Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 26-01-2012, n. 1089 Licenziamento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 7/12/05 D.D.G., premesso di essere stata alle dipendenze della Max Moda s.r.l. dal (OMISSIS) come commessa in un negozio, esponeva di essere stata costretta da un serio malore a recarsi il (OMISSIS) a Pronto Soccorso dell’Ospedale di (OMISSIS), ricevendo la diagnosi di probabile gravidanza allo stato iniziale.

Aggiungeva che il (OMISSIS), mentre si trovava sul posto di lavoro, avvertendo dolori lancinanti al basso ventre con emorragia, telefonava al datore di lavoro e, nonostante segnalasse l’emergenza e la necessità di recarsi in ospedale, quest’ultimo le diceva di attendere.

Soggiungeva di avere successivamente chiamato sia il proprio marito, al fine di farsi accompagnare in ospedale, sia una collega di lavoro, tale S.L., al fine di richiederne la presenza in sua sostituzione al negozio.

Precisava, ancora, di essersi recata, dopo l’arrivo della collega, all’ospedale, dove le veniva diagnosticata una minaccia di aborto, con prescrizione di riposo assoluto per sei giorni; di avere trasmesso al datore di lavoro il certificato medico attestante lo stato di malattia, che veniva però rifiutato; di essersi vista recapitare lettera di licenziamento con decorrenza dal (OMISSIS), che faceva riferimento ad un preteso abbandono del negozio senza avere previamente avvisato il datore di lavoro, affidandolo a persona estranea all’azienda.

Tanto esposto, evidenziato che il licenziamento le era stato intimato durante lo stato di gravidanza in violazione del D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 54 ( L. n. 1204 del 1971, art. 2), chiedeva al Tribunale di Cosenza che venisse dichiarata la nullità del licenziamento con condanna della società a reintegrarla nel posto di lavoro ed a corrisponderle un’indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino all’effettiva reintegra – in ogni caso non inferiore alle cinque mensilità – oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali, ed al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali; in via subordinata, chiedeva che fosse ordinata la propria riassunzione e disposta la condanna della controparte al pagamento dell’indennità L. n. 604 del 1966, ex art. 8, nella misura massima.

Si costituiva la convenuta società, chiedendo il rigetto del ricorso e deducendo che la ricorrente aveva senza autorizzazione affidato il negozio a persona estranea, pur essendo stata autorizzata a chiuderlo e ad allontanarsi. Affermava la sussistenza di una giusta causa di licenziamento, contestando che la S. fosse una propria dipendente e di avere avuto conoscenza al momento del licenziamento dello stato di gravidanza della ricorrente. Ammessa ed espletata la prova testimoniale, l’adito Tribunale dichiarava la nullità del licenziamento, condannava la società resistente a ripristinare il rapporto di lavoro e a corrispondere alla ricorrente le retribuzioni maturate dal momento del licenziamento sino all’effettiva reintegra, oltre rivalutazione e interessi legali, e alla rifusione delle spese processuali.

Proponeva appello alla decisione la Max Moda s.r.l. chiedendone la riforma ed il rigetto di tutte le proposte domande.

Si costituiva la D.D., resistendo al gravame, di cui chiedeva il rigetto.

Con sentenza del 23 ottobre-30 dicembre 2008 l’adita Corte d’appello di Catanzaro, ritenuto che la situazione di fatto, così come esposta dalla lavoratrice, risultava accertata e che pertanto corretta era stata la decisione del primo Giudice, rigettava il gravame.

Per la Cassazione di tale pronuncia ricorre la Max Moda s.r.l. con tre motivi.

Resiste D.D.G. con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo mezzo d’impugnazione la ricorrente società, denunciando omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ( art. 360 c.p.c., n. 5), lamenta che la Corte di Appello sarebbe incorsa nel dedotto vizio laddove, nonostante risultasse dimostrato mediante prova scritta (libro matricolare e visura carnevale della società) e orale (testimonianze rese da Sp. P. e S.L.) che la signora C.G. – alla quale era stata attribuita la scelta della sostituta ( S. L.) della D.D. – fosse completamente estranea alla società ricorrente, aveva affermato che la C. era dipendente della società Max Moda, svolgendo la sua attività di commessa presso un altro negozio della società medesima.

Secondo la ricorrente quindi vi sarebbe omessa motivazione su tale dato controverso.

Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ( art. 360 c.p.c., n. 5), lamenta che la Corte d’appello sarebbe incorsa nel denunciato vizio in relazione alla scelta della sostituta ( S.L.) della D.D. attribuita dalla Corte di merito alla C., commessa addetta al negozio (OMISSIS); ciò in quanto in un "primo dictum" si afferma nella sentenza che tale scelta sarebbe imputabile a Max Moda srl in quanto la C. era ritenuta sua dipendente, mentre in un "secondo dictum" si afferma che tale scelta sarebbe stata compiuta nell’ambito di non meglio precisate aziende facenti capo a M.L. – amministratrice di Max Moda srl.

I due motivi, da trattarsi congiuntamente perchè strettamente connessi, sono infondati.

Invero, la Corte territoriale, dopo avere opportunamente riprodotto gli addebiti contenuti nella lettera di licenziamento ("Lei ha abbandonato il posto di lavoro senza avvisare il datore di lavoro e per avere affidato a persona estranea il locale"), si è preoccupata, di verificare, in relazione a detti addebiti, la legittimità del licenziamento, riportandosi al materiale probatorio acquisito, ricostruendo gli avvenimenti, come segue.

Circa il primo addebito contestato, la D.D., avvertito il malore dipendente dal suo stato di gravidanza, lasciava il posto di lavoro, non senza, però, avere avvisato l’amministratrice, sig.ra M., tant’è che poco tempo dopo l’allontanamento dal negozio, lasciato affidato alla S., arrivarono " P. e la sig.ra M.", la quale chiedeva alla prima cosa fosse successo; circostanza, questa, sufficiente a dimostrare che sia Sp. sia la M. erano a conoscenza, e dunque erano stati avvisati, della necessità della D.D. di allontanarsi dal negozio.

Sul secondo punto contestato – "avere affidato il negozio a persona estranea all’azienda" la Corte territoriale ha acclarato che la ricorrente chiamò per telefono l’altro negozio facente capo alla stessa società, e che dopo poco tempo giunse la sig.ra S. prendendo in affidamento il negozio sino all’arrivo della amministratrice e dello Sp.. Secondo la stessa S., essa era una cliente abituale e trovandosi occasionalmente nel negozio venne mandata dalla C., altra dipendente della società, che era al lavoro in quel momento nel negozio, a sostituire temporaneamente la D.D..

Orbene, la Corte territoriale, sulla base di siffatta ricostruzione degli avvenimenti, ha cocrentemente argomentato -replicando cosi alle obiezioni dell’appellante, reiterate in questa sede con i motivi di censura- come fosse irrilevante se la S. fosse solo una cliente o, invece, una collega della D.D. (e quindi evidentemente non denunciata come dipendente), essendo stato, in ogni caso, il negozio affidato, per iniziativa della D.D., a persona che una dipendente della società (la C.) aveva mandato espressamente a rilevare la prima.

La Corte d’appello di Catanzaro, dunque, confermando la decisione di primo grado, ha ritenuto illegittimo il licenziamento intimato alla D.D., esaurientemente motivando in relazione ad entrambi i fatti addebitati ed in applicazione del D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, art. 54, commi 2 e 5.

Quest’ultimo profilo è oggetto del terzo motivo di ricorso con cui si lamenta che la Corte territoriale abbia dichiarato nullo il licenziamento in quanto "intimato in periodo di gestazione e senza giusta causa", ritenendo assolto l’onere di rendere edotto il datore di lavoro dello stato di gravidanza della lavoratrice attraverso la comunicazione di tale stato di gravidanza al datore di lavoro, prima del recesso, ad opera di persona che, lungi dall’essere un rappresentante o un dipendente qualificato del datore di lavoro, sia a quest’ultimo del tutto estranea.

Anche questo motivo è infondato.

Invero il Giudice a qua, per quanto attiene alla conoscenza dello stato di gravidanza della ricorrente da parte della M., ha osservato che la S. ne aveva reso edotti la M. e il figlio, quando giunsero al negozio, dopo che la D.D. era andata in Ospedale.

Pertanto, anche a prescindere dal fatto che la ricorrente avesse giù avvisato alcuni giorni prima lo Sp. della probabile gravidanza e, comunque è il caso di aggiungere – dalla ricorrenza dell’oggettivo stato di gravidanza, era certo che al momento dell’intimato il licenziamento, la M. sapeva della condizione della D.D., per cui il licenziamento, intimato in periodo di gestazione e senza giusta causa, doveva ritenersi nullo, con le conseguenze stabilite dal Tribunale.

Non ravvisandosi nell’iter argomentativo adottato dalla Corte di Catanzaro le violazioni ed i vizi denunciati, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese di questo giudizio, liquidate in Euro 20,00 oltre e Euro 3.000,00 per onorari ed oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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