Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 26-01-2012, n. 1101 Indennità di ferie non godute

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza depositata in data 30.3.2007 la Corte d’appello di Bologna, riformando la sentenza impugnata, ha rigettato l’opposizione proposta dalla Metro Italia Cash and Carry spa avverso la cartella esattoriale con cui era stato intimato alla società il pagamento della somma di Euro 40.739,58 a titolo di contributi e somme aggiuntive in relazione a somme corrisposte ai propri dipendenti a titolo di indennità sostitutiva di ferie non godute per il periodo dicembre 1991-gennaio 1997. A tale conclusione la Corte territoriale è pervenuta ritenendo che la corresponsione della indennità sostitutiva delle ferie ha natura retributiva allorchè la mancata fruizione non sia imputabile al datore di lavoro, ipotesi che si verificava nella fattispecie in esame, poichè le somme erogate ai lavoratori andavano a retribuire un periodo di ferie non goduto a causa della cessazione del rapporto di lavoro per dimissioni dei lavoratori.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione la Metro Italia Cash and Carry spa affidandosi a tre motivi di ricorso cui resiste con controricorso l’Inps.

La società ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione della L. n. 153 del 1969, art. 12, (nella formulazione precedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 314 del 1997), chiedendo a questa Corte di stabilire che "l’indennità sostitutiva di ferie non godute ha natura risarcitoria e non retributiva e, quindi, non è ricompresa nella definizione di retribuzione imponibile ai sensi della L. n. 153 del 1969, art. 12". 2.- Con il secondo motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 10, chiedendo a questa Corte di affermare il principio secondo cui "il D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 10, esclude il diritto alla indennità sostitutiva per le ferie non godute per il periodo minimo di quattro settimane, anche per quelle maturate prima della sua entrata in vigore". 3.- Con il terzo motivo si lamenta il vizio di omessa motivazione in ordine alle argomentazioni svolte dalla società in merito ai criteri di determinazione delle somme aggiuntive, indicando quale fatto controverso, in ordine al quale la motivazione risulta omessa, le modalità di determinazione della sanzioni in caso di omissioni contributive derivanti da oggettive incertezze connesse ai contrastanti orientamenti giurisprudenziali della Corte di cassazione in ordine all’obbligo contributivo sugli importi corrisposti ai dipendenti a titolo di indennità sostitutiva delle ferie non godute.

4.- I primi due motivi, che possono essere trattati congiuntamente in quanto connessi, sono infondati. La giurisprudenza di questa Corte ha già precisato che l’indennità di ferie non godute è assoggettabile a contribuzione previdenziale a norma della L. n. 153 del 1969, art. 12, sia perchè, essendo in rapporto di corrispettività con le prestazioni lavorative effettuate nel periodo di tempo che avrebbe dovuto essere dedicato al riposo, ha un carattere retributivo e gode della garanzia prestata dall’art. 2126 c.c., a favore delle prestazioni effettuate con violazione di norme poste a tutela del lavoratore, sia perchè un eventuale suo concorrente profilo risarcitorio non ne escluderebbe la riconducibilità all’ampia nozione di retribuzione imponibile delineata nella L. n. 153 del 1969, art. 12, costituendo essa comunque un’attribuzione patrimoniale riconosciuta a favore del lavoratore in dipendenza del rapporto di lavoro e non essendo ricompresa nell’elencazione tassativa delle erogazioni escluse dalla retribuzione (cfr. ex plurimis Cass. n. 11262/2010, Cass. n. 17761/2005, Cass. n. 6607/2004, Cass. n. 4839/98). Nè a diverse conclusioni è possibile pervenire sulla scorta del disposto del D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 10, come modificato dal D.Lgs. n. 213 del 2004, che, dando attuazione alla direttiva CE n. 93/104, ha disposto che il trattamento per ferie non godute non può essere più sostituito da una indennità, o sul rilievo della natura retroattiva della norma, affermata dalla Corte di Giustizia CE con decisione C-124/05 del 6 aprile 2006, posto che, come questa Corte ha già avuto modo di precisare, il carattere risarcitorio dell’erogazione corrisposta per compensare le ferie non godute dal dipendente non è di ostacolo all’assoggettamento a contribuzione della predetta erogazione, trattandosi in ogni caso di compenso corrisposto in dipendenza del rapporto di lavoro ed in relazione a una prestazione lavorativa, non dovuta, ma comunque effettuata dal lavoratore, sicchè essa è comunque riconducibile nell’ambito di applicazione della L. n. 153 del 1969, art. 12, (in questo senso, specificamente, Cass. n. 11262/2010 cit., cui adde Cass. n. 19023/2006).

5.- Alla luce delle suesposte considerazioni, deve ritenersi ormai superato il contrasto interpretativo segnalato dalla ricorrente in relazione all’orientamento giurisprudenziale che riconosce all’indennità sostitutiva delle ferie non godute natura risarcitoria, escludendone l’assoggettabilità a contribuzione (cfr.

Cass. n. 12580/2003, Cass. n. 10173/2000; a tale orientamento non sono ascrivibili Cass. n. 9999/2009 e n. 10341/2011, che pure hanno affermato la natura risarcitoria dell’indennità in questione, ma ciò ai soli fini della individuazione del termine di prescrizione applicabile, e non, dunque, per escludere che la stessa sia assoggettabile a contribuzione), dovendo qui ribadirsi quanto già espresso da questa Corte (in particolare, con la sentenza n. 6607/2004) circa la compatibilità dell’affermazione di un profilo risarcitorio dell’indennità sostitutiva di ferie non godute con la sua assoggettabilità a contribuzione, considerando anche che l’orientamento opposto "tralascia di considerare l’autonomia (rispetto alla retribuzione che rappresenta il corrispettivo della prestazione sul piano del rapporto sinallagmatico di lavoro) della definizione di retribuzione imponibile ai fini contributivi recata dalla L. n. 153 del 1969, art. 12, nel testo applicabile ai fatti controversi, definizione che non può non rendere dipendenti dal rapporto di lavoro le somme erogate a titolo di risarcimento del danno da inadempimento delle obbligazioni derivanti dallo stesso rapporto. Nel senso, infatti, di ritenere assoggettate a contribuzione le somme pagate al dipendente a titolo di risarcimento per inadempimento (obbligazione succedanea) da parte del datore di lavoro delle obbligazioni derivanti dal contratto di lavoro (obbligazioni primarie), la giurisprudenza della Corte è assolutamente pacifica, interpretando in senso restrittivo anche il disposto del D.Lgs. n. 314 del 1997, art. 6, siccome non sarebbe ragionevole ritenere imponìbile l’obbligazione primaria, ma non quella secondaria che la sostituisce in caso di inadempimento (cfr.

Cass. 15621/2001; 11148/1999)".

I primi due motivi devono essere pertanto respinti.

6.- Il terzo motivo deve ritenersi inammissibile nella parte in cui denuncia come vizio di motivazione un vizio di omessa pronuncia, che doveva essere fatto valere esclusivamente a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 4 (oltre che per violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, in quanto non specifica se le argomentazioni svolte davanti al primo giudice in ordine alla determinazione delle sanzioni civili sono state riproposte anche in appello), ed è comunque infondato alla stregua dei principi già espressi da questa Corte (cfr. da ultimo Cass. n. 11262/2010 cit.) secondo cui "il disposto della L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 18, non ha efficacia retroattiva e il riferimento ai crediti in essere e accertati al 30 settembre 2000 esclude che vi sia stata deroga al principio di irretroattività quanto all’obbligo di immediato pagamento delle sanzioni, che restano dovute nella misura e secondo le modalità fissate dalle disposizioni di legge che in precedenza regolavano la materia, limitandosi la norma a prevedere per i suddetti crediti un meccanismo in base al quale la differenza tra quanto dovuto (secondo le leggi previgenti) e quanto calcolato ai sensi dei precedenti commi dell’art. 116 cit. costituisce un credito contributivo da porre a conguaglio successivamentè". 7.- In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

Sussistono giusti motivi, desumibili anche dalla complessità delle questioni trattate, per compensare integralmente tra le parti le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; spese compensate.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 15 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2012

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