Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 16-06-2011) 19-09-2011, n. 34312

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

M.M. è stata accusato del delitto di cui " all’art. 648 c.p., perchè, alfine di trame un profitto, acquistava o comunque riceveva il telefono cellulare di marca Nokia, identificato dal codice IMEI (OMISSIS), provento di furto consumato in data (OMISSIS) in danno di M.C.e lo utilizzava in maniera continuativa dal 5.3.2004 fino al momento del sequestro inserendo una scheda sim con numero (OMISSIS), allo stesso intestata, nonchè altre schede sim intestate ai suoi familiari. Accertato in (OMISSIS)".

Tratto a giudizio, l’imputato con sentenza 5.12.2008 del Tribunale di Caltanissetta, riconosciute le attenuanti generiche la ipotesi di cui all’art. 648 c.p., comma 2, è stato condannato alla pena di mesi quattro di reclusione e Euro 300,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. La difesa proponeva appello lamentando che nel corso del dibattimento avanti il Tribunale non fosse stata escussa la parte offesa, atto che si imponeva non emergendo, dagli atti del procedimento, prove circa l’avvenuta sottrazione del telefonino. La difesa metteva inoltre in evidenza che l’imputato aveva restituito, a semplice richiesta dei carabinieri, il telefonino da lui rinvenuto abbandonato su una panchina a breve distanza dalla via nella quale la parte offesa prestava lavoro. La Corte d’Appello ha rigettato l’impugnazione, confermando la decisione del Tribunale, mettendo in evidenza: a) la persona offesa non era stata escussa dal Tribunale, avendo entrambe le parti rinunciato alla prova della deposizione della stessa; b) dalla denuncia acquisita era desumibile la prova che l’apparecchio telefonico fosse stato sottratto dal bancone del bar pasticceria ove la stessa parte offesa, dipendente dell’esercizio commerciale, lo aveva momentaneamente appoggiato.

Sulla base delle suddette premesse la Corte territoriale: 1) ha respinto la richiesta della difesa di riqualificare il fatto in violazione dell’art. 647 c.p.; 2) condividendo il giudizio del tribunale, ha ritenuto integrati sia gli elementi costitutivi del delitto di ricettazione, sottolineando come l’imputato non abbia fatto nulla, sua sponte, per restituire l’oggetto, come sostenuto, senza curarsi di accertare se il telefono rinvenuto fosse stato "smarrito". La difesa ricorre per Cassazione denunciando il vizio di mancanza e manifesta illogicità della motivazione sostenendo che:

a) non sono ravvisabili elementi oggettivi in base ai quali poter affermare che il telefonino fosse stato oggetto di furto, piuttosto che smarrito dal legittimo proprietario, essendo stato rinvenuto su una panchina, in perfette condizioni e munito di scheda telefonica;

b) mancano elementi univoci in base ai quali poter affermare che l’imputato abbia conseguito la disponibilità del telefonino agendo con la consapevolezza (quantomeno con dolo eventuale) che fosse oggetto di delitto;

c) è illogica la constatazione della Corte territoriale per la quale il telefonino fosse munito di scheda telefonica e che l’imputato avrebbe potuto accertare la provenienza dell’oggetto attraverso una "semplice telefonata";

d) la Corte territoriale non ha tenuto conto che lo imputato fosse incensurato, così escludendo un argomento utile per desumere la "buona fede" dello imputato.

Il motivo è infondato e va rigettato.

La Corte territoriale, con motivazione adeguata ha indicato le ragioni per le quali non ha ritenuto che il telefonino fosse stato semplicemente smarrito dalla parte offesa, la quale in realtà ne ha denunciato la sottrazione, con la conseguenza che manca la integrazione del presupposto oggettivo del reato di cui all’art. 647 c.p..

Va poi rilevato che nessuna censura alla motivazione della decisione della Corte territoriale può essere mossa in relazione all’affermazione in base alla quale l’imputato, con il suo comportamento ha commesso, sotto il profilo oggettivo, il delitto di ricettazione.

Infatti, integra la violazione dell’art. 648 c.p., qualsivoglia condotta posta in essere dal soggetto agente, che comporti l’acquisizione di un bene proveniente da un qualsivoglia delitto;

pertanto integra il delitto di ricettazione anche il caso di impossamento, da parte di un terzo (come nel caso in esame) di una cosa di origine furtiva abbandonata dal ladro, poichè il termine "ricezione" di cui all’art. 648 c.p., è comprensivo di qualsiasi impossessamento della cosa proveniente da reato (v. Cass. Sez. 2, 15.4.2010 n. 18035 in Ced Cass. Rv 247468). Nessuna censura, infine può essere mossa al punto della decisione nella quale la Corte territoriale ha indicato le ragioni per le quali ha ritenuto sussistente l’elemento psicologico del dolo. La Corte d’Appello ha ritenuto che l’imputato, con il suo comportamento, ha dimostrato una consapevole accettazione del rischio di acquisire una res di illecita provenienza. Il principio di diritto al quale la Corte territoriale si è richiamata è corretto (v. Cass. SU 26.11.2009 n. 12433) e le modalità di svolgimento del fatto, descritti in sentenza consentono di ritenere come la decisione della Corte di Caltanissetta non è manifestamente illogica e non è conseguentemente censurabile nel merito. Le considerazioni svolte dalla difesa in ricorso, attengono ad aspetti di merito e sono volte ad una diversa valutazione del materiale probatorio valutato dal giudice di merito, e come tali non possono essere prese in considerazione in questa sede. Per le suddette ragioni il ricorso deve essere rigettato e l’imputato va condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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