Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 16-06-2011) 19-09-2011, n. 34306

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

M.A. e M.S. sono stati sottoposti a procedimento penale con le seguenti accuse:

M.S. (in concorso con A.L. la cui sentenza è passata in giudicato in data 22.1.2011):

1) artt. 110 e 497 ter c.p., art. 61 c.p., n. 11 bis, perchè in concorso e previo accordo fra loro illecitamente detenevano un porta tessera in pelle nero con all’interno applicata una placca in metallo con la dicitura "Polizia Privava", oggetto idoneo a simulare la funzione dei contrassegni identificativi dei corpi di Polizia. Con la aggravante derivante dall’aver commesso il fatto uno dei concorrenti ( A.L.) mentre si trovava illegalmente sul territorio nazionale.

In (OMISSIS);

2) 110 e 56 c.p., art. 629 c.p., commi 1 e 2 in relazione all’art. 628 c.p., comma 3, n. 1 e art. 61 c.p., n. 11 bis, perchè in concorso e previo accordo fra loro, affermando falsamente di essere due agenti della Polizia di Stato, mediante minaccia consistita, in particolare e fra l’altro, nel dire loro che, se avessero acconsentito a consegnare loro la somma di Euro 850,00 le avrebbero lasciate lavorare in pace, compivano atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere le prostitute F.A.A.M. e D.E.Z.L. a consegnare loro la predetta somma, non riuscendo nell’intento per cause indipendenti dalla loro volontà (le due donne rifiutavano la consegna affermando di non disporre della somma richiesta). Con la aggravante derivante dall’aver commesso il fatto uno dei concorrenti ( A.L.) mentre si trovava illegalmente sul territorio nazionale. In (OMISSIS);

3) 110, 609 bis e 609 ter c.p. e art. 61 c.p., n. 11 bis, perchè in concorso e previo accordo fra loro, affermando falsamente di essere due agenti di polizia di Stato, mediante minaccia consistita, in particolare e fra l’altro, nel dire loro che se avessero acconsentito a consumare un rapporto sessuale con loro, le avrebbero lasciate lavorare in pace, costringevano le prostitute F.A.A. M. e D.E.Z.L. a compiere atti sessuali consistiti in due rapporti sessuali completi Con la aggravante derivante dall’aver commesso il fatto uno dei concorrenti ( O. L. mentre si trovava illegalmente sul territorio nazionale.

In (OMISSIS).

M.S. e M.A.:

4) artt. 56 e 110 c.p., art. 628 c.p., comma 1, cpv. 3, n. 1 perchè d’accordo e previe intese tra loro, ed agendo insieme, affermando di essere agenti della Polizia di Stato e minacciando C.C. di sequestrarle l’auto se non avesse sborsato una somma di denaro, compivano atti idonei diretti in modo non equivoco ad impossessarsi delle somme e dei valori di proprietà della medesima prostituta, non riuscendo nell’intento per cause non dipendenti dalla loro volontà.

Tra l’altro essi, dopo avere chiesto alla donna se detenesse del denaro, le puntavano alla tempio una pistola e la perquisivano sommariamente alla ricerca di somme di denaro che però non rinvenivano. Con le aggravanti di avere commesso il fatto essendo due persone riunite e mediante uso di armi da sparo;

5) art. 61 c.p., n. 2, artt. 110 e 497 ter c.p. perchè previ accordi fra loro, alfine di eseguire il delitto che precede, illecitamente detenevano un portatessera di colore nero recante all’interno applicata una placca in metallo giallo con la dicitura "polizia privata" oggetto idoneo a simulare la funzione dei contrassegni identificativi dei corpi di polizia.

In (OMISSIS) verso le ore 23,30;

6) art. 640 c.p. e cpv. n. 2, n. 2, per essersi procurati, agendo assieme e previ accordi, con artifici e raggiri consistiti nell’affermare falsamente di essere agenti della Polizia di Stato e di dovere elevare nei suoi confronti una sanzione amministrativa per un asserito eccesso di velocitò, inducendo in tal modo in errore CA.En., si procuravano un ingiusto profitto ai danni di quest’ultimo, indotto in tal modo a consegnare loro la somma di Euro 57,00 per estinguere l’inesistente contravvenzione stradale.

Con l’aggravante di avere commesso il fatto ingenerando nella persona offesa CA. l’erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell’Autorità. In (OMISSIS) verso le ore 1,00".

Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Vicenza, a seguito di procedimento celebrato con il rito abbreviato ha dichiarato gli imputati responsabili dei reati loro rispettivamente ascritti "ad eccezione, per M.S. di quello al capo 6) della rubrica e, tenuto conto per quest’ultimo della recidiva, ritenuta per ciascuna imputato la continuazione più grave, per A., il rato sub 2) e per M.S. e M.A. quello sub 4), tenuto conto della diminuzione connessa alla scelta del rito chiesto dai predetti, condanna A.L. alla pena di anni quattro di reclusione ed Euro 1.800,00 di multa; M. A. alla pena di anni tre di reclusione ed Euro 1.600,00 di multa e M.S. a quella di anni sei di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa oltre al pagamento delle spese processuali e di mantenimento in carcere, per tutti e tre gli imputati". Con la medesima sentenza il Tribunale dichiarava M.S. interdetto in perpetuo dai pubblici uffici e da ogni ufficio attinente la tutela e la curatela;

dichiarava altresì L.A. e M.A. interdetti dai pubblici uffici per la durata di anni cinque e l’ A. anche da qualunque ufficio attinente la tutela e la curatela, assolvendo infine M.A. per il reato di cui al capo 6).

Le difese degli imputati proponevano appello avverso alla suddetta decisione. La Corte d’Appello di Venezia in data 8.10.2010 pronunciava quindi la seguente sentenza: "Visto l’art. 605 c.p. in parziale riforma della sentenza del GUP Tribunale di Vicenza in data 18.12.2009 appellata da A.L., M.A. e M. S., esclusa quanto all’ A. l’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 11 bis, riconosciute all’ A. le circostanze generiche prevalenti e a M.S. le circostanze attenuanti generiche e – quanto al capo 6) – anche quella di cui all’art. 62 c.p., n. 4, valutate equivalenti, ritenuto più grave – quanto al già riconosciuto vincolo della continuazione per A. e M. S. – il capo 3), riduce e ridetermina la pena nei termini seguenti: per A. anni due, mesi otto di reclusione; per M.S. anni quattro mesi sei di reclusione; per M. A. anni uno mesi sette giorni dieci di reclusione e Euro 800,00 di multa. Revoca l’interdizione dai pubblici uffici nei confronti di A. e M.A. e sostituisce la interdizione perpetua con la interdizione temporanea dai pubblici uffici nei confronti di M.S.. Conferma bel resto. Ordina la trasmissione degli atti pertinenti al fatto 2.9.2007 di cui alle dichiarazioni di A.M. al P.M. presso il Tribunale di Vicenza, per quanto di competenza".

Dalla lettura della sentenza 18.12.2009 del Tribunale di Vicenza e di quella 8.10.2010 della Corte di Venezia (che possono essere lette congiuntamente, siccome fra loro conformi) si evince in fatto quanto segue.

Gli imputati sono stati tratti a giudizio e condannati, a seguito di procedimento celebrato con il rito abbreviato, dal Tribunale di Vicenza, sulla base di riconoscimenti fotografici effettuati, per differenti episodi da C.C., L.L., CA. E., F.A. e D.E.Z.L., nonchè a seguito di indagini di polizia giudiziaria che nel corso di perquisizioni nelle abitazioni degli imputati, rinveniva (a casa del M.S.) un portafoglio contente al suo interno una placca con stemma metallico recante la incisione "Security Service Polizia Privata" su un logo metallico a forma di scudo, con un aquila posta sul lato superiore e presso la abitazione del M.A. i veicoli Peugeot e una autovettura Fiat Croma SW di colore amaranto.

Il M.S. rilasciava altresì dichiarazioni ammissive in ordine ai fatti contestati. Gli imputati proponevano appello avverso la sentenza del Tribunale e la Corte di Venezia, respingendo i gravami, con sentenza del 8.10.2010 confermava la decisione di condanna pronunciata dal Tribunale, riducendo le pene.

Con separati atti i difensori di M.S. e M.A. propongono ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello Veneziana, per le seguenti ragioni:

M.S.:

1.) ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) denuncia il vizio di carenza di motivazione in ordine alla entità della pena irrogata, perchè la Corte d’Appello non avrebbe preso in considerazioni le argomentazioni difensive contenute nell’atto di appello ed incentrate sulla situazione familiare dell’imputato, la condotta processuale, il fatto che ciascuno dei reati addebitati non fosse connotato da pericolosità ed odiosità della condotta nelle modalità.

M.A.:

1.) ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) denuncia il vizio di mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con particolare riferimento alla credibilità della testimone C.G.. Il ricorrente lamenta che la Corte Veneziana si sarebbe limitata ad analizzare criticamente i soli motivi di appello, perdendo una valutazione di insieme della complessità degli elementi probatori offerto nel corso della istruttoria. La difesa critica la decisione perchè la Corte territoriale avrebbe tacciato di irrilevanza le deposizioni dei testimoni L. e CA., valorizzando nel contempo la deposizione di A.M., persona coinvolta in un episodio risalente a due mesi prima dei fatti oggetto di contestazione. La difesa critica la ricostruzione dei fatti fornita nella decisione impugnata, nonchè la ipovalutazione della circostanza che la C., di nazionalità straniera fosse in Italia da poco tempo e quindi non in grado di comprendere perfettamente la lingua italiana e le sue inflessioni dialettali 2.) ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) denuncia il vizio di mancanza della motivazione e/o illogicità della stessa ai fini della determinazione della pena Esaminando separatamente i motivi di impugnazione il Collegio osserva quanto segue.

Manifestamente infondata è la doglianza formulata dai M. S. in ordine alla carenza di motivazione circa i criteri adottati dalla Corte d’Appello nel determinare la sanzione ritenuta eccessivamente rigorosa.

Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente la Corte d’Appello ha preso in considerazione, da un lato la condotta di vita dell’imputato prima della commissione del reato e il suo comportamento processuale (dando atto delle parziali ammissioni rese nel corso del giudizio, a fronte della evidenza della prova);

dall’altro la gravità, la reiterazione e la intensità del dolo dei reati. La Corte veneziana è così pervenuta ad un giudizio di bilanciamento tra le attenuanti generiche, riconosciute e le circostanze aggravanti contestate. Trattasi di motivazione adeguata, non manifestamente illogica e ancorata ai parametri stabiliti dagli artt. 132 e 133 c.p.. Trattasi di giudizio verso il quale non può essere sollevata alcuna censura di merito, essendo adeguatamente motivata. Va inoltre osservato che la entità della sanzione, per il reato più grave (violenza sessuale) di cui al capo 3 dell’imputazione è stato contenuta entro i limiti minimi edittali previsti dalla legge e i successivi aumenti di pena stabiliti per effetto della continuazione appaiono contenuti entro limiti ragionevoli pur nella gravità delle imputazioni. Di qui consegue che la motivazione della sentenza in ordine alla determinazione della pena irrogata a M.S. non presenta alcun vizio riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), con la conseguenza che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

M.A.:

La difesa ripropone nella presente sede le medesime censure formulate con l’atto d’appello e sulle quali la Corte Veneziana ha dato risposta adeguata. In modo puntuale la Corte territoriale ha spiegato le ragioni della infondatezza della doglianza della difesa, per la quale il L. e il CA. (che non avrebbero riconosciuto il M.A. fra i loro aggressori) sarebbero testimoni più attendibili della C. (che invece attribuisce il fatto di cui ella è stata vittima al M.A.), rilevando come i primi due riferiscono di fatti distinti da quelli narrati dalla C..

Partendo da questo assunto la Corte territoriale formula due distinte considerazioni non manifestamente illogiche, nè contraddittorie, nè intrinsecamente, nè in riferimento ad altri atti del processo. Con la prima la Corte Veneziana rileva che non può essere sottovalutata la circostanza che le modalità di osservazione e la capacità mnemonica dei testimoni hanno caratteristiche squisitamente soggettive, potendo variare in ciascuna persona in relazione alle circostanze di fatto e allo stato d’animo del testimone; con la seconda il giudice dell’appello rileva che non necessariamente gli autori dell’illecito commesso in danno di L. e CA. fossero le stesse persone che avevano commesso il diverso reato in danno della C.. Su questo punto della motivazione la difesa non formula critiche specifiche idonee a mettere in dubbio, sul piano logico, o della coerenza della motivazione, la validità di quanto asserito dalla Corte di merito. Parimenti la Corte d’appello prendendo in considerazione la circostanza relativa alla conoscenza della lingua italiana da parte della C., rileva come il fatto che la testimone-parte offesa fosse in Italia da poco tempo (due sole settimane), di per sè non costituisce ancora prova del fatto che la stessa non conoscesse la lingua italiana e le sue inflessioni dialettali. Trattasi di considerazione non manifestamente illogica, che non si pone in contraddizione con altri punti della decisione impugnata. Neppure in questo caso la difesa muove critiche specifiche che possano far dubitare della validità dell’assunto, essendosi limitata a formulare considerazioni squisitamente soggettive in ordine alla scarsa credibilità della testimone.

La Corte veneziana (v. pag. 8 della sentenza) ha quindi preso in considerazione la deposizione della C. nel suo complesso, ritenendola attendibile sia per il contenuto intrinseco della stessa (il giudice del merito rileva che la testimone "si era espressa con certezza"), sia perchè sorretta indirettamente dal riscontro oggettivo che i tre autori degli illeciti contestati, in una occasione, erano stati controllati dalle forze dell’ordine insieme, con la conseguenza che risulta provata la frequentazione anche in orario serale degli autori del reato.

Da ultimo va notato che il giudice dell’appello ha esaminato la ulteriore doglianza relativa all’attendibilità della A. M., rilevando come la questione posta dalla difesa dell’imputato fosse del tutto indimostrata, argomentando con considerazioni di fatto non sindacabili nella presente sede.

Nella sostanza, le censure mosse dalla difesa attengono ad aspetti relativi alla valutazione del merito delle prove e alla ricostruzione del fatto, senza porre in evidenza vizi della motivazione che siano desumibili dalla lettura della sentenza o di altri atti processuali che dovevano essere specificatamente indicati, con individuazione del punto non considerato, o erroneamente percepito dal giudice dell’appello, con conseguente incidenza sulla coerenza e la struttura logica della motivazione. La doglianza è pertanto inammissibile. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato perchè censura una scelta discrezionale (non erronea sul piano giuridico e in sè non manifestamente illogica) del giudice del merito in ordine alla determinazione della sanzione, senza formulare valide critiche attinenti ai vizi di motivazione contemplati dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e). In particolare la difesa lamenta che non sarebbe stata fornita alcuna giustificazione circa le motivazioni per le quali la pena irrogata al M.A. sia stata ridotta solo nella misura della metà rispetto al reato consumato, sostenendo che la Corte territoriale non avrebbe tenuto nella dovuta considerazione il fatto che l’imputato avrebbe dato un limitato apporto nella causazione del reato commesso in danno della C. (capo 4 della rubrica della imputazione).

Il Collegio osserva che, per quanto la riguarda le censure mosse alla sentenza impugnata perchè la pena non è stata contenuta nei minimi edittali, deve essere richiamato il principio consolidato per il quale la motivazione in ordine alla determinazione della sanzione base, ed alla diminuzione o agli aumenti operati per le eventuali circostanze aggravanti o attenuanti, è necessaria solo quando la pena inflitta sia di gran lunga superiore alla misura media edittale.

Fuori di questo caso anche l’uso di espressioni come "pena congrua", "pena equa", "congrua riduzione", "congruo aumento" (od espressioni similari) o il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere dell’imputato sono sufficienti a far ritenere che il giudice abbia tenuto presente, sia pure globalmente, i criteri dettati dall’art. 133 c.p. per il corretto esercizio del potere discrezionale conferitogli dalla norma in ordine al "quantum" della pena. (v. Cass. Sez. 2, 36245/2009). Nel caso in esame la Corte territoriale, con riferimento al delitto di tentata rapina aggravata, tenendo conto della natura del fatto (simulazione della qualità di agenti di polizia, in più persone riunite, puntando una pistola alla tempia della vittima), ha irrogato una sanzione che è prossima alla media edittale, tenuto conto dei limiti minimi e massimi di riduzione di pena previsti dall’art. 56 c.p., comma 2, per i delitti tentati.

Conseguentemente nessun fondamento sostanziale ha la doglianza in esame che deve essere dichiarata inammissibile.

Per le suddette ragioni, dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende attesa la pretestuosità delle ragioni del gravame.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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