Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 16-06-2011) 19-09-2011, n. 34307

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

P.G. e A.M.V. sono stati tratti per rispondere delle seguenti imputazioni:

entrambi:

a)"per il delitto di cui agli artt. 110 e 56 c.p., art. 628 c.p., commi 1 e 3, poichè in data (OMISSIS) alle ore 8,40 circa in (OMISSIS), in concorso tra di loro e previo accordo, ponevano in essere atti idonei diretti in maniera non equivoca a consumare una rapina ai danni della Nomea di Credito cooperativo di (OMISSIS). Evento non verificatosi laddove, il direttore della banca, mentre i rapinatori cercavano di accedere, bloccava repentinamente le porte di accesso all’istituto. Condotte aggravate per avere commesso il fatto con armi da taglio (taglierino tipo cutter), travisandosi con parrucche e in più persone riunite. In (OMISSIS)".

Il solo A.:

b)"per il delitto di cui agli artt. 110 e 477 c.p., perchè in concorso con altre persone non identificate, formava il documento di cui al capo che segue. Nello specifico forniva la foto al materiale autore del reato pagando il costo della operazione di falsificazione.

Reato commesso in luogo non meglio accertato in data antecedente al 27.8.2009". c)" per il delitto di cui all’art. 497 bis c.p., comma 1, poichè veniva trovato in possesso di un documento falso valido per respatrio e nello specifico una carta di identità nr (OMISSIS) rilasciata dal Comune di Catania il 22.5.2009.

In (OMISSIS).

Con la recidiva ex art. 99 c.p., comma 4, per tutti.

A seguito di giudizio celebrato con il rito abbreviato, il Giudice della udienza preliminare del Tribunale di Pistoia con sentenza 26.11.2009, dichiarati gli imputati responsabili dei reati loro rispettivamente ascritti, applicando a ciascuno di essi l’aumento della pena per la contestata recidiva ai sensi dell’art. 99 c.p., comma 4, seconda ipotesi, tenendo conto della diminuente del rito abbreviato, ha condannato: P.G., alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione e Euro 1.500,00 di multa oltre al pagamento delle spese processuali e delle spese di mantenimento durante il periodo di custodia cautelare; A.M.V. alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione e Euro 1.500,00 di multa per il reato di cui al capo A) e alla pena di anni uno e mesi otto di reclusione per il reato di cui all’art. 497 bis c.p., così unitariamente riqualificati i fatti contestati ai capi B) e C), per una pena complessiva di anni cinque di reclusione e Euro 1.500,00 di multa oltre al pagamento delle spese processuali e delle spese per il mantenimento durante il periodo di custodia cautelare. Il Tribunale ai sensi dell’art. 29 c.p., dichiarava P.G. interdetto dai pubblici uffici per la durata di anni cinque e A.M. V. interdetto in perpetuo dai pubblici uffici.

Entrambi gli imputati, tramite i rispettivi difensori appellavano la sentenza deducendo: a) l’insussistenza del reato nella forma del tentativo, poichè l’iter criminoso per il delitto di cui al capo A) si era arrestato alla fase dei soli "atti preparatori"; b) la sussistenza della causa di non punibilità di cui all’art. 56 c.p., comma 3, avendo gli imputati volontariamente desistito dal portare a termine l’azione; c) l’eccessività della pena irrogata, potendo essere riconosciuta l’attenuante di cui all’art. 62 bis c.p., valutabile in misura equivalente alla aggravante della recidiva; d) per il solo A., la riconoscibilità del vincolo della continuazione fra i reati contestati; e) la difesa del P. inoltre l’insussistenza di una valida prova dell’uso di arma da taglio nel corso della rapina. La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza 20.9.2009, ritenuti infondati tutti i motivi di gravame, confermava la sentenza del Tribunale, condannando gli imputati al pagamento delle ulteriori spese del grado di giudizio.

Tramite l’avv.to CIANFERONI, entrambi gli imputati ricorrono per Cassazione avverso la sentenza della Corte territoriale denunciando:

1.) ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) la violazione degli artt. 56 e 628 c.p. ribadendo che gli atti realizzati per il fatto di cui al capo A) sono meramente "preparatori" e non esecutivi del delitto, come tali non punibili secondo quanto affermato in sede di legittimità: Cass. Sez. 1, 24.9.2008 n. 40058.

Tramite l’avv.to MALERBA, entrambi gli imputati:

2.) formulano la medesima doglianza di cui al 1.);

3.) in relazione alla circostanza aggravante dell’uso dell’arma da taglio (capo A della imputazione) denunciano l’erronea applicazione dell’art. 192 c.p.p., comma 3, poichè la prova sarebbe costituita dalle sole dichiarazioni dell’ A. risultate prive di riscontri esterni;

4) lamentano, in relazione al capo A), il mancato riconoscimento della esimente di cui all’art. 56 c.p., comma 3;

5) lamentano l’eccessività della pena attesa per la non particolare gravità del fatto, nonchè l’illegittima applicazione dell’aggravante di cui all’art. 99 c.p., comma 4, alla quale i giudici di merito avrebbero fatto ricorso sia per la determinazione della pena base sia per stabilire l’entità dell’aumento della pena;

in relazione al solo A., la difesa avv.to MALERBA, infine:

6.) denuncia il mancato riconoscimento della continuazione ex art. 81 cpv. c.p., fra le ipotesi di reato contestate.

Prendendo in considerazione i vari motivi di ricorso, possono essere esaminati congiuntamente il primo motivo proposto dall’avv.to CIANFERONI (1)) e il primo motivo proposto dall’avv.to MALERBA (2.), siccome attinenti al medesimo tema, dovendosi peraltro svolgere una breve illustrazione della vicenda in fatto.

Dalla sentenza di appello si apprende che "….la mattina del (OMISSIS), gli imputati a bordo di una autovettura Fiat Multipla, condotta da R.S., nei cui confronti si è proceduto separatamente, raggiunsero la sede della Banca di Credito Cooperativo di Masiano. Dopo essere transitati davanti all’istituto di credito, per prendere cognizione della situazione, scesi dalla autovettura si avvicinarono – il P. precedendo l’ A. ed entrambi indossando una parrucca – all’ingresso della banca. Il direttore della agenzia T.D., ha dichiarato che, avendo notato il transito della multipla, insospettitosi per il modo con cui gli occupanti avevano guardato in direzione della banca, nell’osservare due soggetti (poi identificati negli imputati), palesemente – e alla stessa maniera – travisati, avvicinarsi alla porta di ingresso, impartiva ad una collega l’ordine di bloccare le porte verso cui si era nel contempo diretto. Nel fare ciò aveva constatato che uno dei due (il P. come è pacifico) cercava di schiacciare insistentemente i pulsanti di apertura della porta a bussola".

Le suddette circostanze di fatto appaiono parifiche, trovando altresì conferma, come si evince dalla motivazione della sentenza impugnata, nelle dichiarazioni degli imputati: avendo il P. affermato;

– di essere partito da (OMISSIS) insieme all’ A., con lo scopo di commettere la rapina;

– di essersi recato sul posto insieme al R.;

– di avere solo finto di tentare di aprire la porta della banca;

– di essersi travisato con una parrucca;

di avere avuto un ripensamento, così desistendo dal proposito criminoso; l’ A. a sua volta, confermava le dichiarazioni del P. aggiungendo:

di essere stato in possesso di un taglierino, successivamente buttato in cassonetto insieme alle parrucche indossate da entrambi;

che il P. aveva effettivamente tentato di aprire le porte della banca rinunciando perchè bloccate;

– che il complice gli aveva riferito che i dipendenti della banca si erano accorti delle loro intenzioni.

Sulla base delle suddette evidenze processuali, la Corte d’Appello ha ritenuto la sussistenza degli elementi di fatto per la configurazione del delitto tentato, affermando: "…avendo posto in essere veri e propri atti esecutivi del delitto stesso affermando la irrilevanza della questione relativa alla punibilità, a titolo di tentativo, degli atti preparatori, avendo la condotta degli imputati superato la soglia della fase preparatoria per approdare alla vera e propria fase esecutiva con il compimento di atti idonei a commettere il delitto, quali l’insistito tentativo di entrare nella banca, preceduto dal travisamento e accompagnato dal possesso del taglierino che prefigurano le modalità operative con cui vengono commesse le rapine in danno di istituti di credito…" (pag. 4 della sentenza impugnata).

Contrariamente a quanto sostenute dalla difese nei rispettivi ricorsi, la motivazione riguardante l’esposizione e la valutazione dei dati fattuali non è manifestamente illogica, nè è contraddetta da altri punti della decisione; il principio di diritto applicato è corretto. La valutazione della natura (esecutivi o preparatori) degli atti compiuti dagli imputati è una questio facti, non sindacabile in questa sede nel momento in cui essa sia adeguatamente motivata, come nella sentenza qui esaminata. La descrizione degli atti compiuti (arrivo con la autovettura sul luogo del fatto, il giro di perlustrazione, il travisamento del P. e dell’ A. con parrucche, l’insistente tentativo di accesso all’interno dell’istituto bancario) elenca elementi fattuali, che secondo il comune apprezzamento sul piano logico, possono essere definiti atti propri dell’inizio della fase esecutiva del delitto. Sotto questo profilo la decisione impugnata è pertanto immune da censure con la conseguenza che è del tutto superflua la questione posta dalla difesa, in ordine alla non punibilità dei soli atti preparatori, perchè comunque non pertinente con il caso in esame. Il motivo deve quindi essere rigettato.

Con il terzo motivo di ricorso, la difesa del P. segnala che la prova dell’utilizzo di un coltello cutter per il compimento della rapina si fonda sulle sole dichiarazioni del coimputato A., le quali, siccome prive di riscontro non possono essere ritenute da sole sufficienti per la affermazione della esistenza della circostanza aggravante. La doglianza è infondata.

Come correttamente ha affermato la Corte fiorentina, nel caso in cui la responsabilità di un imputato sia fondata sulle dichiarazioni accusatorie di un coimputato, è necessario che esse siano suffragate da riscontri, ma non è altrettanto necessario che i detti riscontri riguardino tutte le singole circostanze di fatto riferite dal dichiarante. Infatti è sufficiente che i riscontri siano precisi, individualizzanti ed attenenti al nucleo centrale del fatto. Nel caso in esame, come si evince dalla lettura della decisione impugnata, le dichiarazioni dell’ A. riguardanti la posizione del P. e la sua partecipazione al delitto di rapina, nel loro nucleo centrale trovano riscontro nelle dichiarazioni testimoniali del testimone T., nonchè in quelle, parzialmente ammissive rilasciate dello stesso P.. Dalla motivazione della sentenza si può affermare che vi è sostanziale coincidenza fra le dichiarazioni delle citate persone, con la conseguenza che il nucleo centrale delle propalazioni dell’ A. è pienamente riscontrato, sia in relazione al delitto di rapina, sia in relazione alla riferibilità del fatto al P.. Il riscontro delle dichiarazioni rese dall’ A. permette di ritenere questi attendibile e credibile, anche con riferimento agli aspetti secondari, non direttamente riscontrati, quale il porto di un coltello. La motivazione della decisione non presenta aspetti di manifesta illogicità o contraddittorietà e il motivo appare infondato.

Con il quarto motivo la difesa lamenta il mancato riconoscimento della esimente di cui all’art. 56 c.p., comma 3, sostenendo che gli imputati spontaneamente hanno desistito dal proposito criminoso. La censura è infondata.

La desistenza (ex art. 56 c.p., comma 3) può ritenersi volontaria quando la prosecuzione nell’azione criminosa non sia impedita fattori esterni che ne renderebbero estremamente improbabile il successo di essa; conseguentemente la "desistenza" deve essere frutto di una scelta volontaria, libera e non indotta da cause esterne (v. Cass. Sez. 4, 24.6.2010 n. 32145 in Ced Cass. Rv 248183).

Dalla motivazione della sentenza impugnata si apprende che gli imputati hanno receduto dall’esecuzione del reato, non per effetto di una scelta autonoma e volontaria, ma perchè la prosecuzione del progetto criminoso ha trovato un ostacolo nella pronta reazione del direttore dello istituto bancario che ha ordinato la chiusura delle porte dello istituto bancario. Pertanto non è irragionevole ritenere che gli imputati abbiano desistito dalla condotta delittuosa non tanto per una scelta autonoma e volontaria, ma solo per l’effetto di essersi trovati nelle condizioni di non poter attuare il progetto criminoso. La decisione pertanto, non manifestamente illogica, ha dato corretta applicazione della norma di legge in esame. Pertanto il motivo va rigettato.

Con il quinto motivo la difesa del P. lamenta che agli imputati non sono state riconosciute le attenuanti generiche a causa dei precedenti penali e che a cagione degli stessi è stata irrogata agli imputati una pena superiore rispetto ai minimi edittali. La difesa deduce ancora che l’episodio di tentativo di rapina contestato non è grave e che la medesima circostanza di fatto (esistenza di precedenti penali) è stata considerata illegittimamente più volte.

La doglianza è infondata. Ai fini della negazione delle attenuanti generiche la Corte d’Appello ha svolto una articolata motivazione fondando il proprio giudizio principalmente sulla condotta degli imputati antecedente e successiva al fatto. In particolare la Corte territoriale ha considerato anche gli accadimenti successivi al fallito colpo in danno della Banca di Credito Cooperativo di Masiano, affermando che gli stessi sono dimostrativi di persistenza in atteggiamenti criminali. Inoltre la Corte ha rilevato come il P. fosse sottoposto a procedimento penale anche per altro delitto di rapina commesso in data 7.8.2009 in danno della Cassa di Risparmio di Prato, filiale di (OMISSIS) e come l’ A., a sua volta fosse in possesso di documenti di identità falsi, trovandosi in condizione di latitanza. Non risponde pertanto al vero che la Corte territoriale abbia preso in considerazione la circostanza della recidiva sia per la determinazione della pena base, sia per la successiva applicazione della aggravante prevista dall’art. 99 c.p., comma 4, avendo invece svolto un più articolo giudizio, prendendo in considerazione una pluralità di elementi fattuali, fra loro diversi e valutandoli con giudizio che nel merito non è sindacabile.

Con il sesto motivo la difesa dell’ A. lamenta che la Corte d’Appello non abbia riconosciuto la continuazione ex art. 81 cpv. c.p. fra i reati contestati. Trattasi di censura generica, come tale inammissibile, perchè non formula una critica specifica alle ragioni esplicitate in motivazione per le quali la Corte fiorentina non ha ritenuto di riconoscere la detta "continuazione". La Corte territoriale infatti ha rilevato, sulla base delle stesse dichiarazioni dell’ A., come non siano emerse prove che i reati di cui ai capi A) e C) fossero stati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso che è l’elemento indefettibile in base al quale può darsi applicazione della disciplina dell’art. 81 cpv. c.p.. Il delitto di tentativo di rapina commesso (capo A) e quello relativo ai falsi documenti di indentità (capo C) appaiono infatti fra loro del tutto sconnessi, posto che il secondo reato è stato commesso al solo fine di rendere più sicura la latitanza e non vi è prova entrambi i reati rispondano all’esecuzione di un unico disegno criminoso.

Per le suddette ragioni i ricorsi vanno rigettati e gli imputati devono essere condannati al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *