Cass. civ. Sez. III, Sent., 25-01-2012, n. 1010

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 28/5/2009 la Corte d’Appello di Napoli, in accoglimento del gravame interposto dalla società Si.Mer F.lli Gentile di S. Gentile & c. s.a.s. e in parziale riforma della sentenza Trib. Napoli n. 2223/07, respingeva la domanda di declaratoria di nullità della clausola di aumento del canone contenuta nel contratto di locazione ad uso diverso da abitazione avente ad oggetto l’immobile sito in Napoli, via S. Cosmo Fuori Porta, nei suoi confronti proposta dalla conduttrice società Leone Immacolata s.r.l..

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito quest’ultima propone ora ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi.

Resiste con controricorso la società Si.Mer F.lli Gentile di S. Gentile & c. s.a.s..

Motivi della decisione

Con il 1^ motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Con il 2^ motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 291, 415 e 421 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 3^ motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 392 del 1978, artt. 32 e 79 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè dell’art. 112 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il ricorso è inammissibile, in applicazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, art. 366-bis c.p.c. e art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5.

L’art. 366-bis c.p.c. dispone che nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4 l’illustrazione di ciascun motivo deve a pena di inammissibilità concludersi con la formulazione di un quesito di diritto (cfr. Cass., 19/12/2006, n. 27130).

Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede allora che con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed avere indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto.

Il quesito di diritto deve essere in particolare specifico e riferibile alla fattispecie (v. Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), risolutivo del punto della controversia – tale non essendo la richiesta di declaratoria di un’astratta affermazione di principio da parte del giudice di legittimità (v. Cass., 3/8/2007, n. 17108), e non può con esso invero introdursi un tema nuovo ed estraneo (v.

Cass., 17/7/2007, n. 15949).

Quanto al pure denunziato vizio di motivazione, a completamento della relativa esposizione esso deve indefettibilmente contenere la sintetica e riassuntiva indicazione: a) del fatto controverso; b) degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione; c) degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria ( art. 366-bis c.p.c.).

Al riguardo, si è precisato che l’art. 366-bis c.p.c. rispetto alla mera illustrazione del motivo impone un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile, ai fini dell’assolvimento del relativo onere essendo pertanto necessario che una parte del medesimo venga a tale indicazione "specificamente destinata" (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002).

Orbene, i quesiti recati dai motivi del ricorso con i quali si denunzia vizio di violazione di norme di diritto f risultano formulati in modo invero difforme rispetto allo schema sopra delineato, non recando la sintetica indicazione degli aspetti di fatto rilevanti, del modo in cui il giudice li ha decisi, nè l’espressione della diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso avrebbe dovuto essere viceversa risolto, appalesandosi invero altresì privi di decisività e sforniti di collegamento tale da consentire di individuare la soluzione adottata dalla sentenza impugnata e di precisare i termini della contestazione (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/5/2008, n. 12645; Cass., Sez. Un., 12/5/2008, n. 11650; Cass., Sez. Un., 28/9/2007, n. 20360), non consentendo di poter circoscrivere la pronuncia nei limiti di un relativo accoglimento o rigetto, a fortiori in presenza di motivo come nella specie altresì carente di autosufficienza (cfr. in particolare Cass., 23/6/2008, n. 17064).

E’ d’altro canto da escludersi la configurabilità di una formulazione del quesito di diritto implicita nella formulazione dei motivi di ricorso, avendo Cass., Sez. Un., 26/3/2007, n. 7258 precisato che una siffatta interpretazione si risolverebbe invero nell’abrogazione tacita della norma.

Senza sottacersi, da un canto, che come questa Corte ha già avuto modo di porre in rilievo il mancato esame da parte del giudice, sollecitato dalla parte, di una questione puramente processuale (come, nella specie, della nullità della sentenza per omessa pronunzia in ordine all’eccezione di mancata notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza) non può dar luogo a vizio di omessa pronunzia, il quale attiene al mancato esame delle sole domande di merito, e non può assurgere quindi a causa autonoma di nullità della sentenza, potendo profilarsi al riguardo una nullità (propria o derivata) della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c., in quanto sia errata la soluzione implicitamente data dal giudice alla questione sollevata dalla parte (v. Cass., Cass., 19/6/1997, n. 5482, e, conformemente, Cass., 23/1/2009, n. 1701).

Per altro verso, che in base a principio consolidato in giurisprudenza di legittimità l’omesso esame di una domanda e la pronunzia su domanda non proposta, nel tradursi nella violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, sono deducibili con ricorso per cassazione esclusivamente quale error in procedendo ex art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (cfr. Cass., 29/9/2006, n. 21244; Cass., 5/12/2002, n. 17307;

Cass., 23/5/2001, n. 7049) (nullità della sentenza e del procedimento) (v. Cass., Sez. un., 14/1/1992, n. 369; Cass., 25/9/1996, n. 8468), e non anche sotto il profilo della violazione o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e a fortiori, del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come invero prospettato dall’odierna ricorrente (v. in particolare Cass., 4/6/2007, n. 12952; Cass., 22/11/2006, n. 24856; Cass., 26/1/2006, n. 1701).

Quanto al pure denunziato vizio di motivazione, a i completamento della relativa esposizione esso deve indefettibilmente contenere la sintetica e riassuntiva indicazione: a) del fatto controverso; b) degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione; c) degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria ( art. 366-bis c.p.c.). Al riguardo, si è precisato che l’art. 366-bis c.p.c. rispetto alla mera illustrazione del motivo impone un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile, ai fini dell’assolvimento del relativo onere essendo pertanto necessario che una parte del medesimo venga a tale indicazione "specificamente destinata" (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002).

Orbene, nel caso i motivi con i quali si denunzia vizio di motivazione non recano la "chiara indicazione" – secondo lo schema e nei termini più sopra indicati- delle relative "ragioni", inammissibilmente rimettendosene l’individuazione all’attività esegetica di questa Corte, con interpretazione che si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (cfr. Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258), a fortiori non consentita in presenza di formulazione come detto nella specie altresì carente di autosufficienza.

I motivi si palesano pertanto privi dei requisiti a pena di inammissibilità richiesti dai sopra richiamati articoli, nella specie applicantisi nel testo modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, essendo stata l’impugnata sentenza pubblicata successivamente alla data (2 marzo 2006) di entrata in vigore del medesimo.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.500,00, di cui Euro 1.300,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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