Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 14-07-2011) 20-09-2011, n. 34382 Responsabilità penale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

D.B.E. ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, riformando in melius quella di primo grado solo sul punto del trattamento sanzionatorio riduzione della pena, lo ha ritenuto colpevole, quale datore di lavoro, di un infortunio occorso al lavoratore P.M.A..

Questi, secondo quanto ricostruito in sede di merito, mentre era intento a montare una gru, aveva erroneamente tolto uno dei perni che sorreggevano la struttura, determinando la caduta della gabbia, che lo aveva travolto, determinandone la morte.

Così ricostruito in fatto l’infortunio, l’addebito colposo veniva principalmente basato sulle carenze formative del lavoratore, che avevano determinato l’improvvida manovra posta in essere dallo stesso infortunato: si trattava di un operaio assunto da poco a tempo indeterminato, che mai in precedenza aveva montato la gru interessato dall’incidente; aveva partecipato qualche mese prima ad un corso organizzato dalla società costruttrice della gru, ma in tale occasione non era stato trattato il montaggio di quel tipo specifico di gru; in ogni caso, la formazione veniva svolta di norma "per affiancamento" con lavoratori esperti, anche se pure questi non seguivano specifici corsi di formazione.

Altro profilo di colpa, rilevante ai fini della verificazione dell’occorso, era individuato nell’inidoneità del POS, dove non era stata rinvenuta alcuna specifica indicazione dei rischi nel montaggio della gru di interesse.

Il giudicante escludeva, in ogni caso, così corrispondendo a specifica doglianza difensiva, l’abnormità del comportamento del lavoratore, che pure aveva commesso l’errore rilevante per la caduta della gabbia.

Quanto alla pena, pur riducendola, la corte di merito riteneva di non poter concedere le generiche in ragione di due precedenti specifici e, per le stesse ragioni, di dovere confermare il giudizio di sola equivalenza della già concessa attenuante ex art. 62 c.p., n. 6.

Con il ricorso si articolano due motivi.

Con il primo si censura il giudizio di responsabilità sotto diversi profili.

Si sostiene in primo luogo che le emergenze probatorie si citano le risultanze dell’attività dello SPRESAL non avrebbero consentito di ricostruire con certezza la dinamica dell’accaduto.

Si censura il mancato rilievo alla colpa del lavoratore, che doveva essere qualificato come comportamento abnorme, tale da escludere la responsabilità del datore di lavoro.

Con l’altro motivo ci si duole del diniego delle generiche, che avrebbero dovuto essere concesse, nonostante i precedenti specifici, per il buon comportamento processuale. Per le stesse ragioni si lamenta il giudizio di sola equivalenza formulato rispetto alla già concessa attenuante del risarcimento del danno.

Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.

In realtà, la doglianza incentrata sul tema della responsabilità, evoca una diversa ricostruzione del fatto sulla base della ravvisata inattendibilità dell’apprezzamento probatorio sviluppato dal giudice di merito qui, a quanto consta, basato non solo sulle dichiarazioni testimoniali dei dipendenti della società, tra cui quelle del collega del deceduto impegnato con lui nel montaggio del gru, ma anche sugli esiti degli accertamenti dello SPRESAL, in particolare sulla eziologia dell’accaduto, sulla formazione del lavoratore e sul contenuto del POS. Vale il principio secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, allorquando si prospetti il difetto di motivazione, l’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) non consente alla Corte di legittimità una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perchè è estraneo al giudizio di cassazione il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati probatori (Sezione 6, 6 maggio 2009, Esposito ed altro, non massimata).

Ciò che impedisce qui di dare ingresso alla diversa lettura interpretativa fornita dalla difesa, che, leggendo singoli passaggi motivazionali della sentenza, vorrebbe farne discendere un giudizio di incertezza sulle modalità di verificazione dell’accaduto.

Al contrario, il giudice di merito fornisce una spiegazione logica e solida circa le modalità di verificazione dell’accaduto e, rispetto a questo, in ordine ai profili di colpa formazione dei lavoratori e POS del datore di lavoro, spiegando come questi profili di colpa abbiano avuto rilievo ai fini della verificazione dell’incidente, anche se dovuto ad una manovra improvvida della vittima manovra, per vero, spiegata proprio con la carente attività formativa.

Il giudicante, quindi, con motivazione satisfattiva circa la ricostruzione fattuale della vicenda, ha fatto corretta applicazione del principio in forza del quale in tema di reato colposo, l’applicazione del principio di colpevolezza esclude qualsivoglia automatico addebito di responsabilità, a carico di chi pure ricopre la posizione di garanzia, imponendo la verifica in concreto della violazione da parte di tale soggetto della regola cautelare (generica o specifica e della prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso che la regola cautelare mirava a prevenire (la cd.

"concretizzazione" del rischio). Infatti, l’individualizzazione della responsabilità penale impone di verificare non soltanto se la condotta abbia concorso a determinare l’evento (ciò che si risolve nell’accertamento della sussistenza del "nesso causale") e se la condotta sia stata caratterizzata dalla violazione di una regola cautelare (generica o specifica) (ciò che si risolve nell’accertamento dell’elemento soggettivo della "colpa"), ma anche se l’autore della stessa nella specie, il titolare della posizione di garanzia in ordine al rispetto della normativa precauzionale che si ipotizzava produttiva di evento lesivo mortale potesse "prevedere" ex ante quello "specifico" sviluppo causale ed attivarsi per evitarlo.

In quest’ottica ricostruttiva, occorre poi ancora chiedersi se una condotta appropriata (il cosiddetto comportamento alternativo lecito) avrebbe o no "evitato" l’evento: ciò in quanto si può formalizzare l’addebito solo quando il comportamento diligente avrebbe certamente evitato l’esito antigiuridico o anche solo avrebbe determinato apprezzabili, significative probabilità di scongiurare il danno (Sezione 4, 6 novembre 2009, Morello, non massimata).

Sotto questo profilo, infatti, il giudicante, dopo avere ricostruito l’accaduto, ha esaminato i profili di colpa specifica addebitati al titolare della posizione di garanzia formazione dei lavoratori e POS, facendone discendere un convincente giudizio sulla relativa rilevanza nella verificazione dell’accaduto.

E’ proprio questa attenta disamina della colpa del datore di lavoro che impedisce di poter apprezzare i pur corretti principi evocati dalla difesa in punto di abnormità della condotta del lavoratore.

E’ esatto, infatti, che, in tema di infortuni sul lavoro, il principio in forza del quale l’addebito di responsabilità formulabile a carico del datore di lavoro non è escluso dai comportamenti negligenti, trascurati, imperiti del lavoratore, salvo che ci si trovi in presenza di comportamenti abnormi, come tali eccezionali ed imprevedibili (cfr. art. 41 c.p., comma 2), deve comunque tenere conto dell’altro principio secondo cui, per poter formalizzare il giudizio di responsabilità, occorre in ogni caso accertare la "colpa" del datore di lavoro, la quale è pur sempre il presupposto dell’addebito (Sezione 4, 21 ottobre 2008, Petrillo, non massimata).

Ma è altrettanto esatto che, nella specie, senza alcun automatismo, il giudicante si è soffermato proprio sui profili di "colpa" del datore di lavoro, tali, per quanto interessa, non solo da elidere la rilevanza della condotta del lavoratore, ma addirittura da porsi come "causa" dell’improvvida manovra che la vittima ebbe a porre in essere, provocando la caduta della gru.

Inaccoglibile è anche la doglianza sulla dosimetria della pena, trattandosi di censura di merito, a fronte di decisione satisfatti va mente motivata.

Va ricordato che la concessione o no delle circostanze attenuanti generiche risponde ad una facoltà discrezionale del giudice, il cui esercizio, positivo o negativo che sia, deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero del decidente circa l’adeguamento della pena in concreto inflitta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo. Tali attenuanti non vanno intese, comunque, come oggetto di una "benevola concessione" da parte del giudice, nè l’applicazione di esse costituisce un diritto in assenza di elementi negativi, ma la loro concessione deve avvenire come riconoscimento dell’esistenza di elementi di segno positivo, suscettibili di positivo apprezzamento (cfr. Sezione 6, 28 ottobre 2010, Straface, rv. 248737): da queste premesse, non può ritenersi illogico, nè può essere censurato, il diniego basato sull’apprezzamento negativo dei precedenti specifici, evidentemente ritenuto più significativo rispetto al comportamento processuale del prevenuto.

Anche il giudizio di comparazione tra l’attenuante del risarcimento del danno e l’aggravante speciale è incensurabile.

Infatti, il giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti non è censurabile in sede di legittimità qualora il giudice di merito abbia giustificato la soluzione adottata con la indicazione degli elementi ritenuti prevalenti ai fini del giudizio di comparazione, anche se non abbia confutato tutte le deduzioni delle parti volte a conseguire una diversa valutazione comparativa di tutte le circostanze del reato. In questa prospettiva, le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (Sezione 6, 8 luglio 2009, Abruzzese ed altri, non massimata): ciò che qui deve escludersi in ragione della rappresentata giustificazione fornita dal giudice di merito, e di cui sopra.

Non è del resto inutile ricordare che il risarcimento del danno può costituire un utile parametro di riferimento, non solo per la concessione della relativa attenuante (qui concessa), ma anche per la per la determinazione della pena (cfr. art. 133 c.p., comma 2, n. 3, secondo cui il giudice deve tenere conto anche della "condotta susseguente al reato") (ciò che qui il giudice di appello ha fatto, riducendo in effetti la pena). Ma il risarcimento non necessariamente deve condurre ad un giudizio di prevalenza delle attenuanti sulle aggravanti, operando le due valutazioni (comparazione delle circostanze e determinazione della pena in concreto) su piani e in momenti diversi (Sezione 4, 22 dicembre 2010, Ducoli, rv. 246529).

Segue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 (mille) a titolo di sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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