Cons. Stato Sez. IV, Sent., 07-10-2011, n. 5493 Ordinamento giudiziario

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso iscritto al n. 2462 del 2011, il Ministero della giustizia ed il Consiglio superiore della Magistratura propongono appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione prima, n. 440 del 18 gennaio 2011 con la quale è stato accolto il ricorso proposto da G. T. per l’annullamento del provvedimento (implicito), con il quale il dott. G. T. è stato escluso, perché ritenuto non legittimato, dalla procedura per il conferimento dell’incarico direttivo di Procuratore della Repubblica di Latina, posto vacante dall’1 aprile 2008; ed ove occorra, della graduatoria per il conferimento dell’incarico di Procuratore della Repubblica di Latina, posto vacante dall’1 aprile 2008, pubblicata sulla intranet del Consiglio superiore della Magistratura, dalla quale risulta che il ricorrente non è legittimato a partecipare alla predetta procedura; nonché delle proposte di nomina già formulate dalla quinta commissione del Consiglio superiore della Magistratura in data 13 aprile 2010, a favore del dott.. A. D. G. (sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma) e del dott.. Alfredo Rossini (Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di L’Aquila), relative al posto di Procuratore della Repubblica di Latina; e dell’eventuale deliberazione di nomina del plenum del Consiglio superiore della Magistratura, del Procuratore della Repubblica di Latina, con riserva, di relativa impugnazione non appena legalmente conosciuta nel suo contenuto; di ogni atto presupposto, connesso e conseguente.

A sostegno delle doglianze proposte dinanzi al giudice di prime cure, la parte ricorrente, effettuata una ricostruzione degli incarichi nel tempo ricoperti, rappresentando in proposito di aver inizialmente svolto l’incarico di Procuratore della Repubblica presso la Pretura circondariale di Ragusa e, a seguito della soppressione delle Procure circondariali, di avere successivamente chiesto e ottenuto l’incarico di Procuratore aggiunto della Repubblica di Siracusa, evidenziava come lo stesso gli fosse stato conferito nel prevalente interesse dell’Amministrazione al fine di evitare lo svilimento di funzioni e, quindi, come esso fosse qualificabile quale trasferimento d’ufficio come riconosciuto dal Consiglio di Stato con sentenza n. 9224 del 2003. Da detto incarico egli è poi decaduto per effetto dell’entrata in vigore della legge n. 111 del 2007, restando assegnato presso il medesimo ufficio con funzioni di sostituto Procuratore della Repubblica. Successivamente assumeva, dal 7 maggio 2009, a domanda, l’incarico semidirettivo di Procuratore aggiunto della Repubblica di Catania.

Dovendo l’assunzione di tale incarico considerarsi, secondo parte ricorrente, come trasferimento d’ufficio in quanto avente causa immediata e diretta nel processo di riorganizzazione dell’apparato giudiziario e, dunque, avvenuto nel prevalente interesse dell’Amministrazione, lo stesso non sarebbe soggetto ad alcun termine di permanenza con conseguente possibilità per il ricorrente di partecipare a procedure per l’assegnazione ad altre funzioni.

Il ricorrente ha pertanto presentato domanda per il conferimento dell’incarico di Procuratore della Repubblica di Latina, ma è stato considerato non legittimato per mancato decorso dei tre anni di cui all’art. 194 del R.D. n. 12 del 1941 e dunque escluso dalla procedura, come risultante dalla pubblicazione della graduatoria sulla intranet del C.S.M..

Avverso tale esclusione, parte ricorrente deduceva i seguenti motivi di censura:

– Violazione e falsa applicazione dell’art. 194, comma 1, del R.D. n. 12 del 1941. Sosteneva il ricorrente come l’epigrafata norma si riferisca unicamente ai trasferimenti a domanda, laddove l’incarico dallo stesso svolto dovesse essere qualificato quale trasferimento d’ufficio, invocando, a sostegno di tale tesi, la sentenza del Consiglio di Stato n. 9224 del 2003 che ha considerato il trasferimento del ricorrente da Ragusa a Siracusa nelle funzioni di Procuratore Aggiunto della Repubblica quale trasferimento che, avendo causa diretta ed immediata nel processo di riorganizzazione degli uffici giudiziari, risponde in via prioritaria a preminenti esigenze dell’Amministrazione, e riconoscendo su tale base la spettanza dell’indennità di missione non ostandovi la circostanza che il movimento sia avvenuto a richiesta.

Affermava, quindi, il ricorrente che ricorrerebbero, nel caso in esame, i medesimi presupposti legittimanti la qualificazione del suo spostamento dalla sede di Siracusa a quella di Catania come trasferimento d’ufficio in quanto determinato dal processo di riorganizzazione dell’apparato giudiziario discendente dalla legge n. 111 del 2007 ed avvenuto nel prevalente interesse dell’Amministrazione, significando in proposito che il mantenimento della sede di servizio di Siracusa dopo la decadenza dall’incarico di Procuratore Aggiunto della Repubblica avrebbe comportato lo svolgimento di funzioni inferiori rispetto a quelle precedentemente svolte, laddove l’assunzione dell’incarico di Procuratore Aggiunto della Repubblica di Catania ha consentito lo svolgimento di funzioni superiori rispetto a quelle precedentemente svolte, senza che alla indicata qualificazione del movimento come trasferimento d’ufficio possa ostare il fatto che lo stesso sia avvenuto a domanda.

– Violazione e falsa applicazione dell’art. 37, commi 1 e 6, del D.Lgs. n. 51 del 1998. Affermava parte ricorrente che, in quanto già Procuratore della Repubblica presso la Pretura circondariale di Ragusa, rientrerebbe nel campo di applicazione dell’art. 37, comma 6, del D.Lgs. n. 51 del 1998, ai sensi del quale non sono soggetti all’osservanza di alcun termine di permanenza, tra gli altri, i Procuratori della Repubblica presso le preture circondariali, con conseguente diritto al trasferimento ad altre sedi od incarichi in deroga all’art. 194 del R.D. n. 12 del 1941.

Sosteneva inoltre come la citata norma non prevederebbe alcun limite alla sua applicazione, dovendo conseguentemente la consentita deroga essere riconosciuta per tutta la durata della carriera dei soggetti cui è riconosciuta.

Con ricorso per motivi aggiunti, depositato in data 23 luglio 2010, parte ricorrente deduceva i seguenti ulteriori motivi di censura:

– Violazione e falsa applicazione dell’art. 194, comma 1, del R.D. n. 12 del 1941 sotto diverso profilo. Nel precisare come la domanda per l’incarico di Procuratore della Repubblica di Latina sia volta all’assegnazione di funzioni direttive, superiori rispetto a quelle semidirettive esercitate, sosteneva il ricorrente come non potesse applicarsi il limite triennale di permanenza minima nell’ufficio giudiziario, previsto dall’art. 194 del R.D. n. 12 del 1941, riportandosi in proposito a quanto affermato nella sentenza del TAR Lazio n. 1333 del 2009, confermata dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 5661 del 2009.

Costituitisi il Ministero della giustizia ed il Consiglio superiore della Magistratura, il ricorso veniva deciso con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R. riteneva fondate le doglianze, censurando l’interpretazione fornita dall’amministrazione sulla normativa dei trasferimenti dei magistrati.

Contestando le statuizioni del primo giudice, le parti pubbliche appellanti evidenziano la correttezza del loro comportamento, ricostruendo in dettaglio le ragioni della nuova disciplina in tema di tramutamento dei magistrati con funzioni direttive e semidirettive.

Nel giudizio di appello, si è costituito G. T., chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso. Hanno altresì dispiegato intervento ad opponendum i magistrati P. L., G. B. M., U. R. e A. M., F. P. G., evidenziando la sostanziale identità della questione in scrutinio con la loro vicenda professionale.

All’udienza del 29 aprile 2011, l’esame dell’istanza cautelare veniva rinviato al merito, previa allegazione di una rinuncia all’esecuzione della sentenza di primo grado da parte dell’appellato.

Alla pubblica udienza del 5 luglio 2011, il ricorso è stato discusso ed assunto in decisione.

Motivi della decisione

1. – L’appello non è fondato e va respinto per i motivi di seguito precisati.

2. – Con un unico articolato motivo di diritto, l’Avvocatura dello Stato censura la sentenza in esame, proponendo una diversa ricostruzione della disciplina in esame, che si lega alla ratio del nuovo modulo di attribuzione ai magistrati ordinari degli incarichi direttivi e semidirettivi, ora dato dal criterio della temporaneità, e stigmatizzando le conseguenze applicative nascenti dalla decisione del giudice di prime cure, soprattutto in termini di instabilità e non gestibilità delle procedure di tramutamento.

La difesa erariale si sofferma sulla diversità dell’attuale sistema, fondato sulle valutazioni di professionalità e sulla temporaneità degli incarichi, rispetto al previgente, collegato ai mutamenti di status giuridico del magistrato in relazione al conferimento di funzioni superiori. In particolare, facendo perno sul precedente di questo Consiglio (sez. IV, 31 maggio 1984, n. 421) richiamato nella sentenza gravata, viene rimarcato come la vicenda in esame si collochi in un contesto normativo notevolmente diverso e non assimilabile a quella sussistente al tempo del precedente evocato, proprio perché, stante la rotazione implicita nella disciplina della temporaneità degli uffici direttivi e semidirettivi, il mutamento di incarico può avvenire in assenza di una nuova valutazione di professionalità e quindi in presenza di una medesima situazione professionale.

Evidenziato quindi che nel caso in questione non si è in presenza di alcun mutamento di status, e che pure la giurisprudenza amministrativa evocata dal T.A.R. non era del tutto pacifica, la difesa erariale si sofferma sulle conseguenze organizzative e gestionali derivanti dalla sentenza gravata, sottolineando come questa determini, in contrario esito rispetto alle intenzioni del legislatore, un’eccessiva turnazione nella direzione, frustrando le aspettative ad una continuità nell’azione di governo degli uffici.

3. – Le censure non possono essere condivise.

Ritiene la Sezione che sia certamente condivisibile l’assunto da cui parte la difesa erariale, ossia quello che il nuovo assetto ordinamentale della magistratura ordinaria, introdotto con la riforma del 2006, abbia trasformato il ruolo dei dirigenti degli uffici, spostando l’attribuzione di incarichi direttivi dal conferimento di uno status permanente al mero esercizio di una particolare funzione temporanea.

Tuttavia, il venir meno del legame tra status raggiunto ed incarico direttivo conseguito non elide alcune considerazioni fondamentali che continuano ad animare il sistema e che, anche dopo il cambiamento normativo, restano elementi intrinseci anche dell’attuale modus di conferimento della direzione degli uffici giudiziari.

La riforma del 2006 ha certamente soppresso la distinzione dei magistrati in qualifiche, sostituendola con un’articolata successione di progressive valutazioni di professionalità, ed ha parimenti eliminato la progressione di carriera, costruendo una speciale procedura per il conferimento di funzioni, che si fonda su un complesso di distinte valutazioni operate sui singoli pretendenti in possesso al minimo di una base di professionalità comune, come conseguita nelle diverse fasi della carriera.

L’articolazione di dette valutazioni e, parimenti, la possibilità di accesso ai diversi uffici direttivi, sebbene slegata dal possesso di status, vicenda su cui si appuntano principalmente le osservazioni della difesa erariale, rimane in ogni modo collegata ad un ordine, se non gerarchico, quanto meno funzionale, ma disposto in senso univoco, in modo tale da attribuire maggiore rilevanza all’incarico in rapporto alla sempre maggiore ampiezza di attribuzioni, di oneri e compiti spettanti e di conseguenti responsabilità. Non vi è quindi dubbio, come è stato correttamente osservato, che pur a fronte di un sistema gestionale differenziato, non sia venuta meno una fondamentale, ma si potrebbe anche dire implicita ed ineludibile, diversificazione degli incarichi "secondo una ben precisa scala progressiva di valore".

In questo senso, il sistema introdotto non può che rispecchiare l’articolazione organizzativa della struttura giudiziaria che, in disparte la salvaguardia dell’autonomia e dell’indipendenza del singolo magistrato, è comunque costruita mediante rapporti di sovraordinazione tra uffici, al fine della salvaguardia di beni di rango costituzionale (quali l’applicazione uniforme della legge, l’uniformità della sua interpretazione, ecc.). Non è quindi tanto il riferimento all’art. 10 del d.lgs. 5 aprile 2006, n. 160, che utilizza il concetto di "gradi" differenziati per diversificare le funzioni dei magistrati, a fondare l’ordine di valore tra i diversi incarichi, ma questo è conseguenza dell’organizzazione del sistema giudiziario stesso, a sua volta espressione delle esigenze di tutela di valori pregnanti nel nostro ordinamento.

Questo rispecchiamento postula quindi una correlazione tra gli uffici giudiziari, che si articolano secondo canoni di sovraordinazione, e la direzione degli stessi. In questo ultimo ambito, dove non può avere spazio una lettura dei rapporti di tipo gerarchico stante l’ineludibile garanzia costituzionale sull’indipendenza del singolo magistrato, la differenza di valore tra i diversi incarichi si esprime sotto forma di una diversificata attribuzione di funzioni, che comporta che l’incarico del magistrato preposto all’ufficio superiore abbia ampiezza maggiore, nei sensi sopra rimarcati, rispetto all’incarico attribuito al magistrato preposto all’ufficio minore.

4. – Così inquadrato il tema, e quindi ritenuta esistente un’intrinseca differenza tra i vari incarichi, e conseguentemente anche nella direzione degli uffici che, peraltro, la stessa disciplina separa tra direttivi e semidirettivi, va ora esaminato il tema centrale della questione sottoposta, ossia l’applicabilità o meno del periodo minimo triennale di permanenza nella sede di servizio qualora venga richiesto un tramutamento che comporti anche l’attribuzione di un incarico di tipo potiore.

La norma in esame, ossia l’art. 194 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 "Ordinamento giudiziario", intitolata "Tramutamenti successivi" prevede al primo comma che "Il magistrato destinato, per trasferimento o per conferimento di funzioni, ad una sede da lui chiesta, non può essere trasferito ad altre sedi o assegnato ad altre funzioni prima di tre anni dal giorno in cui ha assunto effettivo possesso dell’ufficio, salvo che ricorrano gravi motivi di salute ovvero gravi ragioni di servizio o di famiglia".

Sull’applicabilità o meno di tale disposizione nel caso di conferimento di funzioni superiori, la giurisprudenza ha assunto nel tempo atteggiamenti contrastanti, ben individuati nell’atto di appello dell’Avvocatura dello Stato, e fondamentalmente basati sulla diversa considerazione della natura di tale tramutamento, ma soprattutto sulla sua funzione. Schematizzando gli esiti di tale dibattito (che ha riguardato anche altri profili della questione, quali il rispetto delle aspettative di carriera del magistrato, l’interesse dell’amministrazione di giovarsi di professionalità consolidate e apprezzate, ecc.), si può dire che, ove il giudice ha riscontrato la prevalenza dell’interesse pubblico, sebbene concomitante con quello del magistrato richiedente, ha considerato il tramutamento come effettuato d’ufficio, ritenendo quindi inapplicabile la norma; nel caso opposto, qualificato il movimento come effettuato a domanda, ha fatto uso della disciplina normativa, imponendo il rispetto del termine triennale (a sostegno delle diverse letture, oltre la già citata decisione del Consiglio di Stato, sez. IV, 31 maggio 1984, n. 421, si veda in senso contrario, tra le altre, Consiglio di Stato, sez. IV, 21 aprile 1997, n. 425).

La Sezione rileva come la questione della qualificazione della tipologia di tramutamento, o meglio delle ragioni che lo sostengono, sia effettivamente centrale nella disamina della questione, per un duplice ordine di ragioni.

Da un primo punto di vista, il citato art. 194 del regio decreto sull’ordinamento giudiziario non pare avere un contenuto univocamente interpretabile nel senso voluto dall’amministrazione. Si consideri che questa norma, inserita nel contesto normativo precedente, si affiancava al precedente art. 192, che si riferiva agli avanzamenti di carriera, ossia ai mutamenti di sede conseguenti alle promozioni dei magistrati, secondo il sistema allora vigente. Ed, infatti, il citato art. 194 non si applicava ai presidenti e ai procuratori generali di Corte d’appello, nonché ai magistrati ad essi equiparati, giusta il disposto dell’art. 195 dello stesso regio decreto. Pertanto, l’ambito applicativo originario della previsione della permanenza minima triennale era del tutto slegato dalla vicenda originata dall’avanzamento di carriera e quindi dell’attribuzione di incarichi di direzione superiori. Ritenere che quindi tale norma si applichi alla situazione attuale (partecipazione alla procedura di selezione per un incarico direttivo con attribuzioni superiori) mentre non era applicabile nella disciplina antecedente (avanzamento di carriera con conferimento di status) impone quindi uno sforzo interpretativo, che individui profili di discontinuità dal punto di vista organizzativo e gestionale, sforzo che non solo non è stato fatto, ma che appare di perplessa fondatezza, vista l’identica articolazione dell’amministrazione giudiziaria, giusta le ragioni sopra esposte.

Da un secondo punto di vista, occorre inoltre valutare come, nell’ambito dei tramutamenti dei magistrati, appaia difficile applicare la netta distinzione tra trasferimento a domanda e trasferimento d’ufficio, dove solo si tenga a mente che, stante la garanzia costituzionale di inamovibilità, ogni mutamento di sede di servizio deve essere preceduta quanto meno da una disponibilità del magistrato interessato.

Proprio in questo ambito, la giurisprudenza di questa Sezione ha per tali ragioni tracciato una distinzione che prescinde dalla mera valutazione formale dell’istanza di parte, soffermandosi sugli interessi sottesi. Infatti, la qualificazione non dipende dalla circostanza che nella singola fattispecie vi sia stata una manifestazione di volontà del dipendente, né può reputarsi decisiva la semplice sussistenza di un interesse pubblico all’assegnazione del dipendente ad una diversa sede di servizio. Il discrimine va, infatti, ricercato "nel diverso rapporto che intercorre nelle due ipotesi fra l’interesse pubblico e l’interesse personale del dipendente, per cui nel primo caso il trasferimento di un determinato dipendente è reputato indispensabile per la migliore realizzazione dell’interesse pubblico, mentre nel secondo caso è solo riconosciuto compatibile con le esigenze amministrative". Se quindi sono casi di trasferimento d’autorità quelli in cui è l’amministrazione ad avere la necessità di una diversa specifica dislocazione del personale, è certamente d’ufficio il trasferimento che ha luogo al fine di soddisfare propriamente l’interesse pubblico, quale è il caso di "assegnazione a funzioni superiori, o spiccatamente diverse o di maggiore responsabilità rispetto a quelle precedentemente ricoperte" (ex multis, Consiglio di Stato, sez. IV, 14 dicembre 2002, n. 6920; id., 27 novembre 2000 n. 6279; id., 12 dicembre 1997 n. 1435; id., 24 maggio 1995 n. 353, Adunanza plenaria, 13 maggio 1994 n. 5).

5. – Le predette considerazioni vengono quindi a formare un quadro unitario.

In primo luogo, vi è il riconoscimento che anche dopo la riforma del 2006, le funzioni attribuite ai magistrati sono comunque ordinate rispettando un criterio valoriale, a sua volta collegato ad un progressivo ampliamento delle attribuzioni e delle responsabilità.

In secondo luogo, la norma evocata come parametro normativo disciplinare aveva un ristretto ambito applicativo già nella situazione ordinamentale precedente e non è dato cogliere per quali ragioni possa esorbitare da tale contesto, dal momento che la disciplina sopravvenuta ha lasciato inalterato il quadro organizzativo e strutturale in relazione alla quale era stata congegnata.

In terzo luogo, i trasferimenti per assegnazione a funzioni superiori, con maggiore responsabilità rispetto a quelle precedentemente ricoperte, appartengono all’ambito degli atti organizzativi individuali disposti dall’amministrazione al fine di soddisfare propriamente l’interesse pubblico, mentre quello esclusivo del dipendente diviene recessivo e secondario.

Non possono quindi sorgere dubbi sul fatto che l’applicazione della normativa evocata, e quindi dell’obbligo di permanenza triennale nella sede prima di poter chiedere un trasferimento a nuova sede da parte di un magistrato, non sia applicabile alla fattispecie in esame, dove il tramutamento comporti l’attribuzione di funzioni direttive al posto di quelle semidirettive prima ricoperte.

Argomentando diversamente, da un lato, si frustrerebbe la necessità dell’amministrazione di giovarsi delle migliori professionalità nell’ambito degli uffici di maggior rilievo, dall’altro, verrebbe lesa, per lo spazio di tempo indicato, l’aspettativa del magistrato ad una collocazione di maggior prestigio e responsabilità.

L’appello appare quindi del tutto destituito di ogni fondamento.

6. – Ritiene infine la Sezione di svolgere alcune osservazioni sulle ragioni fattuali indicate dall’Avvocatura come elemento critico della fase applicativa della decisione. Ci si vuole riferire al venir meno di una prospettiva di stabilità degli uffici giudiziari, prospettata come conseguenza ineludibile della detta interpretazione giurisprudenziale.

Le perplessità ed i timori appaiono infondati.

Va in primo luogo evidenziato come la sentenza de qua, ed anche la presente decisione, si riferiscano ad un ambito ben determinato, ossia il passaggio da funzioni semidirettive a quelle direttive (nella specie, viene in rilievo la domanda per il conferimento dell’incarico di Procuratore della Repubblica di Latina presentata da un magistrato ricoprente l’incarico semidirettivo di Procuratore Aggiunto della Repubblica di Catania).

In secondo luogo, la turnazione negli incarichi direttivi, lungi dal rappresentare un elemento estraneo al contesto normativo, rappresenta uno dei cardini della riforma dell’ordinamento giudiziario del 2006. La lettura della norma, qui operata, non solo non si pone in contrasto con l’intento del legislatore, ma ne permette una completa applicazione, rimuovendo anche forme di residua applicazioni di sistemi di conferimento superati dall’evolversi del sistema.

Ed infine, non va sottaciuto come le problematiche individuate dall’Avvocatura siano in larga parte determinati dall’ancora non completa attuazione del sistema sopravvenuto (e si consideri come questa Sezione ha già in più occasioni rilevato come le disposizioni de qua si prestassero ad una completa applicazione unicamente pro futuro, in tal senso vedi Consiglio di Stato, sez. IV, 11 settembre 2009, n. 5479), ed emendabili dalle stesse amministrazioni, ed in primo luogo dal Consiglio superiore della Magistratura, tramite l’adozione di meccanismi di scelta e di conferimento degli incarichi più adeguati al mutato quadro normativo.

7. – L’appello va quindi respinto. Sussistono peraltro motivi per compensare integralmente tra le parti le spese processuali, determinati dalla parziale novità della questione.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:

1. Respinge l’appello n. 2462 del 2011;

2. Compensa integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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