Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 15-09-2011) 20-09-2011, n. 34355 Lettura di atti, documenti, deposizioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di appello di Cagliari, con sentenza in epigrafe, ha confermato la sentenza del Tribunale di Oristano che aveva ritenuto S.A. e Se.Gu. responsabili dei reati a ciascuno rispettivamente ascritti, condannandoli alle pene di giustizia.

In particolare, il S. era stato ritenuto responsabile di aver, in più occasioni, offerto e ceduto cocaina a numerose ragazze extracomunitarie che lavoravano nel locali (OMISSIS) (tra le quali W.F.), in cambio di prestazione sessuali, o a terzi in cambio di corrispettivo (tra i quali C. D.). Il Se. era stato ritenuto responsabile della detenzione, a fini di spaccio, di 18 grammi di cocaina.

2. Avverso la suddetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione, con atti distinti, entrambi gli imputati, denunciando: il S., – la violazione di cui all’art. 606 c.p.c., comma 1, lett. e), in relazione all’art. 512-bis cod. proc. pen., per aver i Giudici di merito illegittimamente acquisito ed utilizzato le dichiarazioni rese da F.W. alla polizia giudiziaria nel corso delle indagini preliminari, in assenza delle condizioni previste dalla suddetta norma. Non vi sarebbe invero la prova della sua residenza all’estero, in quanto la rogatoria rivolta alle autorità polacche aveva dimostrato che la F. non era residente in (OMISSIS), nè aveva rilevanza la dichiarazione resa da quelle stesse autorità che costei era dal 2006 residente all’estero "presumibilmente" in Irlanda del Nord. Inoltre, difetterebbero sia la regolare citazione della F. sia la impossibilità sopravvenuta del suo esame testimoniale (posto che, al momento della assunzione delle sue dichiarazioni, era prevedibile il suo allontanamento, visto che quest’ultima era in Italia con un permesso di soggiorno per ragioni di giustizia). Si evidenzia, infine, anche l’assenza in atti degli "altri elementi" richiesti dall’art. 512-bis cod. proc. pen..

– la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), poichè, alla dedotta mancanza di prova certa a carico dell’imputato, la Corte di appello avrebbe richiamato soltanto due intercettazioni ambientali, che nulla proverebbero in ordine alla contestata cessione di cocaina.

– la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione alla prescrizione del reato, poichè alcune delle condotte di cessione risulterebbero già prescritte alla data della sentenza di secondo grado, per decorso del termine massimo di sette anni e sei mesi.

Il Se., – la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per aver omesso di fornire risposta alle censure avanzate in sede di appello, limitandosi la sentenza impugnata a riprodurre il medesimo iter del discorso giustificativo del giudice di primo grado.

In particolare, la Corte avrebbe tratto la prova della destinazione all’uso non personale dello stupefacente detenuto dal Se. da circostanze – il quantitativo ed il possesso dell’attrezzatura necessaria per il confezionamento di dosi destinate alla cessione – prive di rilevanza probatoria. Mentre il primo non potrebbe di per sè introdurre una presunzione circa la destinazione della droga detenuta, il secondo, in realtà, risulterebbe privo di significato, posto che si trattava di una comune bilancia da cucina e di farina "00" ed altra sostanza non identificata, di cui non c’è traccia nello stupefacente sequestrato.

Motivi della decisione

1. I ricorsi sono entrambi infondati e non meritano pertanto accoglimento.

2. Quanto al ricorso di S., deve in primo luogo osservarsi che correttamente i giudici di merito hanno utilizzato le dichiarazioni predibattimentali rese dalla F..

Va ribadito che l’art. 512-bis cod. proc. pen. consente la lettura dei verbali delle dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari dal cittadino straniero, sempre che: il deponente sia effettivamente residente all’estero; sia stato ritualmente citato e non sia comparso; non sia assolutamente possibile l’esame dibattimentale;

siano presenti altri elementi di prova già assunti agli atti del processo.

Quanto al primo requisito, è infondato l’assunto del ricorrente, secondo cui la F., al momento della sua citazione, era residente o comunque domiciliata in Italia. Il Giudice di merito ha accertato infatti, disponendo apposite ricerche anche con rogatoria internazionale, che la F., cittadina (OMISSIS), era rientrata nel suo Paese di residenza, dal quale si era poi allontanata nel 2006 per trasferirsi in altro Stato, il cui recapito era risultato ignoto.

In ordine all’altro requisito della mancata comparizione del testimone residente all’estero, va osservato che esso presuppone che egli sia stato correttamente citato, nelle forme dettate dalla peculiarità del caso, ivi comprese quelle della rogatoria internazionale. Presuppone altresì che, nel caso in cui la notificazione non sia stata effettuata, perchè il teste non è stato trovato all’indirizzo indicato (come, nel caso di specie), che siano compiuti tutti quegli accertamenti necessari ed opportuni per potere individuarne l’attuale domicilio. L’art. 111 Cost., comma 5, evidenzia infatti la necessità che l’impossibilità oggettiva sia "accertata", richiedendo quindi un’attività di verifica e di controllo da parte del giudice complessa, articolata ed argomentata, il che impone di verificare tutte le possibilità di cui si dispone per assicurare la presenza della fonte di prova, con la conseguenza che non possono essere ritenuti sufficienti il difetto di notificazione o le risultanze anagrafiche, ma occorrono rigorose ed accurate ricerche, anche in campo internazionale, tali da consentire, nel caso concreto, di affermare con certezza l’irreperibilità del teste e, quindi, la "impossibilità" del suo esame in contraddittorio (Sez. 2, n. 43331 del 18/10/2007, Poltronieri, Rv. 238198).

La stessa Corte di Strasburgo ha affermato che, ai fini dell’art. 6, comma 3, lett. d), della CEDU, l’autorità giudiziaria deve porre in essere procedure ragionevoli per tentare di identificare la residenza di un testimone importante che l’accusato non ha potuto interrogare (sentt. 08/06/2006, Bonev c. Bulgaria; 09/01/2007, Gossa c. Polonia;

24/02/2009, Tarau c. Romania).

Nel caso in esame, la notifica della citazione per ascoltare la testimone su rogatoria internazionale era stata tentata, con esito negativo, dalle autorità giudiziarie polacche nei luoghi di residenza. Di seguito, erano stati disposti da quelle stesse autorità appositi accertamenti per stabilire la reale residenza della teste o la sua eventuale irreperibilità.

Pertanto, l’irreperibilità della testimone residente all’estero veniva nel caso in esame a realizzare quella situazione di impossibilità assoluta ed oggettiva di esame in contraddittorio di cui all’art. 111 Cost..

Posto che la teste era effettivamente residente all’estero già al momento in cui rese le dichiarazioni della cui lettura si tratta (risulta infatti che solo dopo l’assunzione delle informazioni, la F. ottenne un permesso di soggiorno per ragioni di giustizia), viene in applicazione la disposizione dell’art. 512-bis cod. pen., la quale detta una disciplina speciale e derogatoria rispetto a quella più generale posta dall’art. 512 cod. pen. in ordine alla lettura di atti per sopravvenuta impossibilità di ripetizione. Con la conseguenza che non è necessario il requisito della imprevedibilità della sopravvenuta impossibilità di ripetizione, requisito richiesto dall’art. 512, ma non dall’art. 512-bis cod. proc. pen., stante la finalità della norma che riguarda soggetti che possono trovarsi anche per breve tempo o di passaggio in Italia.

Quanto infine all’ultimo rilievo relativo alla mancanza di "altri elementi di prova acquisiti", va ribadito che la norma di cui all’art. 512-bis cod. proc. pen. non detta una regola concernente la valutazione delle dichiarazioni rese in sede diversa dal cittadino straniero, residente all’estero, non comparso in udienza. Ed invero, il legislatore con la dizione "tenuto conto degli altri elementi di prova acquisiti" ha voluto precisare che tal genere di dichiarazioni possono entrare a far parte del materiale probatorio sottoposto all’esame del giudice e, in tal modo, utilizzabile per la decisione, soltanto in presenza di altri elementi di prova già assunti agli atti del processo, e non imporre al giudice un procedimento metodologico, secondo cui tali dichiarazioni possono essere apprezzate per pervenire alla decisione solo dopo la valutazione degli altri elementi di prova agli atti, dal momento che, una volta autorizzatane la lettura in sede dibattimentale, dette dichiarazioni vanno valutate secondo i criteri generali di cui all’art. 192 cod. proc. pen., comma 1 che non pone alcuna gerarchia in ordine alla valutazione metodologica o temporale delle prove prese in considerazione per la decisione adottata derivante dalla loro natura o dal modo in cui sono state assunte, diretta o mediante lettura.

Pertanto, la valutazione richiesta al giudice ex art. 512-bis cod. proc. pen. non serve – come sostiene il ricorrente – per riscontrare l’attendibilità delle dichiarazioni rese nelle indagini preliminari, bensì per verificare la decisività e la necessità della lettura.

Problema diverso, che, peraltro il ricorrente non affronta correttamente, essendosi limitato a denunciare la sola violazione dell’art. 512-bis cod. proc. pen., è l’utilizzazione probatoria delle dichiarazioni legittimamente acquisite a norma di tale articolo.

Su questo punto, infatti, la giurisprudenza di questa Corte ritiene che è doveroso dare alle norme di valutazione probatoria nazionali una interpretazione adeguatrice che le renda conformi alla norma della CEDU. Si è in questo senso affermato che l’art. 526 c.p.p., comma 1-bis pone "una norma di chiusura, che impone una regola di valutazione della prova sempre applicabile anche con riferimento a dichiarazioni che risultino legittimamente acquisite alla stregua della disciplina sulle letture dibattimentali, le quali, quindi, non potrebbero, di per sè sole, fondare la dichiarazione di colpevolezza dell’imputato".

Ciò comporta che i giudici devono accertare se sussistano altri elementi probatori di riscontro alle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria.

Nel caso in esame, contrariamente all’assunto del ricorrente, la condanna del S. non si fonda sulle sole dichiarazioni rese dalla F. fuori del contraddittorio.

In particolare, a riscontro della attività di detenzione e cessione di stupefacente ad opera del S., della quale la F. aveva parlato alla polizia (costui, secondo la donna, aveva la disponibilità di cocaina che cedeva alle ragazze presenti in un night), la Corte di merito aveva richiamato il contenuto delle comunicazioni intercettate, nelle quali il S., con linguaggio molto esplicito, aveva più volte fatto riferimento sia ad acquisti che a cessioni di droga e, una volta vistosi scoperto (in relazione ad una visita di agenti della Questura), aveva deciso di disfarsi della droga detenuta in casa, ipotizzando che "qualche donna" avesse parlato.

3. Quanto alla dedotta violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per la mancanza di prova certa a carico dell’imputato, in relazione al contenuto delle intercettazioni ambientali, va ribadito che l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, è questione di fatto rimessa all’apprezzamento del giudice di merito e si sottrae al giudizio di legittimità, se la valutazione risulta logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate (Sez. 6, n. 17619 del 08/01/2008; Gionta, Rv. 239724).

Nella specie, i giudici hanno offerto una ricostruzione del significato delle conversazioni oggetto di intercettazione – tra l’altro particolarmente esplicite – del tutto coerente. Ne consegue che le critiche mosse al senso e al significato dato ai colloqui registrati devono ritenersi inammissibili.

4. Identica sorte merita anche l’ultimo motivo proposto dal S., riguardante la prescrizione del reato, posto che la fattispecie di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, (T.U. stup.) non configura un’ipotesi autonoma di reato, ma una circostanza attenuante ad effetto speciale, ragion per cui il termine di prescrizione va calcolato sulla pena edittale stabilità dal comma 1 del citato articolo.

5. Il ricorso di Se. è infondato, in quanto la Corte di merito ha motivatamente preso in considerazione le doglianze difensive, pervenendo ad un giudizio, quanto alla destinazione della cocaina ritrovata in sede di perquisizione domiciliare, che appare privo di vizi logico-giuridici.

In particolare, secondo la Corte di appello, il quantitativo complessivo di droga rinvenuto ed il numero di dosi già confezionate, l’occultamento delle stesse in luoghi diversi (tra i quali anche nel soprabito utilizzato per uscire), il possesso di attrezzatura tipicamente utilizzata per il confezionamento di dosi destinate alla cessione a terzi costituivano prova univoca della destinazione della droga alla vendita.

Orbene, il parametro della quantità, assieme alle modalità di presentazione della droga e ad altre circostanze dell’azione, sono gli indici previsti dall’art. 73, cit. T.U. stup. da cui desumere la destinazione ad un uso non esclusivamente personale, ed il relativo giudizio, se congruamente motivato, si sottrae al sindacato del giudice di legittimità.

Invero, le critiche mosse alle considerazioni della Corte di merito sull’attrezzatura rinvenuta nell’abitazione del Se. sono infondate. La Corte – contrariamente all’assunto del ricorrente – non ha valorizzato la presenza del bilancino in senso indiziante, sottolineando, bensì, che tale elemento poteva essere compatibile ad una assunzione personale di droga. Quanto poi alla sostanza da taglio rinvenuta, la conclusione cui perviene la Corte di merito non è illogica, posto che, tra le sostanze utilizzate usualmente per il "taglio" dello stupefacente, vi sono anche le polveri inerti (cd.

"tagli inerti") che hanno la funzione di aumentarne il volume ed il peso, e le modalità di rinvenimento dello sfarinato (non conservato nella busta tipica per alimenti, ma in una busta del tutto identica a quella contenente la cocaina) consentivano ragionevolmente di ritenere che questo fosse stato utilizzato per tale finalità. 6. Conclusivamente, per le ragioni esposte i ricorsi devono essere rigettati con la condanna dei proponenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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