Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 13-07-2011) 20-09-2011, n. 34390 Sequestro preventivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il ricorso T.G. si duole dell’ordinanza di cui in epigrafe con la quale il Tribunale, giudicando in sede di rinvio, dopo l’annullamento di questa Corte sezione 3^, 11 febbraio 2010- 18 marzo 2010 n. 10658, ha rigettato l’appello dal medesimo proposto avverso il provvedimento con cui il Gip aveva rigettato l’istanza di dissequestro degli impianti della ditta Agriflor, che gestisce un compostaggio atto alla produzione di fertilizzanti e/o ammendanti ad uso agricolo, oggetto di sequestro preventivo in data 11 luglio 2008.

Si addebitava alla società e, per essa, al legale rappresentante la violazione della disciplina sanzionatoria sui rifiuti, per avere prodotto del compost contenente sostanze tossiche e nocive, gestito in assenza della prescritta autorizzazione e per aver posto in essere un traffico illecito dei predetti rifiuti, ipotesi di reato rispettivamente previste dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1, lett. a) e b), commi 2 e 4 e art. 260.

La sentenza di annullamento della Corte apprezzava che nella vicenda si era formato il giudicato cautelare quanto alla legittimità del sequestro, a seguito del rigetto da parte di questa Corte in data 28 gennaio 2009 del ricorso avverso l’ordinanza del Tribunale di Verona che aveva confermato il sequestro preventivo degli impianti.

I principi di diritto affermati erano i seguenti: l’esercizio di un impianto per il trattamento di rifiuti organici selezionati per la produzione di ammendanti e fertilizzanti è disciplinato dalla normativa sui rifiuti e non dal D.Lgs n. 217 del 2006, che detta regole sulla produzione di fertilizzanti e non regola lo spandimento sul terreno, a scopo di deposito finalizzato alla produzione del compost; nell’ipotesi di presenza nel compost di sostanze pericolose trova applicazione la disciplina del recupero dei rifiuti di cui al D.Lgs. n. 152del 2006, art. 181 e segg. con la conseguente configurabilità del reato di smaltimento di rifiuti pericolosi in assenza dell’autorizzazione di cui all’art. 208 dello stesso Decreto;

nel caso in esame operano i limiti di cui alla tabella 1, colonna A, allegato 5, della parte quarta del Decreto n. 152 del 2006 e all’all.

2 al D.Lgs. n. 271 del 2006, limiti che risultavano superati per alcuni metalli pesanti; ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 178 il recupero dei rifiuti deve avvenire senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti e metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente e, in particolare, senza determinare rischi per l’aria, l’acqua, il suolo, nonchè per la fauna e la flora, sicchè doveva ritenersi irrilevante la omessa statuizione di valori di soglia per le diossine, idrocarburi, fenoli e toluene nella tabella B della delibera della Giunta Regionale; doveva, pertanto, ritenersi inibito all’indagato l’impiego per la produzione del compost di sostanze tossiche e nocive quali sono pacificamente le diossine, classificate come cancerogene; nel caso in esame i livelli di concentrazione rilevati per la diossina e gli idrocarburi erano tali da renderli tossico- nocivi.

Ciò premesso, la Suprema Corte evidenziava come dovesse essere riapprezzato in fatto, da parte del giudice cautelare, alla luce della normativa sopravvenuta l’eventuale superamento dei valori consentiti di sostanze tossiche o pericolose.

Tale conclusione era giustificata dalla normativa sopravvenuta contenuta principalmente nel D.L. 30 dicembre 2008, art. 178 convertito nella L. 27 febbraio 2009 n. 13, che l’ordinanza che si andava ad annullare aveva impropriamente applicato e negli stessi termini impropri aveva pure fatto applicazione della Delib. G.R. Veneto del 10 febbraio 2009, n. 235 affermando, senza concreto approfondimento, che le soglie ivi stabilite, quanto alle sostanze inquinanti, non risultavano superate.

In altri termini, l’ordinanza era stata annullata perchè, secondo questa Corte, non conteneva "la concreta indicazione delle ragioni per cui le risultanze fattuali, in relazione al mutamento del quadro normativo, non debbano dovessero più ritenersi giustificatrici del permanere della misura cautelare". Nè certamente il relativo apprezzamento "in fatto" poteva essere compiuto in sede di legittimità.

Con la ordinanza qui impugnata, il Tribunale, in ossequio alle indicazioni della sentenza di annullamento, procedeva alla rinnovata valutazione del quadro giuridico e fattuale, ed affermava che il compost oggetto di interesse, pur essendo ormai qualificabile come rifiuto speciale, e non più come rifiuto pericoloso, risultava nel concreto superare i limiti di legge. Ciò tenuto conto dell’obbligatorio riferimento alla Tab. 1, art. 5, comma 1, lett. A, parte 4, D.Lgs, n. 152 del 2006 e che i limiti superiori indicati dalla D.G.R.V. erano inapplicabili perchè in contrasto con la normativa statale ritenuta applicabile dalla Cassazione.

A tale conclusione il Tribunale giungeva pur dando atto di non condividere la tesi dell’accusa secondo la quale la mancata previsione di limiti per gli idrocarburi e per la diossina nella normativa statale che disciplina la produzione del compost significherebbe che non deve esservene traccia, in quanto almeno alcuni di tali elementi, come la diossina sono ubiquitari, presenti anche negli alimenti. Riteneva però non illogica la tesi dell’accusa secondo cui la mancata indicazione di limiti nella normativa specifica vada integrata con riferimento alle previsioni di cui alla citata tabella, atteso che il compost è destinato ad essere sparso sul terreno. In conclusione, si riteneva che non risultava sostanzialmente modificata la situazione cristallizzata nel giudicato cautelare in quanto le disposizioni normative sopravvenute (la L. 27 febbraio 2009, n. 13 ed il D.M. 4 agosto 2010 avevano solo determinato la modificazione della qualificazione del prodotto da rifiuto pericoloso a rifiuto speciale) e la D.G.R.V. n. 235 del 2009 risultava inapplicabile in quanto in contrasto con la normativa statale in materia.

Con il ricorso molto analiticamente sviluppato, anche attraverso la produzione di documenti – processuali e non – ritenuti di rilievo, si censura la decisione sostenendo da un lato che il Tribunale avrebbe non correttamente fatto applicazione dei principi di diritto affermati dalla sentenza di annullamento di questa Corte e, dall’altro, sarebbe viziata dal punto di vista della motivazione quanto all’affermato superamento dei limiti di legge.

Entrambi i motivi partono dal presupposto che l’unico parametro al di fuori dei limiti indicati nel D.Lgs. n. 217 del 2006 (sostituito dal D.Lgs. n. 75 del 2010) e dalla colonna A tabella 1 allegato 5 parte 4 del D.Lgs n. 152 del 2006 inerisce gli idrocarburi totali. Detto limite – si sostiene – è stato svuotato di qualsiasi significato giuridico-normativo e tecnico scientifico dal D.L. n. 208 del 2008, art. 6 quater convertito con L. n. 13 del 2009, in riferimento prima al D.M. 7 novembre 2008, tabella A 2 e poi al D.M. 4 agosto 2010 che ha modificato la medesima tabella.

In particolare con il primo motivo si rileva che erroneamente il Tribunale aveva utilizzato il D.L. n. 208 del 2008 solo per escludere la pericolosità dei rifiuti e non per permetterne l’ammissibilità al procedimento di compostaggio, senza tener conto della normativa sopravvenuta, in particolare l’art. 6 quater, afferente l’utilizzo del parametro idrocarburi totali – che si asserisce essere l’unico dato risultante aver superato il valore limite della tabella 1, colonna A, allegato 5, parte 4, del D.Lgs. n. 152 del 2006.

In proposito si osserva che il giudizio di ambiguità di detta norma formulato dalla S.C. era stato superato dal D.M. 4 agosto 2010. Il citato decreto, che modifica la tabella A2 dell’allegato A del D.M. 7 novembre 2008 a cui fa riferimento il citato art. 6 quater per considerare cancerogeno un rifiuto contenente idrocarburi, aveva identificato nell’Istituto Superiore della Sanità quell’organo tecnico mancante, al quale si era riferita la S.C. nella sentenza di annullamento per la fissazione dei parametri limite di concentrazione per la individuazione dei rifiuti contenenti idrocarburi da classificarsi come cancerogeni ed aveva disposto che per la classificazione del materiale contenente idrocarburi di origini non nota si fa riferimento al parere espresso dall’Istituto superiore di Sanità il 5 luglio 2006 sulle "procedure di classificazione di rifiuti contenenti idrocarburi" e successivi aggiornamenti, che aveva definitivamente chiarito i parametri limite di concentrazione per la individuazione dei rifiuti contenenti idrocarburi da classificarsi cancerogeni.

Con il citato parere, che fa riferimento a quello precedente del 7 ottobre 2004, si afferma che, per poter classificare un rifiuto con presenza di oli minerali di cui non si riconosce l’origine con la caratteristica di percolo cancerogeno, si consiglia di effettuare la ricerca di singoli markers di cancerogenicità, giacchè il parametro di idrocarburi totali è assolutamente generico.

Con il secondo motivo si lamenta il vizio di motivazione giacchè il giudice del rinvio, contrariamente a quanto indicato dalla S.C. aveva omesso di precisare le eventuali ulteriori risultanze delle indagini per cui alla luce dei dati normativi sopravvenuti si erano ritenuti non sussistenti le condizioni che avevano giustificato l’applicazione della misura cautelare. In particolare, il giudicante avrebbe solo genericamente richiamate le risultanze d’analisi allegate alla secondo perizia ed avrebbe omesso ogni riferimento alle analisi successivamente eseguite dalla Procura in forza dei campionamenti del 25 marzo 2010, che avevano evidenziato i valori in linea con la normativa di settore con esclusione degli idrocarburi totali, superiori ai limiti indicati rispettivamente dal D.Lgs. n. 75 del 2010 (già 217/2006) e dalla colonna A, tabella 1, allegato 5, parte 4 del D.Lgs. n. 152 del 2006. Detto limite era però stato svuotato di ogni significato, per quanto sopra esposto, dal D.L. n. 208 del 2008, art. 6 quater convertito con L. n. 13 del 2009.

Infine, si sostiene che la delibera della Giunta Regionale Veneta non avrebbe rilevanza nel caso di specie in quanto riferentesi ai limiti inerenti agli IPA (idrocarburi policiclici aromatici) totali, i PCB (policlorobifenili) e le diossine, per i quali non vi era stato il superamento dei limiti.

Motivi della decisione

Il ricorso non può trovare accoglimento in questa sede, ponendo questioni fattuali che, piuttosto, vanno prospettate nella sede di merito.

Qui, anche per questo Collegio, deve aversi riguardo alle statuizioni del primigenio annullamento ed ai principi non ultimo quello in punto di giudicato cautelare in quella sede sviluppati dalla Corte di legittimità, residuando per il giudice cautelare di merito e, poi, per questa Corte, successivamente adita l’apprezzamento della sola corretta applicazione dei principi di diritto ivi formalizzati.

Noti sono i limiti del giudizio di rinvio.

A seguito di annullamento per vizio di motivazione, il giudice di rinvio è in effetti vincolato dal divieto di fondare la nuova decisione sugli stessi argomenti ritenuti illogici o carenti dalla Cassazione, ma resta libero di pervenire, sulla scorta di argomentazioni diverse da quelle censurate in sede di legittimità ovvero integrando e completando quelle già svolte, allo stesso risultato decisorio della pronuncia annullata. Ciò in quanto spetta esclusivamente al giudice di merito il compito di ricostruire i dati di fatto risultanti dalle emergenze processuali e di apprezzare il significato e il valore delle relative fonti di prova, senza che egli possa essere condizionato da valutazioni in fatto eventualmente sfuggite al giudice di legittimità nelle proprie argomentazioni, essendo diversi i piani su cui operano le rispettive valutazioni e non essendo compito della Corte di cassazione di sovrapporre il proprio convincimento a quello del giudice di merito in ordine a tali aspetti. Del resto, ove la Suprema Corte soffermi eventualmente la sua attenzione su alcuni particolari aspetti da cui emerga la carenza o la contraddittorietà della motivazione, ciò non comporta che il giudice di rinvio sia investito del nuovo giudizio sui soli punti specificati, poichè egli conserva gli stessi poteri che gli competevano originariamente quale giudice di merito relativamente all’individuazione ed alla valutazione dei dati processuali, nell’ambito del capo della sentenza colpito da annullamento (cfr. Sezione 4, 21 giugno 2005, Poggi, rv.232019).

Da ciò deriva, volendo ulteriormente puntualizzare, che, a seguito di annullamento per vizio di motivazione, il giudice di rinvio è vincolato dal divieto di fondare la nuova decisione sugli stessi argomenti ritenuti illogici o carenti dalla Cassazione, ma resta libero di pervenire, sulla scorta di argomentazioni diverse da quelle censurate in sede di legittimità ovvero integrando e completando quelle già svolte, allo stesso risultato decisorio della pronuncia annullata (cfr. ancora Sezione 4, 29 gennaio 2007, Martorana).

Vale, poi, nel caso in esame, il principio pacifico che circoscrive le doglianze ordinariamente devolvibili in sede di legittimità, in forza del quale, in coerente lettura del disposto del codice di rito, si afferma che, in materia di misure cautelari reali, il ricorso per cassazione ex art. 325 cod. proc. pen. può essere proposto soltanto per violazione di legge: in tale nozione rientrano anche la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di una motivazione meramente apparente, in quanto correlate alla inosservanza di precise norme processuali, ma non vi rientra l’illogicità manifesta della motivazione, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di ricorso di cui all’art. 606 c.p.p., lett. e (Sezione 5, 16 giugno 2006, Stiletti).

Ebbene, alla luce dei rilevati limiti, il ricorso non può trovare accoglimento ponendosi la decisione in linea con i principi affermati dalla Corte nel primigenio annullamento, avendo proceduto il giudice della cautela alla rinnovata valutazione in fatto della vicenda e dei parametri di interesse alla luce del novum normativo, come sollecitato dalla Corte di cassazione.

La decisione è sufficientemente motivata e non ammette censure in questa sede.

Il Tribunale del riesame in ossequio alle indicazioni della sentenza di annullamento, procedeva alla rinnovata valutazione del quadro giuridico e fattuale, ed affermava che il compost oggetto di interesse, pur essendo ormai qualificabile come rifiuto speciale, e non più come rifiuto pericoloso, risultava nel concreto superare i limiti di legge.

Ciò tenuto conto dell’obbligatorio riferimento alla Tab. 1, col. A dell’art. 5, parte 4, D.Lgs. n. 152 del 2006 e della inapplicabilità dei limiti superiori indicati dalla D.G.R.V. perchè in contrasto con la normativa statale ritenuta applicabile dalla Cassazione.

A tale conclusione il Tribunale giungeva pur dando atto di non condividere la tesi dell’accusa secondo la quale la mancata previsione di limiti per gli idrocarburi e per la diossina nella normativa statale che disciplina la produzione del compost significherebbe che non deve esservene traccia, in quanto almeno alcuni di tali elementi, come la diossina sono ubiquitari, presenti anche negli alimenti. Riteneva però non illogica la tesi dell’accusa secondo cui la mancata indicazione di limiti nella normativa specifica vada integrata con riferimento alle previsioni di cui alla citata tabella, atteso che il compost è destinato ad essere sparso sul terreno. In conclusione si riteneva che non risultava sostanzialmente modificate la situazione cristallizzata nel giudicato cautelare in quanto le disposizioni normative sopravvenute (la L. 27 febbraio 2009, n. 13 ed il D.M. 4 agosto 2010) avevano solo determinato la modificazione della qualificazione del prodotto da rifiuto pericoloso a rifiuto speciale) e la D.G.R.V. n. 235 del 2009 risultava inapplicabile in quanto in contrasto con la normativa statale in materia.

A fronte di tale decisione le censure prospettate in questa sede – che pure ammettono, peraltro, il superamento dei valori soglia per gli idrocarburi – fanno riferimento a mere questioni di fatto non prospettabili ai fini della verifica della correttezza giustificativa ed argomentativa della decisione.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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