Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 26-01-2012, n. 1087 Licenziamento disciplinare per giusta causa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso del 17.01.2003 B.A. impugnava innanzi al Tribunale di Latina, Sez. Lavoro, il licenziamento disciplinare per giusta causa, intimatogli dall’ex Banco Napoli, con lettera del 15.03.2002.

A sostegno della domanda deduceva la totale infondatezza e insussistenza degli addebiti mossigli, nonchè la nullità del licenziamento stesso per violazione dell’art. 7 Stat. Lav., stante la mancata affissione e pubblicità del codice disciplinare da esporre in luogo accessibile e pubblico, presso la filiale di (OMISSIS), ove lo stesso era addetto.

Confutava inoltre gli addebiti e, in particolare: di non aver estinto il rapporto di conto corrente n. (OMISSIS) facente capo a G. R., così come richiesto dalla filiale di (OMISSIS); di avere acceso i conti correnti n. (OMISSIS) apparentemente a favore di distinti soggetti ma facenti capo, di fatto, a G. R.; di aver tollerato il mantenimento di massimali di disponibilità elevati per tali rapporti; di aver dato disponibilità su assegni esteri su un conto intestato a C.A. in assenza delle dovute informazioni; di aver comunque esposto il Banco a gravi pregiudizi per le contestazioni tutte contenute nella relazione ispettiva del 11.12.2002.

Il ricorrente nel contestare il licenziamento, faceva presente che i fatti addebitatigli, comunque insussistenti, non costituivano violazione di specifici obblighi negoziali e che l’elasticità gestionale ed imprenditoriale adottata derivava da un mandato specifico conferitogli dai superiori che lo avevano inviato ad (OMISSIS) proprio per movimentare l’agenzia, da tempo stagnante.

Deduceva altresì l’infondatezza delle contestazioni in quanto nessuna norma o regola imponeva di non aprire conti a clientela esterna al Comune di Itri e che l’accertamento dei protesti era stato effettuato sulla Regione Lazio quale zona di operatività economica e commerciale dei correntisti e comunque di residenza degli stessi, tutti operanti stabilmente nell’area del (OMISSIS) e quindi nel territorio ricompreso tra (OMISSIS).

Quanto al caso G., non era stato il B. a censire il cliente e quindi nessun addebito poteva essergli mosso.

Fra l’altro, il doppio conto era stato aperto per consentire un graduale rientro, proprio per evitare danni alla Banca.

In ogni caso, il licenziamento era ingiusto ed illegittimo in quanto adottabile solo in caso di fatti estremamente gravi per la dolosità degli stessi, per i riflessi penali o pecuniari, o per la recidiva tale da far venir meno il rapporto fiduciario.

Nel caso di specie, tali caratteristiche e presupposti erano del tutto assenti.

Invocava a tal fine anche il rispetto del principio di proporzionalità e adeguatezza della pena.

Si costituiva in giudizio la Sanpaolo IMI S.p.A., società incorporante il Banco Napoli, formulando eccezioni di inesistenza del ricorso, in quanto rivolto nei confronti di un soggetto già estinto al momento in cui l’atto era stato depositato, per cui la domanda proposta doveva essere dichiarata inammissibile.

Nel merito ribadiva la fondatezza delle contestazioni di cui alla nota ispettiva in atti reiterando le censure ivi contenute.

Espletato l’interrogatorio formale del ricorrente ed escussi i testi, il Tribunale, con sentenza del 30.09.2005 depositata l’08.11.05, in accoglimento della domanda, dichiarava nullo e privo di effetti il licenziamento, condannando parte convenuta a reintegrare il ricorrente ed a corrispondergli le retribuzioni allo stesso spettanti dalla data del licenziamento all’effettiva reintegra nel posto di lavoro.

Sosteneva il Tribunale che la Società non aveva provato l’adempimento dell’obbligo di aver dato pubblicità al codice disciplinare e che in ogni caso il licenziamento appariva illegittimo per la sproporzione tra sanzione inflitta e fatti contestati, risultati tra l’altro in parte generici, in parte infondati e non riferibili direttamente al B. e, comunque, assolutamente non gravi, anche in considerazione dell’incarico che lo stesso aveva avuto di riavviare l’agenzia di (OMISSIS), da tempo stagnante e improduttiva.

I risultati utili della gestione sarebbero stati peraltro ottenuti e provati.

Proponeva appello la Sanpaolo IMI S.p.A.società resistente con ricorso depositato il 20.02.2006, chiedendo, con articolate argomentazioni, la riforma della sentenza. Il B. si costituiva e resisteva al gravame, spiegando, a sua volta, appello incidentale per i danni alla salute subiti a seguito e per effetto dell’illegittimo licenziamento.

La Corte di Appello di Roma, pur rigettando le eccezioni di nullità preliminari sollevate dalla Società appellante, riteneva fondato l’appello in relazione agli altri motivi, accogliendo pertanto il gravame, con pronuncia di riforma della sentenza impugnata e con compensazione delle spese doppio grado.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre B.A. con cinque motivi.

Sanpaolo IMI non si è costituita.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso il B., denunciando omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) circa l’affissione del codice disciplinare, lamenta che il Giudice a qua avrebbe non correttamente valutato le testimonianze, attribuendo alle stesse significati opposti a quelli effettivamente risultanti dalle deposizioni.

Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando violazione o falsa applicazione degli artt. 228-229 c.p.c., sostiene che la Corte di merito avrebbe erroneamente attribuito natura confessoria ad una ammissione, imputata al B., circa l’omessa visura di alcuni protesti, pur trattandosi di circostanza presente nell’ambito della difesa propria del procuratore costituito.

Con il terzo motivo il ricorrente, denunciando violazione o falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, e contraddittoria ed insufficiente motivazione, lamenta che il Giudice d’appello non abbia tenuto conto, nel pervenire alla censurata pronuncia, della genericità della contestazione degli addebiti riguardante l’omessa visura dei protesti, mancando il titolo e l’epoca della loro elevazione.

Con il quarto motivo il ricorrente lamenta omessa o insufficiente o contraddittoria motivazione per avere il Giudice d’appello erroneamente ritenuto, sulla base della relazione ispettiva, la presenza di un danno, subito dall’azienda, a seguito dell’apertura del conto a persona pluriprotestate, equiparando danno e rischi di danno.

Con il quinto motivo, infine, il ricorrente, denunciando omessa motivazione e violazione o falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 in riferimento all’art. 36 CCNL di categoria, lamenta che la Corte territoriale non abbia dato riscontro alla eccepita eccessività della sanzione erogata in rapporto alla gravità dei fatti contestati e de grado della colpa, limitandosi a confermare l’intervenuta lesione del vincolo fiduciario e la sussistenza delle ragioni giustificative del licenziamento per giusta causa.

Il ricorso, pur valutato nelle sue molteplici articolazioni, è infondato, avendo il Giudice a qua argomentato in maniera puntuale e corretta le ragioni del rigetto della obiezioni avanzate dai B. in sede di appello e riproposte in questa sede come motivi di censura.

Invero, con riguardo alla lamentata mancata affissione del codice disciplinare, la Corte d’appello, dopo avere passato in rassegna le deposizioni dei testi escussi, è pervenuta alla conclusione che nessuna violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, risultava, sul punto, essersi verificata, avendo le dichiarazioni dei testi confermato che l’onere dell’affissione "era stato effettivamente adempiuto".

Va in proposito rammentato che il vizio di omessa o insufficiente motivazione. deducibile in sede di legittimità ex art. 360 cod. proc. civi., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile un mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia, e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte: infatti la citata disposizione non conferisce a questa Corte il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento ed all’uopo valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute più idonee a dimostrare i fatti in discussione.

Costituisce, del resto, insegnamento consolidato di questa Corte che il giudice del merito non è tenuto ad analizzare singolarmente le deposizioni dei testimoni, essendo sufficiente che la decisione sia fondata sugli elementi che egli reputi pertinenti ed attendibili. La valutazione delle risultanze delle prove e il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad una esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. 17 luglio 2001 n. 9662. 3 marzo 2000 n. 2404).

Il Giudice di appello come sopra chiarito – ha esaminato il materiale probatorio acquisito, concludendo, con valutazione insindacabile in questa sede, l’avvenuto adempimento dell’onere dell’affissione del codice disciplinare.

Sempre sulla base della espletata istruttoria e della acquisita documentazione – il tutto valutato non solo paratamente ma anche globalmente-, la Corte territoriale è pervenuta alla conclusione della sufficiente specificità degli addebiti, del danno subito dall’Istituto, e della realizzazione, nella fattispecie, dell’ipotesi di cui all’art. 8 del codice disciplinare, secondo il quale "il licenziamento per giusta causa è applicato per mancanza di gravità tale (o per la dolosità del fatto, o per i riflessi penati o pecuniari o per la recidiva o per la sua particolare natura) da far venire meno la fiducia sulla quale è basato il rapporto di lavoro, e da non consentire comunque la prosecuzione nemmeno provvisoria del rapporto stesso".

Avendo il Giudice a quo, esaurientemente e senza incorrere nei lamentati vizi argomentato le ragioni delle sue conclusioni e risolvendosi, inoltre, le censure mosse alla impugnata pronuncia, in considerazioni di merito, ancorchè, talvolta, concretantesi in osservazioni di dettaglio, non incidenti, tuttavia, sulla valutazione complessiva dei fatti, il ricorso va rigettato.

Nulla per le spese, non avendo la società intimata svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso: nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 29 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2012

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