Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 26-01-2012, n. 1090 Categoria, qualifica, mansioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 23 dicembre 1999, P.P., dipendente della Siae (Società italiana autori ed editori) con inquadramento nel quarto livello contrattuale, conveniva in giudizio la società datrice di lavoro, chiedendo il riconoscimento della funzione dirigenziale o dell’inquadramento nel quinto livello, con condanna della Siae al pagamento delle differenze retributive, alla regolarizzazione previdenziale e al risarcimento del danno per dequalificazione professionale, deducendo di aver svolto le superiori mansioni dal marzo 1992.

Si costituiva la Siae, eccependo la prescrizione quinquennale ex art. 2948 c.c., e chiedendo il rigetto del ricorso.

Con sentenza del 25 febbraio-29 aprile 2003, il Tribunale di Bologna dichiarava il diritto della ricorrente all’inquadramento nel quinto livello contrattuale a decorrere dall’8 marzo 1992 e condannava la Siae a corrispondere all’attrice le differenze retributive tra il quarto e il quinto livello dal 23 dicembre 1994, con gli accessori di legge da tale data al saldo.

Avverso tale decisione proponevano appello, separatamente, sia la P. sia la Siae, con ricorsi depositati entrambi il 18 luglio del 2003.

La P. insisteva per il riconoscimento della qualifica dirigenziale e per l’accoglimento di tutte le sue domande respinte in primo grado.

La Siae chiedeva il rigetto integrale delle domande della controparte.

Riuniti i procedimenti, con sentenza del 15 gennaio-22 luglio 2008, l’adita Corte d’appello di Bologna, sulla base della espletata istruttoria e del Regolamento del personale della Società, in parziale accoglimento dell’appello principale, proposto dalla P., e con assorbimento dell’appello incidentale della Siae, dichiarava il diritto della lavoratrice ad essere inquadrata a decorrere dall’8 marzo 1992 come dirigente e, per l’effetto, tenuto conto della prescrizione quinquennale, condannava la Siae alla corresponsione delle differenze retributive tra il quarto livello e la qualifica di dirigente a decorrere dal 27 ottobre 1993, oltre accessori, ed a versare sulle somme dovute i contributi previsti per legge.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre la Siae con due motivi, depositando anche memoria ( art. 378 c.p.c.).

Resiste P.P. con controricorso, proponendo, a sua volta, ricorso incidentale, affidato ad un motivo.

Motivi della decisione

Va preliminarmente disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale, trattandosi di impugnazioni avverso la medesime sentenza ( art. 335 c.p.c.).

Con il primo motivo di gravame, la ricorrente Siae lamenta che la sentenza della Corte d’Appello di Bologna, nel pervenire alle contestate conclusioni, abbia violato e falsamente applicato gli artt. 115 e 437 c.p.c., gli artt. 2103 e 2697 c.c., nonchè gli allegati A e B dei Regolamento del personale Siae del 9 settembre 1992. Assume, altresì, l’omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su punti decisivi.

Il motivo, pur valutato nella sua duplice articolazione, è infondato.

Invero, la Corte, nell’applicare i principi di diritto stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità (la verifica dello svolgimento di mansioni superiori deve essere condotta con un procedimento che preveda necessariamente l’esame delle declaratorie stabilite contrattualmente, l’individuazione delle attività concretamente svolte dal lavoratore, la valutazione della corrispondenza di queste ultime all’ambito proprio dell’inquadramento rivendicato), ha accertato in capo alla P. l’esercizio dei poteri decisionali e direttivi che caratterizzano l’attività di condirezione, poteri esercitati nell’ambito di uffici che per complessità, rilevanza ed autonomia, presuppongono in chi li svolge la funzione dirigenziale.

La Corte territoriale, infatti, dopo avere riportate le mansioni proprie del quarto e del quinto livello, ha soggiunto che la declaratoria della funzione dirigenziale, oggetto di richiesta in via principale, consisteva "nella direzione o condirezione di sezioni, servizi e sedi, nonchè di uffici che per la loro complessità, rilevanza ed autonomia richiedano l’esercizio di ampi poteri decisionali e direttivi; l’attività di condirezione si esplica di norma in affiancamento al dirigente, con partecipazione alla formazione degli atti decisionali ad alla loro realizzazione pratica".

La correttezza e la congruità della motivazione della decisione della Corte d’appello di Bologna risultano dai controlli di correttezza e logico-formali.

Questa Corte (ex plurimis Cass. n. 18214/2006), ove nel ricorso sia dedotto un vizio di motivazione della sentenza, non riesamina il merito dell’intera vicenda processuale, bensì svolge il controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico- formale, delle argomentazioni svolte dal giudice dell’appello. "Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo dell’omissione, insufficienza o contraddittorietà della medesima, può legittimamente ritenersi sussistente solo quando, nel ragionamento dei giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato esame dei punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione".

Dalla sentenza della Corte d’appello di Bologna e dal suo assetto motivazionale emerge quella caratteristica di completezza e di congruenza logico-giuridica che il tribunale in primo grado non aveva adottato in eguale misura, là dove aveva trascurato di considerare che, in applicazione dell’art. 2103 cod. civ. e del Regolamento del personale della Siae, nelle parti concernenti l’inquadramento contrattuale, le condizioni del riconoscimento della funzione dirigenziale in capo alla P. erano tutte verificate e provate in un arco temporale prolungato (1992-1994), talchè le successive acquisizioni probatorie, peraltro contestate in quanto infondate, potevano al più mettere in luce la sottrazione delle funzioni dirigenziali esercitate legittimamente dalla P..

La Corte d’appello di Bologna ha verificato che l’esercizio della funzione dirigenziale da parte della P. è stato pieno e incondizionato e si è esplicitato nella modalità della condirezione.

Contrariamente a quanto argomentato dalla ricorrente Siae, la sentenza impugnata compie esattamente l’esame comparativo stabilito da questa Corte nei procedimenti nei quali si controverta del riconoscimento dell’inquadramento superiore, onde non ravvisandosi i lamentati vizi il motivo va disatteso.

Con il secondo motivo di gravame la ricorrente Siae deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 116 e 437 c.p.c. e art. 2697 c.c., nonchè omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su punti decisivi ( art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), lamentando l’inadeguatezza dell’iter argomentativo che ha condotto alla impugnata pronuncia.

Anche questo motivo è privo di fondamento.

Invero, la Corte d’appello di Bologna, dopo aver sottolineato l’ampiezza decisionale e direttiva dei poteri esercitati dalla P. e dopo aver valutato la rilevanza dell’attività della struttura, che impegnava almeno 14 dipendenti e 46 accertatoti aggiunge che detta struttura era stata precedentemente retta da dirigenti", apportando una conferma in via di fatto di quanto acclarato attraverso la deposizione dei testi escussi.

Va in proposito rammentato che il controllo di legittimità da parte della Corte di Cassazione, con riguardo alla valutazione delle prove, da parte del giudice, secondo il suo prudente apprezzamento, non concerne il convincimento del giudice di merito sulla rilevanza probatoria degli elementi assunti, bensì soltanto la sua congruenza sotto il profilo dei principi di diritto che regolano la prova, (ex plurimis, Cass. n. 26965/2007).

La valutazione delle prove appartiene al giudice di merito, sicchè la censura della ricorrente Siae, risolventesi in una richiesta di riesame nel merito del materiale probatorio non può trovare accoglimento.

Il ricorso principale va, pertanto, rigettato.

Anche il ricorso incidentale, con cui la resistente P., denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., impugna quella parte della sentenza della Corte di Bologna, che ha respinto le domanda risarcitorie, in quanto, indeterminate e sfornite di prova, va disatteso.

Correttamente il Giudice a quo, muovendo dal condivisibile presupposto, secondo cui il demansionamento non è di per sè determinante per il riconoscimento della relativa pretesa risarcitoria, ha affermato che "incombeva sull’attrice, ex art. 2697 c.c., l’onere di fornire la prova dell’esistenza di un danno risarcibile, ma tale prova non è stata dedotta".

Per quanto precede, entrambi i ricorsi vanno rigettati, con compensazione delle spese, stante l’esito del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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