Cass. civ. Sez. III, Sent., 25-01-2012, n. 1014

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

F.M. ha convenuto davanti al GdP il Comune di Roma, chiedendone la condanna al pagamento di Euro 517,83, quale compenso a lui spettante per la custodia di un autoveicolo, rimosso dalle strade cittadine per ordine del Comune e non ritirato dal proprietario.

Ha premesso che il servizio di rimozione dei veicoli in sosta vietata od in posizione di intralcio al traffico era stato affidato dal Comune con apposite convenzioni ad enti diversi (A.C. Roma, ATAC, S.T.A.), i quali a loro volta si erano avvalsi di varie imprese, fra cui quella di esso M., per il deposito e la custodia delle vetture rimosse; che egli non ha ricevuto il pagamento relativo alle vetture non ritirate dagli interessati e che il Comune è tenuto a indennizzarlo del relativo importo, anche a titolo di ingiustificato arricchimento.

Il Comune di Roma ha resistito alla domanda, che il GdP ha respinto – con sentenza 30 gennaio – 16 febbraio 2006 n. 8468 – ritenendo insussistente il presupposto della sussidiarieta, essendo tenuto a rispondere del compenso spettante all’attore l’ente gestore del servizio di rimozione.

Il F. propone un motivo di ricorso per cassazione, illustrato da memoria.

Resiste il Comune di Roma con controricorso.

Motivi della decisione

1.- Con l’unico motivo il ricorrente lamenta violazione di norma di diritto (non meglio specificata) e contraddittoria motivazione "circa il giudicato formatosi con la rinuncia agli atti di appello", assumendo che erroneamente il GdP ha ritenuto mancante il requisito della sussidiarietà, sul rilievo che il F. avrebbe dovuto proporre la domanda nei confronti dell’ente gestore del servizio – diverso dal Comune – che gli ha affidato la vettura.

Assume il ricorrente che il Comune avrebbe dovuto indicare quale sia il soggetto responsabile e che comunque la vettura è stata a lui affidata dalla Polizia municipale.

2.- Il motivo è inammissibile sotto svariati profili.

2.1.- In primo luogo perchè il ricorrente omette di indicare le norme di legge di cui lamenta la violazione, come ogni altro presupposto per la proponibilità del ricorso per cassazione a norma dell’art. 360 cod. proc. civ., limitandosi a censurare il merito della sentenza impugnata. Ne consegue che non è neppur possibile valutare se ricorrano gli estremi per la proposizione del ricorso per cassazione contro sentenza del giudice di pace emessa secondo equità. Si ricorda che nel regime anteriore al D.Lgs. n. 40 del 2006 – applicabile al caso di specie – la sentenza pronunciata dal giudice di pace in una controversia di valore inferiore a L. due milioni, quindi secondo equità, ai sensi dell’art. 113 c.p.c., comma 2, era indubbiamente sottratta all’appello ed impugnabile per cassazione. Ma il ricorso per cassazione poteva essere proposto solo per violazione di norme costituzionali, comunitarie o processuali, o per violazione dei principi informatori della materia. Non per vizi di motivazione, salva l’ipotesi di motivazione del tutto mancante o puramente apparente (quindi inesistente), ovvero fondata su argomentazioni inidonee a evidenziare la ratio decidendi, ovvero ancora perplessa o assolutamente contraddittoria per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili (Cass. civ. Sez. 3, 25 novembre 2005 n. 24903; Cass. civ. Sez. 2, 18 febbraio 2011 n. 4010; Idem, 22 febbraio 2011 n. 4282).

Il ricorrente non specifica sotto quale profilo le violazioni di legge da lui denunciate rientrerebbero nell’ambito dei principi indicati.

Lamenta poi contraddittoria motivazione con riferimento ad un peculiare aspetto (asserito giudicato, formatosi con la rinuncia all’atto di appello in relazione ad altra controversia), che non spiega quale attinenza abbia con la vertenza in esame.

2.2.- In secondo luogo il ricorso non è autosufficiente, poichè non specifica le premesse in fatto essenziali al fine di ricostruire il rapporto dedotto in giudizio. Il ricorrente assume di avere ricevuto in consegna l’autovettura dalla Polizia Municipale, ma contemporaneamente dichiara che il servizio di rimozione era esercitato in concessione da enti diversi dal Comune e che pertanto depositario – e tenuto a rispondere del compenso per la custodia (quanto meno in prima battuta) – non era il Comune.

Non si comprende, pertanto, in forza di quale rapporto egli abbia preso in consegna la vettura, se abbia proposto la sua domanda di pagamento nei confronti del depositante; se tale domanda sia stata accolta o disattesa, e per quali ragioni: presupposti di fatto che avrebbero dovuto essere specificati, per poter assoggettare a censura la sentenza impugnata, che ha escluso la proponibilità della domanda di indennizzo per ingiustificato arricchimento proprio con riferimento al fatto che il F. avrebbe potuto e dovuto indirizzarla nei confronti del soggetto che gli ha affidato in custodia la vettura.

Le censure proposte non risultano pertanto neppure congruenti con le ragioni esposte nella motivazione della sentenza impugnata.

3.- Sotto ogni aspetto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

4.- Le spese del presente giudizio, liquidate nel dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte di cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in Euro 800,00, di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 600,00 per onorari; oltre al rimborso delle spese generali ed agli accessori previdenziali e fiscali di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *