Cass. civ. Sez. III, Sent., 25-01-2012, n. 1018

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

F.M. ha convenuto il Comune di Roma davanti al GdP, chiedendone la condanna al pagamento di Euro 594,97, quale compenso per la custodia di un autoveicolo rimosso dalle strade cittadine dalla Polizia municipale e non ritirato dal proprietario, nel periodo (OMISSIS). Il Comune di Roma ha resistito alla domanda, eccependo fra l’altro la propria carenza di legittimazione passiva, avendo affidato in concessione ad enti diversi il servizio di rimozione.

Con sentenza 4 – 12 gennaio 2006 n. 1148 il GdP ha ritenuto nulla la costituzione in giudizio del Comune, che ha dichiarato contumace, ed ha rigettato la domanda attrice, sul rilievo che il Comune aveva affidato in concessione all’ATAC, alla S.T.A. – Società trasporti Automobilistici s.p.a. ed all’Automobil Club di Roma il servizio di rimozione, dai quali il F. aveva ricevuto in custodia il veicolo, con esonero del Comune stesso da qualunque onere e con l’obbligo dei concessionari di devolvergli una quota degli incassi;

che pertanto l’attore non poteva agire in giudizio, a titolo di arricchimento senza causa, potendo egli esperire apposita azione nei confronti dei depositanti (richiama Cass. civ. Sez. 1, 5 agosto 2003 n. 11835; Cass. civ. Sez. 3, 15 luglio 2003 n. 11067).

Ha altresì rilevato che non risulta dimostrata l’utilità della prestazione resa dall’attore, in quanto non è stato provato che l’ente pubblico abbia riconosciuto l’utilità dell’opera:

riconoscimento che non può essere sostituito da una valutazione dell’utilità, compiuta dal giudice ordinario (Cass. civ. Se. 3, 2 aprile 2002 n. 4633). Il F. propone ricorso per cassazione.

Resiste il Comune di Roma con controricorso.

Motivi della decisione

1.- Con l’unico motivo il ricorrente denuncia "Violazione di norma di diritto ( art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) e contraddittoria motivazione circa il giudicato formatosi con la rinuncia agli atti di appello", censurando i capi della sentenza impugnata che hanno ritenuto insussistente l’elemento della sussidiarietà di cui all’art. 242 cod. civ. e non provata l’utilità dell’opera.

2.- Il motivo è inammissibile sotto più di un aspetto.

2.1.- In primo luogo il ricorrente non specifica quali siano le norme che assume violate e quali i vizi dì motivazione addebitati alla sentenza impugnata.

Vi è palese incongruenza, fra l’altro, fra la rubrica del motivo di ricorso – che menziona un giudicato formatosi con la rinuncia agli atti di appello – e le argomentazioni difensive, dalle quali non risulta di quale giudicato e di quali rinunce si tratti, e come essi abbiano a che fare con i motivi di censura.

Neppure è possibile accertare se ricorrano gli estremi per l’ammissibilità del ricorso per cassazione contro una sentenza emessa secondo equità.

Nel regime anteriore al D.Lgs. n. 40 del 2006 – qual è quello applicabile al caso di specie – la sentenza pronunciata dal giudice di pace in una controversia di valore inferiore a L. due milioni, quindi secondo equità, ai sensi dell’art. 113 c.p.c., comma 2, era bensì sottratta ad appello ed impugnabile con ricorso per cassazione. Ma il ricorso poteva essere proposto solo per violazione di norme costituzionali, comunitarie o processuali, o per violazione dei principi informatori della materia; non per vizi di motivazione, salva l’ipotesi di motivazione del tutto mancante o puramente apparente (e, quindi inesistente), ovvero fondata su argomentazioni inidonee a evidenziare la ratio decidendi, ovvero ancora perplessa o assolutamente contraddittoria per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili (Cass. civ. Sez. 3, 25 novembre 2005 n. 24903; Cass. civ. Sez. 2, 18 febbraio 2011 n. 4010; Idem, 22 febbraio 2011 n. 4282).

Nella specie il ricorrente non illustra sotto quale profilo la sentenza impugnata sarebbe incorsa in alcuna delle violazioni di legge sopra indicate, considerato che neppure indica le norme che ritiene violate, e considerato l’obiettivo tenore del ricorso, che appare centrato esclusivamente su censure attinenti al merito della vertenza.

2.2.- Si rileva, infine, che il ricorso non investe il capo della sentenza impugnata che ha escluso la legittimazione passiva del Comune e che è da solo sufficiente a giustificare il rigetto della domanda, pur se la motivazione dovesse essere annullata sotto ogni altro aspetto.

3.- Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

4.- Le spese del presente giudizio, liquidate nel dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte di cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in Euro 800,00, di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 600,00 per onorari; oltre al rimborso delle spese generali ed agli accessori previdenziali e fiscali di legge.

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