Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 14-07-2011) 20-09-2011, n. 34384

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

H.E., H.T., A.D., e A.A. ricorrono avverso la sentenza di cui in epigrafe che, confermando quella di primo grado, resa in esito a giudizio abbreviato, quanto all’affermazione di responsabilità solo riducendo la pena nei confronti di tutti, li ha riconosciuti colpevoli degli episodi di furto a ciascuno ascritti.

Con i ricorsi si articolano le seguenti doglianze.

Per H.E. si lamenta la mancata concessione delle attenuanti generiche, che il giudice di appello, pur riducendo la pena, gli aveva negato apprezzando negativamente sia la gravità dei fatti, sia il comportamento processuale, sia la personalità del prevenuto recidiva specifica, reiterata, infraquinquennale.

Per H.T. si contesta il giudizio di responsabilità per l’unico episodio che lo riguardava, sostenendosi l’illogicità e la carenza degli elementi valorizzati dal giudice di merito, basati essenzialmente sul contenuto di conversazioni intercettate realizzate nel contesto temporale di commissione del fatto, ove si poteva anzi apprezzare proprio tale fatto nel suo svolgimento.

Si contesta altresì il diniego delle attenuanti generiche, che il giudice di appello, pur riducendogli la pena, e apprezzando il coinvolgimento in un solo episodio, gli aveva negato considerando negativamente la gravità oggettiva dell’episodio contestatogli e i precedenti penali che, se pur risalenti, integravano la recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale. Anzi, proprio tale recidiva avrebbe dovuto importare ad un diverso aumento della pena, rispetto a quello praticato dal primo giudice, che non poteva essere corretto in difetto di impugnazione della pubblica accusa.

Per A.D. si censura la determinazione della pena, cui il giudice era pervenuto, pur concedendogli le attenuanti generiche per l’intervenuta confessione, valorizzando negativamente l’oggettiva gravità del fatto. Si sostiene che la giovane età e le condizioni di vita, familiari e personali avrebbero dovuto portare a un miglior trattamento sanzionatorio.

A.A. censura il giudizio di responsabilità, sostenendo, per i diversi episodi interessati dalla doglianza, che il tenore di alcune intercettazioni avrebbero dovuto portare a soluzione liberatoria.

Con motivi aggiunti H.T. chiede che questa Corte revochi la misura coercitiva dell’obbligo di dimora.

Motivi della decisione

I ricorsi sono manifestamente infondati.

Quanto alle doglianze sul merito della responsabilità articolate da H.T. e da A.A. queste ultime per vero anche generiche, nella loro sinteticità assertiva è già sufficiente ricordare che, in tema di ricorso per cassazione, allorquando si prospetti il difetto di motivazione, l’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) non consente alla Corte di legittimità una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perchè è estraneo al giudizio di cassazione il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati probatori.

Sotto questo profilo non è certo possibile rivalutare il compendio probatorio utilizzato in sede di merito qui le doglianze si incentrano principalmente sul contenuto e la significanza probatoria dell’attività intercettiva per fornirne una diversa lettura interpretativa e pretendere che la Corte di legittimità si trasformi, da giudice della motivazione, in un ennesimo giudice del fatto.

A ciò dovendosi aggiungere che la diversa, opinabile lettura fornita nei ricorsi in contrasto con la doppia lettura conforme dei giudici di merito non è analiticamente corredata neppure dalla spiegazione in forza della quale l’opzione interpretativa adottata sia autonomamente dotata di una forza esplicativa o dimostrativa tale da disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante.

E dovendosi ancora aggiungere che, secondo principio pacifico, in tema di intercettazioni su cui è basata in termini rilevanti la condanna, il significato da attribuire alle conversazioni costituisce valutazione di merito insindacabile in cassazione; mentre la censura di diritto può riguardare soltanto la logica della chiave interpretativa, nel senso che le valutazioni effettuate dal giudice di merito sul contenuto delle comunicazioni intercettate sono censurabili in sede di legittimità se ed in quanto si fondino su criteri interpretativi inaccettabili ovvero quando applichino scorrettamente tali criteri (cfr. Sezione 4, 11 marzo 2009, Bilardi, non massimata). Situazione qui non ricorrente, a fronte di un’analisi pertinentemente sviluppata in sede di merito, soprattutto con riguardo alla posizione ed all’identificazione dell’ H..

Inaccoglibili anche le doglianze articolate sul trattamento sanzionatorio.

Va ricordato che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all’art. 133 c.p., sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (Sezione 6, 8 luglio 2009, Abruzzese ed altri, non massimata). Ciò che qui deve escludersi, per tutti i ricorrenti che hanno sollevato la questione, avendo il giudice di appello valorizzato gli elementi a tal fine significativi, nei termini suindicati.

Analogo rilievo vale per la determinazione della pena, oggetto di contestazione del solo A.D..

In tema di determinazione della misura della pena, come noto, il giudice deve attenersi al disposto dell’art. 133 cod. pen., che impone di tenere conto della gravità del reato e della capacità a delinquere del colpevole: a tale riguardo, correttamente e incensurabilmente, il giudice, non trascurando di considerare l’intervenuta confessione, ha ritenuto di non poter trascurare l’oggettiva gravità dei fatti e, a ben vedere, anche la condizione di recidivo del prevenuto.

Non è poi questa Corte a dover provvedere sulla misura cautelare relativa ad H.T..

Sul punto, basta richiamare la recente decisione delle Sezioni unite, 31 marzo 2011, conf., comp. in proc. Maida, secondo cui la cessazione, al momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna, della misura coercitiva non custodiale in atto, opera di diritto, e non è necessario alcun provvedimento che la dichiari.

Mentre, ove insorgano possibili questioni in ordine alla misura coercitiva non custodiale nel periodo intercorrente fra il passaggio in giudicato della sentenza e il concreto avvio della fase di esecuzione della pena, la competenza a deciderle spetta al giudice dell’esecuzione.

Segue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di Euro 1000,00 (mille) a titolo di sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero.

P.Q.M.

dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di Euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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