dalle parti e dalle risultanze processuali, concretantosi in proposizioni prive di sostanziale contenuto. Nel caso in esame la ordinanza riporta una motivazione adeguata (e non meramente apparente come sostenuto dalla difesa), descrittiva della vicenda nei suoi aspetti in fatto e analitica nella valutazione del fatto nei suoi aspetti giuridici, sia sotto il profilo della fumus del factum criminis (violazione dell’art. 646 c.p.), sia del ritenuto periculum in mora. Fatte queste precisazioni, le doglianze proposte vanno esaminate solo nel più stretto ambito previsto dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. B) e C).

Non rientrando fra i compiti di questa Corte procedere ad una rivalutazione degli elementi di fatto e delle prove esaminate dal Tribunale, si deve osservare che dalla lettura degli atti non emerge alcuna violazione di norme penali sostanziali o processuali. Il Tribunale del riesame ha preso in considerazione una vicenda che, per quanto qui rileva, può essere così sintetizzata. In data 13.9.2001 la Società IDEA srl di (OMISSIS) si era resa aggiudicataria, a seguito di procedura di pubblica evidenza, del servizio gestione corrispondenza della ASL (OMISSIS) di Padova e dell’Istituto Oncologico Veneto. A seguito di richiesta della società somministratrice del servizio, la USL (OMISSIS) aveva versato la somma di Euro 50.000 e l’azienda Ospedaliera, a sua volta quella di Euro 40.000 sul conto n. (OMISSIS) della Banca di Roma filiale di (OMISSIS), intestato alla società IDEA S.r.l., quale anticipo delle spese postali, secondo le previsioni contrattuali. A seguito di disservizi, e a seguito di contestazioni (il cui fondamento in questa sede non rileva) in data 1.10.2010 gli enti committenti il servizio, risolvevano il contratto richiedendo nel contempo la restituzione della quota residua della somma versata a titolo di fondo spese, previo rendiconto delle spese sostenute dalla stessa società erogatrice del servizio. A fronte dell’inottemperanza delle suddette richieste, iniziato procedimento penale con denuncia del 2.12.2010, il Giudice delle indagini preliminari ha disposto il sequestro del saldo giacente sul conto (OMISSIS) che è risultato essere ammontante ad Euro 15.573,81.

Afferma il Tribunale, sulla base della documentazione prodotta dalla parte ricorrente (pertanto esaminata nel concreto, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente), che la società IDEA s.r.l., della originaria somma di Euro 90.000,00 avrebbe utilizzato Euro 60.000,00.

Rileva quindi il tribunale che la società IDEA s.r.l. (e per essa il suo rappresentante), pur richiesta non ha fornito rendiconto delle somme ricevute dagli enti pubblici, e che della differenza di Euro 30.000,00 comunque dovuta e non restituita, sul relativo conto, è stata rinvenuta la minore somma di Euro 15.537,81. Il fatto, ad avviso del tribunale, integra, la violazione dell’art. 646 c.p..

L’analisi della vicenda appare corretta sotto il profilo della applicazione dell’art. 646 c.p.. Il reato in esame è integrato dalla mancata restituzione, al legittimo proprietario di una cosa mobile (nella specie denaro) di cui il soggetto agente abbia il possesso, così alterando il rapporto giuridico intercorrente fra il soggetto e la cosa. Le plurime circostanze di fatto, descritte e valutate dal Tribunale consistenti: a) nel versamento a favore della IDEA srl, a titolo di anticipo, della somma di Euro 90.000,00 da parte dei due enti pubblici committenti; b) nella mancata restituzione della somma residua di Euro 30.000,00; c) nell’omessa redazione di un rendiconto da parte della società appaltatrice; d) nel rinvenimento, attraverso il sequestro disposto, della somma di Euro 15.000,00 circa, appaiono idonee e sufficienti, nella fluidità degli accertamenti effettuati nel corso delle indagini, a far ritenere integrati gli elementi costitutivi della fattispecie contestata che appare pertanto correttamente applicata.

Pertanto nessuna erronea applicazione della legge penale (ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) è ravvisabile.

Passando alla disamina della lamentata carenza del periculum in mora, va osservato che appare corretta, sul piano giuridico la valutazione del Tribunale ex art. 324 c.p.p.. Infatti, va affermata la legittimità del sequestro preventivo del saldo di conto corrente pertinente alla gestione di una società e di spettanza di un soggetto terzo, quando il pericolo delle libera disponibilità delle cose sottratte o delle risorse economiche presenti i requisiti della concretezza e della attualità, nel senso che in seguito alla consumazione del reato, possono prodursi conseguenze ulteriori, connotate in termini di antigiuridicità in quanto consistenti nel volontario aggravarsi o protrarsi dell’offesa al bene protetto, in rapporto di stretta connessione con la condotta illecita perseguita.

Pertanto è legittimo il sequestro preventivo preordinato all’esigenza di fermare la circolazione di denaro acquisito, ex art. 646 c.p., dall’indagato in condizioni di presunta antigiuridicità.

Pertanto nessuna valida censura risulta essere stata formulata dal ricorrente le cui argomentazioni paiono peraltro volte ad ottenere una diversa valutazione di merito dei fatti riferiti nel provvedimento impugnato.

Per le suddette ragioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende attesa la pretestuosità delle ragioni del gravame.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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