Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 26-01-2012, n. 1092 Categoria, qualifica, mansioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

D.E., dipendente sin dal 1966 dalla Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti, da ultimo con qualifica di quadro di primo grado, chiedeva al locale Tribunale l’accertamento del suo diritto alla qualifica di funzionario per le mansioni espletate nel periodo 1992-2001, con condanna della Cassa al pagamento delle conseguenti differenze retributive ovvero, in subordine, al risarcimento del danno.

Il primo giudice accoglieva solo la domanda subordinata.

Proponeva appello la Cassa; resisteva il D. proponendo appello incidentale diretto all’accoglimento della domanda formulata in via principale in primo grado.

La Corte d’appello de L’Aquila, con sentenza depositata il 15 gennaio 2010, respingeva l’appello principale ed accoglieva quello incidentale, riconoscendo al D. il diritto alla qualifica di funzionario di 4^ livello a decorrere dal 1 aprile 1992, e condannando la Cassa al pagamento delle relative differenze retributive liquidate in complessivi Euro 154.691,02, oltre ad interessi e rivalutazione monetaria.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la Cassa, affidato a due motivi.

Resiste il D. con controricorso.

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 111 Cost.; dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 161 c.p.c., per non avere la corte territoriale sufficientemente motivato l’accoglimento della domanda proposta dal D..

Evidenziava che le norme invocate impongono al giudice di fornire "esauriente, completa ed intellegibile esposizione di tutte le argomentazioni idonee a giustificare il decisum", laddove la sentenza impugnata conteneva una motivazione sommaria e contraddittoria, senza indicazione delle fonti (testimoniali o documentali) poste a fondamento del ragionamento decisorio.

Lamenta peraltro che le testimonianze escusse non avevano affatto confermato lo svolgimento delle superiori mansioni dedotte dal ricorrente.

2. – Il motivo è inammissibile.

Ed invero la censura risulta assolutamente generica, limitandosi ad evidenziare una carenza motivazionale della sentenza impugnata, senza adeguati specifici riferimenti al caso di specie, impedendo alla Corte di valutare la fondatezza della censura sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (cfr. da ultimo Cass. 30 luglio 2010 n. 17915, secondo cui il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto).

2. – Con il secondo motivo la Cassa denuncia omessa ed insufficiente motivazione in ordine alla mancata valutazione delle risultanze processuali, nonchè violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., sempre sotto il profilo dell’obbligo di corretta valutazione delle prove.

Lamenta in sostanza la ricorrente che la corte di merito aveva operato una errata valutazione delle prove documentali e, soprattutto, testimoniali, in ogni caso con motivazione manifestamente illogica ed insanabilmente contraddittoria (pag. 25 ricorso).

Riporta quindi in ricorso vari brani delle deposizioni testimoniali, chiedendo la cassazione della pronuncia "poichè, contrariamente a quanto si legge in sentenza, non si è affatto raggiunta la prova di quanto sostenuto dall’avversa parte" (pag. 34 ricorso).

3. – Anche tale secondo motivo risulta inammissibile.

Ed invero deve in primo luogo rimarcarsi che il vizio di contraddittorietà della motivazione ricorre solo in presenza di argomentazioni contrastanti e tali da non permettere di comprendere la "ratio decidendi" che sorregge il "decisum" adottato, per cui non sussiste motivazione contraddittoria allorchè, dalla lettura della sentenza, non sussistano incertezze di sorta su quella che è stata la volontà del giudice (Cass. sez. un. 22 dicembre 2010 n. 25984).

Nella specie la corte di merito ha linearmente osservato che dalle complesse risultanze di causa emergeva che il D. avesse svolto, per il periodo in questione, le superiori mansioni dedotte, con conseguente suo diritto all’inquadramento nella qualifica di funzionano.

Per il resto occorre osservare che il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5), non equivale alla revisione del "ragionamento decisorio", ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità; ne consegue che risulta del tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa. Nè, ugualmente, la stessa Corte realizzerebbe il controllo sulla motivazione che le è demandato, ma inevitabilmente compirebbe un (non consentito) giudizio di merito, se – confrontando la sentenza con le risultanze istruttorie – prendesse d’ufficio in considerazione un fatto probatorio diverso o ulteriore rispetto a quelli assunti dal giudice del merito a fondamento della sua decisione, accogliendo il ricorso "sub specie" di omesso esame di un punto decisivo. Del resto, il citato art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5), non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione operata dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, in proposito, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliendo, tra le varie risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (ex plurimis, Cass. 6 marzo 2006 n. 4766; Cass. 25 maggio 2006 n. 12445; Cass. 8 settembre 2006 n. 19274; Cass. 19 dicembre 2006 n. 27168; Cass. 27 febbraio 2007 n. 4500).

La corte abruzzese ha peraltro valutato in modo logico e congruamente motivato sia la documentazione versata in atti (lettere di incarichi), sia le plurime testimonianze escusse, ritenendo che da esse emergeva lo svolgimento di mansioni che, in base al ccnl, di categoria, erano rapportabili alla qualifica di funzionario.

Sebbene la ricorrente precisi che non intende "sollecitare al giudice di legittimità un nuovo esame delle prove già valutate dal giudice del merito" (pag. 24 ricorso), la conferma dell’inammissibile richiesta di riesame complessivo del materiale istruttorio si evince dalle conclusioni rassegnate (pag. 34 del ricorso) ove è chiesta la cassazione della pronuncia "poichè, contrariamente a quanto si legge in sentenza, non si è affatto raggiunta la prova di quanto sostenuto dall’avversa parte".

La corte di merito ha peraltro accertato che il diritto del D. alla superiore qualifica di funzionario, derivava anche dall’avere sostituito il reggente nelle succursali di (OMISSIS) per più di tre mesi, ciò che, in base alla disciplina legale e collettiva, gli conferiva senz’altro il diritto rivendicato.

Tale statuizione costituisce un’autonoma ratio deciderteli della sentenza impugnata, che non risulta specificamente censurata dalla ricorrente, con conseguente inammissibilità, per difetto di interesse, delle altre censure (cfr. da ultimo, Cass. 11 febbraio 2011 n. 3386).

4.- Il ricorso deve pertanto rigettarsi.

Le spese di causa seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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