Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 16-06-2011) 19-09-2011, n. 34309 Testimoni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

S.A., è stata tratta a giudizio per il reato di cui "all’art. 81 cpv. c.p., art. 644 c.p., commi 1 e 5, perchè in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, con più condotte consumate in tempi diversi, si faceva promettere e quindi dare, promesse e dazioni avvenute in più soluzioni, da M.D., in corrispettivo di Euro 40.000,00 ricevuti a titolo di mutuo, interessi usurai in misura superiore ad Euro 37.000,00 (pari ad un tasso annuo – calcolato per difetto – superiore al 37%).

Fatti aggravati in quanto consumati a danno di un soggetto che versava in condizioni di bisogno e che svolgeva attività imprenditoriale (quale esercente l’omonima ditta per la vendita di ferramento).

In (OMISSIS) tra i mesi di (OMISSIS))".

L’imputata, con sentenza 10.12.2009 del Tribunale di Palmi a seguito di giudizio dibattimentale celebrato con rito ordinario, è stata condannata di alla pena di anni sei di reclusione ed Euro 21.000,00 di multa. Avverso alla suddetta decisione, la difesa proponeva tempestivo appello affermando che: 1) erano mancanti gli elementi costitutivi della fattispecie contestata; 2) era ingiustificato il diniego delle circostanze attenuanti generiche; 3) la pena irrogata era eccessiva.

La Corte d’Appello di Reggio Calabria con sentenza 23.9.2010, accogliendo parzialmente l’impugnazione proposta, ha condannato l’imputata alla pena in anni cinque, mesi quattro di reclusione e Euro 16.000,00 di multa.

Avverso a quest’ultima decisione i difensori della S. hanno proposto due distinti ricorsi per Cassazione, formulando doglianze che, essendo fra loro sovrapponibili, verranno esaminate congiuntamente. La ricorrente lamenta in particolare:

1) ex art. 606 c.p.p., lett. b) la violazione dell’art. 500 c.p.p., comma 4 e art. 533 c.p.p., comma 1; art. 81 c.p., e art. 644 c.p., commi 1 e 5; ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) vizio di mancanza di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in merito all’acquisizione dei verbali delle dichiarazioni rese dalla parte offesa M. ex art. 500 c.p.p., comma 4. Sul punto la difesa denuncia la mancanza della prova che siano state esercitate pressioni minatorie idonee ad incidere sulla libertà del testimone;

in particolare il ricorrente:

a) denuncia l’omesso accertamento di atti di intimidazione;

b) denuncia la insufficiente forza dimostrativa del contenuto dell’intercettazione ambientale del 21.3.2008 circa l’esercizio di pressioni intimidatorie da parte della ricorrente;

c) rileva che il colloquio intercettato, intercorso tra la parte offesa e l’imputata sarebbe avvenuto diciotto mesi prima della deposizione del M. in aula; d) lamenta che la sentenza farebbe riferimenti inappropriati a qualità soggettive della imputata (e al suo rapporto di coniugio), non pertinenti con i fatti per i quali è processo.

2) con un secondo motivo ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) la difesa denuncia l’erronea dell’art. 81 cpv. c.p., essendo stata riconosciuta la esistenza della "continuazione" nell’ambito di un unico illecito.

3) con un terzo motivo la difesa denuncia ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), l’erronea applicazione dell’art. 644 c.p., comma 5, siccome non risulta provato l’elemento costitutivo dello stato di "bisogno" della parte offesa M.. La difesa denuncia la erroneità della decisione perchè la Corte d’appello avrebbe desunto l’esistenza dello "stato di bisogno", dall’esorbitanza degli interessi passivi pagati dalla parte offesa senza peraltro fornire indicazione del tasso di interesse praticato.

4) con un quarto motivo la difesa denuncia l’erroneità della decisione in merito al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.

5) con un quinto motivo la difesa lamenta inoltre l’erroneità del trattamento sanzionatorio applicato, perchè il reato si è consumato nell’anno (OMISSIS), mentre la pena applicata rientra nell’ambito della forbice edittale prevista prima della riforma del 2005.

Motivi della decisione

1) Nei corso della deposizione resa nel giudizio di primo grado il Tribunale ha rilevato la modesta credibilità delle dichiarazioni della persona offesa M.D., in particolare nella parte in cui rendeva meno gravosa la posizione dell’imputata, sia con riferimento alla entità della somma restituita, sia del saggio di interesse praticato; conseguentemente il Tribunale, ritenendo che l’imputato fosse stato sottoposto a minacce, ex art. 500 c.p.p., comma 4, ha acquisito e utilizzato ai fini della decisione le dichiarazioni rese dalla stessa persona offesa nel corso delle indagini preliminari. La difesa denunciando l’intrinseca inattendibilità delle dichiarazioni del M.D., ha sostenuto, appellando la decisione, la mancanza dei presupposti per l’applicazione della suddetta norma, difettando elementi di prova idonei a far supporre che la parte offesa fosse stata sottoposta a minacce. La Corte territoriale, respingendo la doglianza, ha desunto dalla deposizione del M. atteggiamenti dimostrativi che lo stesso fosse stato sottoposto ad illegittime pressioni esterne. In particolare il giudice dell’appello ha rilevato come: a) il testimone avesse fatto ricorso frequente a "difetti di memoria", avesse dato in più occasioni "risposte illogicamente incongrue"; b) avesse negato talora di avere fatto le affermazioni contenute nei verbali redatti nel corso delle indagini preliminari adoperati per le contestazioni;

c) avesse rifiutato di spiegare il motivo per il quale non avesse fin dall’inizio fornito spiegazioni in ordine a circostanze di fatto di rilevante portata. La Corte territoriale, ripercorrendo le medesime valutazioni del tribunale, ha rinvenuto la prova di una indebita pressione esercitata nei confronti del testimone nella registrazione della conversazione intercorsa tra questi e l’imputata in data 21.3.2008, ponendo l’accento sul contesto ambientale, proprio della imputata, nel cui ambito si sarebbe svolto il colloquio intercettato.

La difesa ripropone in questa sede le questioni già dedotte con l’atto di appello, in ordine alle quali il Collegio osserva quanto segue.

Le prime due doglianze (omissione di accertamenti specifici circa la esistenza di atti di intimidazione e assenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 500 c.p.p., comma 4, in quanto non desumibili dalla divergenza tra le dichiarazioni rese dal testimone nel corso del suo esame dibattimentale rispetto a quelle rese nel corso delle indagini preliminari) vanno esaminate congiuntamente essendo fra loro strettamente connesse. L’art. 500 c.p.p., comma 4, prevede la possibilità che siano acquisite al fascicolo per il dibattimento e successivamente utilizzate ai fini del giudizio, le dichiarazioni del testimone contenute nel fascicolo del pubblico ministero, rese precedentemente nel corso delle indagini preliminari quando vi siano elementi concreti per ritenere che il testimone sia stato sottoposto a violenza o minaccia o offerta o promessa di denaro o altra utilità, per deporre il falso.

Dal dato testuale della norma si desume che la "pressione" esercitata sul testimone possa emergere sia da elementi fattuali antecedenti alla fase dibattimentale, sia da circostanze che si manifestano nel corso del giudizio. Queste ultime ("circostanze"), non tipizzate dalla norma, possono essere di qualsivoglia natura e possono essere desunte, come nel caso di specie, proprio dallo stesso comportamento processuale del testimone, dal tenore delle sue risposte che possono essere messe in relazione anche alle contestazioni mosse nel corso della stessa deposizione. Le "circostanze" in parola devono peraltro avere carattere di concretezza ed è onere del giudicante indicare in modo specifico le stesse in modo da rendere evidente le ragioni per le quali si è inteso dare luogo alla applicazione di una norma che si pone con caratteri di eccezionalità all’interno di un modello processuale di tipo accusatorie.

Nel caso in esame, sotto il profilo giuridico, appare del tutto corretta la decisione del giudice di merito che ha indicato in modo specifico le ragioni concrete per le quali ha ritenuto di applicare la disposizione in esame, esplicitando le "circostanze" in base alle quali è pervenuta alla conclusione che sul M. erano state esercitate indebite pressioni incidenti sulla genuinità delle sue dichiarazioni (v. a tal proposito pag. 6 della sentenza impugnata), così descrivendo il comportamento del medesimo: "….sintomo della sottoposizione del teste a pressioni illecite di fonte esterna è innanzitutto l’atteggiamento con cui egli si è accostato alla deposizione, rifugiandosi sovente nel difetto di memoria, fornendo a più riprese risposte logicamente incongrue, negando talora di avere pronunciato le affermazioni contenute nei verbali redatti nel corso delle indagini preliminari, rifiutandosi persino a spiegare il motivo per cui, originariamente, non aveva fatto menzione di circostanze – quali quelle afferenti all’omessa corresponsione allo S. di parte delle somme provenienti dalla monetizzazione degli assegni circolari e, ancora più alla consegna di uno dei titoli a T. – di indubbio rilievo probatorio". La specifica indicazione delle circostanze oggetto di deposizione che hanno sollevato dubbi sulla genuinità della deposizione e la descritta pluralità dei comportamenti sintomatici di una deposizione non genuina costituisce una motivazione più che adeguata, non sindacabile nel merito, logica, dimostrativa di una corretta applicazione dell’art. 500 c.p.p., comma 4. La difesa afferma da un lato che il contenuto della deposizione non può costituire prova di una avvenuta intimidazione del testimone e dall’altro che il Tribunale avrebbe omesso qualsivoglia accertamento sulle condotte intimidative con conseguente doglianza circa la decisione della Corte d’Appello che respingendo l’argomentazione della difesa, ha confermato la decisione di primo grado.

L’argomento è infondato circa entrambi i profili. La giurisprudenza di questa Corte ha rilevato come l’applicazione dell’art. 500 c.p.p., comma 4, implichi la apertura di sub procedimento (incidentale), a forma libera, attivato su sollecitazione di parte o di ufficio per la ricerca di elementi concreti dai quali si possa desumere se il dichiarante sia stato sottoposto a condizionamenti. A tal fine, gli elementi raccolti nel dibattimento o aliunde devono raggiungere un quantum di consistenza non coincidente con il mero sospetto, nè con la "prova al di là di ogni ragionevole dubbio", ma che consentano, in quanto apprezzati sulla base della ragionevolezza, plausibilità logica e persuasività, di rendere palese la esistenza di una situazione che ha compromesso la genuinità dell’esame testimoniale (v. Cass. Sez. 2, 38894/2008). Sulla base del tenore dell’art. 500 c.p.p., comma 4, la indagine può essere condotta anche sulla base delle circostanze emerse nel dibattimento e in tale ambito ben possono assumere rilevanza le modalità della testimonianza e il contegno assunto dal testimone nel corso del dibattimento (v. Cass. Sez. 6, 37112/2004 e Cass. Sez. 2, 5997/2008). Pertanto rispondendosi alla prima delle obbiezioni difensive si deve ribadire che l’esercizio di pressioni incidenti sulla genuinità del testimone ben possono essere desunte anche dalla peculiarità della ritrattazione, che, nel caso in esame è stata sottolineata e ben evidenziata dalla Corte d’Appello. La risposta alla prima delle argomentazioni difensive toglierebbe qualsivoglia rilievo alla seconda doglianza difensiva, ma giova qui sottolineare che, contrariamente a quanto sostenuto dalla stessa difesa, i giudici di merito non hanno fondato la loro decisione esclusivamente sulla valutazione dell’atteggiamento assunto dalla parte offesa nel corso della deposizione, ma hanno preso in considerazione anche un elemento esterno alla stessa deposizione, rappresentato dal contenuto della intercettazione ambientale di un colloquio intervenuto il 21.3.2008 tra la imputata e il M. e nel corso del quale, il testimone è stato sollecitato ad escludere la natura usuraria della dazione della somma di denaro consegnata dalla imputata alla stessa parte offesa. I giudici di merito, pertanto hanno ricercato la causa della condotta del testimone, rinvenendola in una circostanza specifica, indicata nella motivazione ed apprezzata nella sua valenza probatoria, con giudizio non sindacabile nel merito.

La difesa (con il terzo e il quarto argomento posto a sostegno del motivo) censura la decisione della Corte territoriale, su tale ultimo punto, denunciando il vizio di contraddittorietà della motivazione perchè il fatto ritenuto dai giudici come prova di intimidazione sarebbe avvenuto molti mesi prima che venisse resa la deposizione testimoniale in dibattimento. L’argomento è infondato; infatti non si ravvisa nella motivazione, nel punto in esame, alcuna contraddizione. Il vizio in parola implica che all’interno della motivazione del provvedimento vi siano, sulla medesima circostanza, affermazioni diametralmente opposte che si pongono in un inconciliabile contrasto fra loro, sì da risultare compromessa la struttura argomentativa della decisione. Nel caso in esame tale contrasto non è ravvisabile all’interno del corpo motivazionale. Nè d’altro canto la motivazione può essere censurata per manifesta illogicità; infatti la argomentazione difensiva, non pone in evidenza alcuna illogicità nel ritenere (come implicitamente ha fatto la Corte d’Appello) che la conversazione del 21.3.2008 abbia avuto una particolare efficacia intimi dativa, tanto da dispiegare i suoi effetti anche a mesi di distanza, proprio come si può desumere dal tenore della deposizione del M.. Da ultimo, la difesa pone in evidenza che il tenore della conversazione oggetto di intercettazione ambientale appare tranquillo, non essendo state proferite minacce di sorta, e che è inappropriato e immotivato il riferimento fatto dai giudici di merito alla circostanza che la imputata vanterebbe appoggi di compagini criminali di rango che le hanno anche consentito di sottrarsi per lungo tempo al provvedimento di custodia cautelare (v. pag. 12 della decisione impugnata). La censura è infondata. La motivazione della decisione non pone in evidenza alcuno dei vizi previsti dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e). La valutazione della portata e del contenuto delle conversazioni intercettate rientra nella sfera delle valutazioni di fatto che è di esclusiva competenza dei giudici del merito, non censurabili in quanto sorrette da motivazione adeguata. Nella valutazione e nello apprezzamento dei dati fattuali, il giudice del merito può trarre il proprio giudizio da qualsiasi circostanza di fatto emersa nel corso del giudizio, ricollegandola ai dati processuali noti, purchè la connessione risponda ai canoni della logica e della ragionevolezza. In questo ambito è quindi legittimo che il giudice di merito, proprio per apprezzare la portata della conversazione del 21.3.2008, e lo stato di intimidazione del testimone abbia fatto riferimento alle relazioni intercorrenti tra la imputata e il B.G. e ai precedenti penali di quest’ultimo alla luce delle risposte fornite sul punto dallo stesso testimone (v. p. 11-12 della decisione impugnata) e alla posizione di questi nell’ambito di un determinato contesto sociale. La motivazione è adeguata e pertanto non censurabile.

2) con un secondo motivo la difesa denuncia la erronea applicazione della legge penale, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), essendo stata ritenuta la "continuazione" ex art. 81 c.p. cpv., pur essendo unico il reato contestato. Trattasi di doglianza infondata per la seguente considerazione. Effettivamente nel capo di imputazione è richiamato l’art. 81 c.p. cpv., pur nella unicità del fatto criminoso. Trattasi per altro di mera ridondanza del testo della contestazione che non ha spiegato alcun effetto concreto, nel senso che la pena irrogata non ha risentito degli effetti del richiamato istituto della contestazione. A conferma dell’assunto, va rilevato che nel dispositivo della decisione del Tribunale è stata espressamente esclusa la continuazione e la Corte territoriale, confermando la decisione di primo grado, pur nella riduzione della pena, per una ritenuta minor valenza della circostanza aggravante, ha seguito la stessa decisione del Tribunale. Sotto questo profilo, pertanto alcun pregiudizio è derivato all’imputato, con conseguente sua carenza di interesse concreto nella formulazione della censura che deve quindi essere rigettata alla luce del dettato dell’art. 568 c.p.p., comma 4. 3) con un terzo motivo la difesa denuncia ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), l’erronea applicazione dell’art. 644 c.p., comma 5, non essendo provato l’elemento costitutivo dello stato di "bisogno" della parte offesa M., avendone la Corte d’appello desunto l’esistenza dall’esorbitanza degli interessi passivi pagati dalla parte offesa senza peraltro fornire indicazione del tasso di interesse praticato. La difesa rileva in particolare che nella sentenza impugnata non viene data indicazione dell’ammontare del tasso di interesse ed inoltre che non emerge dalla decisione che il tasso di interesse fosse stato stabilito preventivamente dalle parti.

La censura manifestamente è infondata sotto entrambi i profili.

Della entità del tasso di interesse è data espressa indicazione già nel capo di imputazione, con la conseguenza che ai fini della valutazione della particolare esosità del tasso di interesse praticato dall’imputata, non era necessario che la Corte territoriale, in assenza di specifiche doglianze sul punto (peraltro neppure prospettate nella presente sede) dovesse procedere ad un ricalcolo della percentuale degli interessi sul capitale. Di qui consegue che, contrariamente a quanto affermato dalla difesa, la Corte territoriale ha avuto a disposizione l’antecedente logico (particolare esosità dell’interesse praticato) per inferire, sulla base della giurisprudenza richiamata (sostanzialmente condivisa dalla stessa difesa) il particolare stato di bisogno della parte offesa, ai fini della prova della circostanza aggravante di cui all’art. 644 c.p., comma 5, n. 3, valutazione quest’ultima che attiene ad aspetti di merito, non censurabili in questa sede, siccome la motivazione non appare manifestamente illogica. In relazione alla seconda argomentazione (mancanza di indicazioni della previa pattuizione degli interessi) si deve osservare che trattasi di censura a contenuto generico, poichè la difesa non esplicita, sulla base di atti processuali specifici, il proprio assunto, dovendosi altresì constatare che l’art. 644 c.p. sanziona sia l’accordo usurario che si manifesti nella "promessa" di interessi usurari, sia anche la sola "dazione", che presuppone l’accordo sul punto. Nella sostanza, la prospettazione difensiva, senza pervenire ad una specifica doglianza sulla applicazione della norma incriminatrice, si traduce in un inammissibile tentativo di determinare questa Corte ad una rivalutazione del fatto, compito questo che esula dalla competenza del giudice di legittimità.

Il motivo deve quindi essere dichiarato inammissibile.

4) con un quarto motivo la difesa denuncia la erroneità della decisione in merito al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.

Anche questa doglianza è manifestamente infondata. La Corte territoriale (pag. 15 della sentenza) ha indicato le ragioni per le quali ha ritenuto di non riconoscere le attenuanti generiche alla imputata. In particolare il Giudice dell’Appello ha soffermato la propria attenzione sulla gravità del fatto, nonchè sulla personalità dell’imputata valutata alla luce dei precedenti penali, puntualmente elencati, e sulla circostanza che la stessa è sottoposta anche ad altro procedimento penale. Trattasi di motivazione adeguata in ordine alla quale va riaffermato il principio in base al quale si sostiene che il riconoscimento o il diniego delle circostanze attenuanti generiche è rimesso al potere discrezionale del giudice di merito, e il relativo esercizio di detto potere deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero del decidente circa l’adeguamento della pena in concreto inflitta alla gravità del reato e alla personalità del reo (v. in tal senso Cass. Sez. 4, 15.2.2007, Usala). Nel caso in esame la Corte territoriale, a fronte della richiesta della difesa, ha assolto al proprio onere di motivazione. La doglianza è quindi inammissibile.

5) con un quinto motivo la difesa lamenta inoltre la erroneità del trattamento sanzionatorio applicato, perchè il reato si sarebbe consumato nell’anno 2004, mentre la pena applicata in concreto rientra nell’ambito della forbice edittale prevista dalla riforma introdotta con L. 5 dicembre 2005, n. 251 del 2005.

La difesa ripropone una questione che è già stata oggetto di attenzione da parte della Corte d’Appello ed in ordine alla quale è stata data adeguata risposta, attraverso il richiamo del principio di diritto al quale la stessa Corte di merito si è attenuta (Cass. Sez. 2, n. 34910 del 10.7.2008 in Ced Cass. Rv. 241818). In questa sede la difesa appellandosi ad un diverso principio giurisprudenziale, sostiene che il reato contestato si sarebbe consumato alla data dell’accordo intercorso fra le parti nel 2004, richiamando a tal proposito, fra le altre la sentenza Cass. Sez. Fer. 19.8.2010 n. 32362 in Ced Cass. Rv. 248142. In base a quest’ultima decisione, si afferma che "Il reato di usura si configura come reato a schema duplice, e quindi si perfeziona o con la sola accettazione della promessa degli interessi o degli altri vantaggi usurari, non seguita da effettiva dazione degli stessi, ovvero, quando questa segua, con l’integrale adempimento dell’obbligazione usuraria". Il richiamato principio giurisprudenziale, pur condivisibile, così come inteso dalla difesa, non è pertinente con la fattispecie concreta, risultando, dal corpo della stessa motivazione della sentenza che la vicenda usuraria intercorsa tra la imputata e il M. avrebbe avuto la sua conclusione nel gennaio del 2007 con la dazione degli assegni circolari da parte del M. alla S.. Pertanto la consumazione del reato di usura è avvenuta in quest’ultima data, che è successiva alle modifiche apportate all’art. 644 c.p. attraverso con la L. 5 dicembre 2005, n. 251, art. 2, comma 1. Conseguentemente è corretta la decisione della Corte territoriale e il motivo è manifestamente infondato.

Per le suddette ragioni il ricorso deve essere rigettato e la imputata va condannata al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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