T.A.R. Toscana Firenze Sez. II, Sent., 06-10-2011, n. 1454 Orario di vendita e turni di apertura

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La società ricorrente, "C.I.A." S.n.c., espone di esercitare da alcun anni l’attività di vendita di alimenti pronti per il consumo mediante apparecchi automatici in appositi locali adibiti esclusivamente a tale attività, in assoluta assenza di personale addetto alla consegna dei prodotti ed alla riscossione del relativo prezzo.

1.1. In data 3 dicembre 2008 la società esponente ha presentato al Comune di Firenze istanza volta ad ottenere l’autorizzazione/nulla osta all’apertura dei locali ubicati in Firenze, via Speri n. 18/r, via S. Egidio n. 11/r, via dei Magazzini n. 21/r, via Il Prato n. 64/r, via dè Serragli n. 64/r e via Guido Monaco n. 11/r, ininterrottamente per 24 ore su 24 durante tutti i giorni della settimana.

1.2. Con provvedimento a firma del dirigente del Servizio Attività Produttive prot. n. 7578 del 26 febbraio 2009, il Comune di Firenze ha, tuttavia, respinto l’istanza.

2. Avverso il suddetto diniego di autorizzazione/nulla osta è insorta l’esponente, impugnandolo con il ricorso indicato in epigrafe e chiedendone l’annullamento unitamente agli atti presupposti del pari indicati in epigrafe.

2.1. A supporto del gravame, ha dedotto le seguenti doglianze:

– violazione dell’art. 50, comma 7, del d.lgs. n. 267/2000 ed incompetenza, in quanto la richiesta di apertura per 24 ore su 24, presupponendo l’emanazione di una disciplina degli orari di apertura per la categoria di esercizi cui appartengono quelli della società ricorrente, avrebbe dovuto comportare l’adozione di un atto di organizzazione, di competenza del Sindaco;

– violazione e falsa applicazione degli artt. 12, commi 1 e 3, 13, comma 1, e 17, comma 4, del d.lgs. n. 114/1998 ed eccesso di potere per difetto del presupposto, in quanto gli esercizi della ricorrente sarebbero da qualificare come "gastronomie" o "rosticcerie" e, pertanto, da sottrarre alla disciplina sugli orari di cui al d.lgs. n. 114/1998 in ragione dell’esclusione disposta dall’art. 13, comma 1, del medesimo decreto legislativo; né in senso contrario potrebbe invocarsi l’art. 17, comma 4, del d.lgs. n. 114 cit., che assoggetterebbe i predetti esercizi alla sola disciplina sull’apertura degli esercizi di vendita, e non anche a quella sugli orari;

– eccesso di potere per violazione e falsa applicazione dell’ordinanza del Sindaco di Firenze n. 1186 del 18 dicembre 2008, perché la suddetta ordinanza sindacale, richiamando la clausola ex art. 13 del d.lgs. n. 114/1998, escluderebbe gli esercizi della ricorrente dalla disciplina sugli orari di apertura e di chiusura degli esercizi di vendita;

– eccesso di potere per difetto di motivazione e sviamento, giacché, pur essendo Firenze città d’arte, gli atti impugnati ignorerebbero completamente le esigenze del turismo, nonché le altre esigenze del pari soddisfatte dagli esercizi della ricorrente (es. lavoratori notturni), e non considererebbero che in questo caso non vi sarebbe alcun problema di tutela dei dipendenti, atteso che gli esercizi si basano sulla distribuzione automatica degli alimenti;

– violazione e falsa applicazione degli artt. 12 e 13 del d.lgs. n. 114/1998 in relazione alla normativa comunitaria sulla tutela della concorrenza ed alla potestà legislativa esclusiva statale in materia di concorrenza, giacché gli assunti della ricorrente troverebbero conferma nella segnalazione adottata dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nell’adunanza del 16 ottobre 2008, la quale comproverebbe il contrasto della regolamentazione locale (ed in specie degli atti impugnati) con la normativa comunitaria e statale in materia di concorrenza.

2.2. Si è costituito in giudizio il Comune di Firenze, depositando un rapporto in data 9 giugno 2009 della Direzione Sviluppo Economico – P.O. Contenzioso, con allegata una relazione a firma della responsabile della P.O. Commercio, nonché ulteriore documentazione.

2.3. In prossimità dell’udienza pubblica, ambedue le parti hanno depositato memoria difensiva con documentazione allegata, nonché memoria di replica.

2.4. All’udienza pubblica del 31 marzo 2011, la causa è stata trattenuta in decisione.

3. In via preliminare, si deve escludere che la produzione in giudizio, ad opera di ambedue le parti, dell’ordinanza sindacale n. 540 del 27 dicembre 2010, contenente la nuova disciplina dell’apertura degli esercizi di vendita al dettaglio su area privata in sede fissa e di altre attività di vendita, essendo (secondo la "C.I.A." S.n.c.) in toto sostitutiva di ogni anteriore provvedimento con il medesimo oggetto, inclusi quelli oggetto del ricorso, abbia determinato una sopravvenuta carenza di interesse alla decisione di quest’ultimo. Infatti, anche ove si volesse accedere alla tesi – contestata, peraltro, dalla difesa comunale – per cui l’ordinanza in parola avrebbe superato i limiti degli orari di vendita dettati per gli esercizi di distribuzione commerciale (in accoglimento delle aspettative della società ricorrente), resterebbe comunque immutato l’interesse della società stessa alla decisione del ricorso per quanto riguarda il periodo (dal marzo 2009 al dicembre 2010) in cui non ha potuto fruire dell’apertura ininterrotta degli esercizi 24 ore su 24, a causa del diniego frapposto dal Comune con i provvedimenti (ed in specie, il diniego di autorizzazione) qui impugnati. Sul punto, occorre, quindi, richiamare l’insegnamento della giurisprudenza più recente (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. V, 13 luglio 2010, n. 4540), secondo cui la dichiarazione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse può essere pronunciata solo al verificarsi di una situazione in fatto o in diritto del tutto nuova rispetto a quella esistente al momento della proposizione del ricorso, tale da rendere certa e definitiva l’inutilità della sentenza, avendo fatto venire meno, per la ricorrente, qualsivoglia, pur se solo morale, strumentale o comunque residua, utilità della pronuncia del giudice: situazione di cui, per quanto appena detto, deve escludersi la sussistenza nella fattispecie in esame.

3.1. Nel merito, il ricorso non è suscettibile di accoglimento.

3.2. Va, anzitutto, respinto il primo motivo, con il quale – come si è già visto – si deduce un preteso vizio di incompetenza da cui sarebbe affetto il diniego gravato, giacché il Comune, anziché negare l’autorizzazione all’apertura degli esercizi di distribuzione automatica ininterrottamente per 24 ore su 24 durante tutta la settimana, avrebbe dovuto previamente dettare la regolamentazione degli orari di siffatta tipologia di esercizi, con atto di competenza del Sindaco ex art. 50, comma 7, del d.lgs. n. 267/2000: tale norma attribuisce infatti al Sindaco il potere di coordinare e riorganizzare, sulla base degli indirizzi espressi dal Consiglio Comunale e dei criteri eventualmente fissati dalla Regione, gli orari degli esercizi commerciali. È, tuttavia, palese l’infondatezza dell’assunto della ricorrente, ove si osservi (come correttamente adombrato dal Comune di Firenze nelle sue difese) che, nel caso di specie, la P.A. si è trovata dinanzi alla richiesta di adozione non già di un atto contenente una nuova disciplina generale in tema di pubblici esercizi di distribuzione automatica, ma di un provvedimento puntuale e concreto, che andasse ad applicare la disciplina generale preesistente alla vicenda per cui è causa: provvedimento, la cui adozione faceva capo certamente al dirigente del competente Ufficio comunale, quale titolare dell’ordinaria competenza gestionale ex art. 107 del d.lgs. n. 267 cit. (in tal senso, in una fattispecie relativa alla fissazione degli orari degli esercizi commerciali, T.A.R. Emilia Romagna, Parma, Sez. I, 26 giugno 2008, n. 326).

3.3. A nulla vale, quindi, obiettare, come fa la ricorrente in sede di memoria finale, che i cd. negozi automatici costituirebbero una categoria speciali di esercizi, non assimilabili alle forme ordinarie di vendita ed ai quali non potrebbe, pertanto, applicarsi la disciplina sull’orario di apertura e chiusura degli esercizi di vendita, necessitando essi, invece, di una regolamentazione ad hoc. L’istanza della società ricorrente (cfr. doc. 10 della difesa comunale) muove dall’assunto che alla stessa spetti – in base alla normativa in vigore (in specie, all’art. 12 del d.lgs. n. 114/1998) – il diritto di determinare liberamente gli orari di apertura dei propri esercizi, nei quali svolge "la vendita mediante apparecchi automatici di prodotti di gastronomia". Dunque, è la medesima ricorrente ad invocare l’applicazione della regolamentazione vigente (evidentemente, interpretata nel senso ad essa favorevole), non già a richiedere l’emanazione di una nuova regolamentazione generale degli orari degli esercizi, devoluta alla competenza del Sindaco, ex art. 50, comma 7, del d.lgs. n. 267/2000. In realtà, anche laddove la P.A. avesse condiviso la tesi sostenuta nel ricorso, secondo cui i cd. negozi automatici sono esercizi distinti da quelli di vendita, essa avrebbe potuto colmare la conseguente lacuna normativa con l’uso degli strumenti previsti dall’ordinamento, in specie con l’analogia, ma non con l’adozione di un atto organizzativo generale, che non formava in alcun modo oggetto dell’istanza della ricorrente e per il quale sarebbe occorso un iter procedimentale del tutto diverso e ben più complesso (dovendosi, tra l’altro, acquisire gli indirizzi del Consiglio Comunale). Donde l’infondatezza, anche per questa via, del motivo di ricorso in esame.

4. Parimenti infondato è, poi, il secondo motivo, essendo del tutto erronea la tesi della ricorrente per cui la qualificazione degli esercizi da essa gestiti come gastronomie o rosticcerie comporterebbe la possibilità dell’apertura ininterrotta degli stessi 24 ore su 24 per tutta la settimana, e ciò perché agli esercizi da classificare come gastronomie o rosticcerie, in base alla clausola escludente di cui all’art. 13, comma 1, del d.lgs. n. 114/1998, non sarebbe applicabile la disciplina sugli orari degli esercizi di vendita. In contrario, è decisiva l’osservazione che gli esercizi ricompresi tra le gastronomie e le rosticcerie erano assoggettati, al tempo dell’emanazione del diniego impugnato, alla disciplina sugli orari di apertura e chiusura dettata dalle ordinanze del Sindaco di Firenze n. 249 del 14 marzo 2008 e n. 929 del 9 ottobre 2008 (parzialmente modificativa della precedente). Secondo tali ordinanze – rimaste inoppugnate – gli esercizi rientranti nelle categorie delle gelaterie, gastronomie, rosticcerie, pasticcerie e similari devono osservare l’orario di apertura e chiusure delle ore 7.0024.00 durante la stagione invernale e 7.001.00 nella stagione estiva, senza alcuna possibilità di svolgere l’attività nel periodo notturno. Ciò, senza trascurare i dubbi sulla correttezza della succitata qualificazione, attese le divergenze rinvenibili in giurisprudenza circa gli aspetti che contraddistinguerebbero l’attività di somministrazione di prodotti di gastronomia (cfr. T.A.R. Veneto, Sez. III, 4 ottobre 2002, n. 5955, secondo cui quest’ultima riguarda cibi non oggetto di alcuna manipolazione strutturale, mentre per T.A.R. Sardegna, Sez. I, 24 marzo 2011, n. 274, basta che i cibi non subiscano in loco operazioni di cottura) e, soprattutto, attesi i dubbi circa la riconducibilità dei cd. negozi automatici agli esercizi di somministrazione, anziché a quelli di vendita (cfr., in contrario, quanto disposto dall’art. 65, comma 2, della l.r. n. 28/2005).

4.1. In altri termini, anche ad accedere alla tesi della ricorrente, secondo cui i cd. negozi automatici sarebbero esclusi dalla regolamentazione degli orari degli esercizi di vendita, ex artt. 13, comma 1, e 17, comma 4, del d.lgs. n. 114/1998, non ne deriverebbe, per ciò solo, la fondatezza della pretesa all’apertura di detti negozi senza limiti temporali. Anche la loro qualificazione come gastronomie o come rosticcerie non comporterebbe, infatti, la possibilità dell’apertura senza limitazione di orario di cui beneficiano gli esercizi ricadenti nell’elencazione dell’art. 13 cit. (come afferma C.d.S., Sez. V, 21 agosto 2009, n. 5017): tale qualificazione comporterebbe, invece, l’applicazione agli esercizi della ricorrente delle limitazioni di orario derivanti dalle già citate ordinanze sindacali n. 249 del 14 marzo 2008 e n. 929 del 9 ottobre 2008, che non formano oggetto di impugnazione (com’è, invece, per la fattispecie decisa da C.d.S., Sez. V, n. 5017/2009 cit., nella quale, inoltre – diversamente dal caso ora in esame – era incontestato che l’attività svolta rientrasse nell’elenco ex art. 13 del d.lgs. n. 114/1998). A nulla vale, pertanto, richiamare le premesse dell’impugnato diniego di autorizzazione, laddove si afferma che l’Accordo in materia di orari di apertura e chiusura degli esercizi di vendita al dettaglio su area privata in sede fissa, stipulato il 20 dicembre 1999 tra alcuni Comuni dell’area fiorentina e pratese, non reca "nessuna disposizione specifica per tale modalità di commercio" (cioè per i cd. negozi automatici). E per l’identica ragione, nessun elemento a sé favorevole la società può desumere neppure dalla successiva ordinanza sindacale n. 540 del 27 dicembre 2010, invocata nella memoria finale.

4.2. Quanto appena detto rende, dunque, irrilevante il richiamo all’art. 13 del d.lgs. n. 114/1998, su cui la "C.I.A." S.n.c. insiste anche con il terzo motivo di ricorso: motivo che, perciò, deve considerarsi infondato per le stesse ragioni poste a base della reiezione del secondo. In base al principio tempus regit actum, non può, invece, addursi a confutazione delle doglianze ora in esame il fatto che – per effetto dell’art. 113 della l.r. n. 80/2005 – dall’entrata in vigore del regolamento di attuazione della predetta legge regionale (emanato con decreto del Presidente della Regione n. 15/R del 1° aprile 2009), l’art. 13 del d.lgs. n. 114/1998 ha cessato di essere direttamente applicabile nel territorio della Toscana, non rientrando nell’elenco delle disposizioni della normativa statale la cui applicazione è fatta salva dal citato art. 113.

5. Venendo ora all’esame del quarto motivo, con cui si deduce il difetto di motivazione del diniego impugnato, in quanto sarebbero state ignorate le esigenze del turismo e le altre esigenze dell’utenza soddisfatte dagli esercizi della ricorrente (in particolare quelle dei lavoratori con turno di notte), ad avviso del Collegio trattasi di doglianza che – anche a non volerla considerare inammissibile perché sconfinante nel merito dell’azione amministrativa – è comunque destituita di fondamento. Come ha correttamente osservato la difesa comunale, infatti, le scelte della P.A. circa la delimitazione degli orari degli esercizi sono espressione di una valutazione amministrativa, attraverso la quale vengono comparati e bilanciati i diversi interessi in gioco. In disparte la qualificazione di Firenze come Città d’arte (che, peraltro, appare irrilevante, alla luce della disciplina degli orari dettata dall’art. 80 della l.r. n. 80/2005, recante una normativa regionale che non tiene più conto della classificazione in Città d’arte o Comuni ad economia prevalentemente turistica: cfr. T.A.R. Toscana, Sez. II, 2 marzo 2011, n. 395), è comunque indiscutibile che, tra gli interessi da ponderare in sede di scelta amministrativa circa gli orari degli esercizi, vi fosse quello legato al turismo. Orbene, la lettura del diniego gravato, così come dell’ordinanza sindacale n. 1186/2008 (del pari oggetto di impugnazione), dimostra che il Comune di Firenze ha pienamente tenuto conto anche delle esigenze turistiche e delle altre esigenze rappresentate dalla ricorrente, a smentita di quanto si sostiene nel gravame. Si consideri, infatti, che per gli esercizi del centro storico, cioè per gli esercizi più direttamente interessati dai flussi turistici, l’ordinanza sindacale n. 1186/2008 cit. prevede un orario giornaliero differenziato rispetto agli altri, ammettendone l’apertura fino alle ore 24.00 (fino alle ore 1.00 nella stagione estiva), anziché fino alle 22.00. Né è condivisibile la doglianza per cui che nella fase di concertazione, che ha preceduto l’emanazione dell’ordinanza n. 1186/2008, sono state coinvolte solo le organizzazioni dei lavoratori dipendenti, sebbene le esigenze di questi ultimi avessero un minor peso nel caso degli esercizi della società ricorrente, che operano senza personale addetto alla consegna dei prodotti ed alla riscossione del relativo prezzo. Ed invero, la disciplina dettata dal Comune di Firenze con gli atti impugnati si conforma agli indirizzi espressi dall’Accordo poc’anzi ricordato del 20 dicembre 1999, nonché da quello modificativo del 12 marzo 2004: orbene, ambedue detti Accordi – richiamati nelle premesse sia dell’ordinanza n. 1186/2008, sia del diniego di autorizzazione impugnato – risultano sottoscritti anche dalle associazioni di categoria dei consumatori (i cui interessi hanno, perciò, trovato adeguate possibilità di essere fatti valere).

5.1. In altri termini, la disciplina comunale degli orari di apertura e chiusura degli esercizi è – come recitano nelle loro premesse sia il diniego di autorizzazione, sia l’ordinanza sindacale n. 1186/2008 – il risultato di una valutazione che ha contemperato ed equilibrato le svariate esigenze "espresse da tutti i soggetti che vivono la città": i residenti, i turisti, le categorie di imprese, i lavoratori. Si tratta, secondo il Collegio, di una valutazione che, pur nel rispetto degli indirizzi del Consiglio Comunale e dei criteri eventualmente dettati dalla Regione, presenta elementi di ampia discrezionalità e, come tale, è sindacabile solo nei limiti in cui risulti affetta da manifesta irragionevolezza, incongruità od illogicità (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. V, 14 settembre 2010, n. 6686): vizi che non sono ravvisabili nella fattispecie in esame. Né ha alcun valore il tentativo della "C.I.A." S.n.c. (fatto in sede di memoria di replica) di attribuire rilevanza – onde contestarne la fondatezza – alle ragioni giustificative che la difesa comunale avrebbe addotto in sede di memoria difensiva a supporto delle scelte effettuate dal Comune di Firenze in sede di disciplina dell’orario di apertura e chiusura degli esercizi di vendita (quiete pubblica, traffico ed inquinamento atmosferico, ecc.). L’elencazione delle predette ragioni compiuta dalla difesa comunale ha, infatti, un mero valore esemplificativo, quando non consiste, addirittura, nella sola estrapolazione di massime giurisprudenziali, ed in nessun modo si può ritenere che contribuisca alla motivazione degli atti impugnati, senza trascurare, peraltro, che ad opinare diversamente, si tratterebbe di un’inammissibile integrazione postuma della motivazione (cfr., ex multis, T.A.R. Piemonte, Sez. I, 16 dicembre 2010, n. 4550).

5.2. Per quanto concerne, infine, il quinto ed ultimo motivo, con esso viene adombrato il contrasto della disciplina comunale impugnata con la normativa comunitaria del Trattato CE volta a tutelare la concorrenza, nonché con il d.lgs. n. 114/1998, intesa quale legge nazionale che applica in tutto il territorio nazionale i principi comunitari in materia di tutela della concorrenza (materia, questa, che appartiene alla potestà legislativa esclusiva statale). Il suddetto contrasto sarebbe desumibile dalle conclusioni cui è pervenuta l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato con la segnalazione resa nell’adunanza del 16 ottobre 2008, in cui si richiama l’attenzione di Parlamento e Governo su alcune discipline regionali e regolamentazioni degli Enti locali in materia di apertura degli esercizi commerciali al dettaglio, che imporrebbero ingiustificate restrizioni della concorrenza e che inoltre sarebbero in contrasto con la disciplina nazionale di cui al d.lgs. n. 114/1998.

5.3. Sul punto, al Collegio non resta che rinviare alle riflessioni contenute nella già citata sentenza di questa Sezione 2 marzo 2011, n. 395, lì dove si è evidenziato che il principio di concorrenza cui occorre far riferimento – in relazione sia alla normativa comunitaria, sia all’art. 117 Cost. – è stato identificato dalla Corte costituzionale. I giudici costituzionali hanno, infatti, chiarito che la nozione di concorrenza ex art. 117, secondo comma, lett. e), Cost. riflette necessariamente quella operante in ambito comunitario; in tale nozione, per il diritto europeo, sono comprese: a) le misure legislative di tutela in senso proprio, concernenti gli atti e le condotte delle imprese che incidono negativamente sull’assetto concorrenziale dei mercati, e disciplinanti le modalità di controllo ed, eventualmente, di sanzione; b) le disposizioni legislative di promozione, miranti ad aprire un mercato o a consolidarne l’apertura, eliminando barriere all’entrata, ossia riducendo od eliminando vincoli al libero esplicarsi della capacità imprenditoriale e della competizione fra imprese (da intendere quale concorrenza "nel mercato"); c) le disposizioni legislative tese ad introdurre procedure concorsuali di garanzia tramite una strutturazione delle stesse procedure tale da assicurare la più ampia apertura del mercato a tutti gli operatori economici, da intendere quale concorrenza "per il mercato" (v. Corte Cost., 12 ottobre 2010, n. 45). In tal senso, quindi, il principio comunitario di concorrenza cui fare riferimento ai fini di un’eventuale disapplicazione di norme regionali o locali con esso contrastanti, è quello, generale, di libero accesso al mercato di riferimento al fine di consentire la libera iniziativa economica in un certo settore (concorrenza "nel mercato") ma non quello, più ristretto, legato alla regolamentazione dell’attività di imprenditori che nel mercato di riferimento già sono presenti. Nel caso di specie, le limitazioni di orario di cui ci si lamenta non sembrano tali da influire sull’accessibilità al mercato di riferimento, né in contrario può obiettarsi che, in mancanza di apertura notturna, i negozi automatici cesserebbero di avere un fatturato significativo e di produrre utili, atteso che vi possono essere altri fattori, diversi dall’apertura notturna, tali da render conveniente il rivolgersi ad una simile tipologia di negozi e da favorire l’accesso ad essi anche di una clientela in orario diurno (si pensi, per es., alla possibilità di praticare prezzi più contenuti per l’assenza di spese di personale). Perciò, non essendo comprovati impedimenti e/o alterazioni dell’accesso al singolo mercato di riferimento, né distorta illegittimamente la concorrenza, non si rinvengono nella disciplina contestata illegittime restrizioni della concorrenza.

5.4. Quanto, infine, al preteso contrasto con la disciplina nazionale (in una materia rientrante nella potestà esclusiva statale), a confutazione di tale doglianza è sufficiente richiamare, sulla base della ricordata sentenza di questa Sezione n. 395/2011, l’insegnamento della Corte costituzionale, per cui la disciplina degli orari degli esercizi commerciali rientra nella materia "commercio" di cui all’art. 117, quarto comma, Cost. (Corte cost., 8 ottobre 2010, n. 288). Ne discende anche per questo verso l’infondatezza del motivo di ricorso in esame.

6. In definitiva, il ricorso è nel suo complesso infondato e deve, perciò, essere respinto.

7. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana – Sezione Seconda – così definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la ricorrente al pagamento in favore del Comune di Firenze di spese ed onorari di causa, che liquida in via forfettaria in complessivi Euro 3.000,00 (tremila/00), più accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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