Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 13-07-2011) 20-09-2011, n. 34387 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

R.A., tratto in arresto a seguito di ordinanza di custodia cautelare in carcere per violazione della legge sugli stupefacenti, detenuto prima in carcere e poi agli arresti domiciliari, veniva quindi definitivamente assolto con sentenza del Tribunale di Barcellona P.G. del 1 luglio 2005 divenuta irrevocabile il 13 novembre 2005.

Con domanda presentata alla Corte di Appello di Messina il R. chiedeva quindi l’equa riparazione per l’ingiusta detenzione subita.

La Corte d’Appello adita, provvedendo con ordinanza depositata l’8 luglio 2010, rigettava la domanda ravvisando nel comportamento del R. gli estremi di una condotta sinergica, per colpa grave, alla produzione dell’evento restrittivo della libertà personale.

Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione il R., con atto di impugnazione sottoscritto dal difensore, deducendo, anche mediante il richiamo di precedenti della giurisprudenza di legittimità, vizio motivazionale in ordine alla ritenuta sussistenza della colpa grave, sostenendo che la Corte territoriale sarebbe incorsa in errore di impostazione e prospettiva nel valutare le risultanze processuali ai fini che in questa sede interessano, in particolare attribuendo rilievo a condotte non in contrasto con le ordinarie norme di prudenza, avendo il R. solo ammesso il suo stato di tossicodipendenza.

Il Procuratore Generale presso questa Corte, con nota in data 18 febbraio 2011, ha chiesto il rigetto del ricorso.

Si è costituito il Ministero dell’Economia e delle Finanze depositando memoria finalizzata, con articolate e diffuse argomentazioni, a contrastare la pretesa del ricorrente, con richiesta di vittoria delle spese di lite.

Motivi della decisione

Il ricorso deve essere rigettato per la infondatezza delle censure dedotte. Secondo i principi elaborati ed affermati nell’ambito della giurisprudenza di questa Suprema Corte, nei procedimenti per la riparazione per l’ingiusta detenzione, in forza della norma di cui all’art. 646 c.p.p., cpv. 2 – da ritenersi applicabile per il richiamo contenuto nell’art. 315 c.p.p., comma 3 – la cognizione della Corte di Cassazione deve intendersi limitata alla sola legittimità del provvedimento impugnato, ovviamente anche sotto l’aspetto della congruità e logicità della motivazione, e non al merito. E, per quel che concerne la verifica dei presupposti e delle condizioni richieste perchè sussista in concreto il diritto all’equa riparazione – in particolare, l’assenza del dolo o della colpa grave dell’interessato nella produzione dell’evento restrittivo della libertà personale – le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza N. 43 del 13/12/1995-9/2/1996, hanno enunciato il principio di diritto secondo cui la Corte territoriale deve procedere ad autonoma valutazione delle risultanze processuali rispetto al giudice penale.

Nella fattispecie in esame, la Corte distrettuale ha motivato il proprio convincimento attraverso un percorso argomentativo che può riassumersi come segue: A) erano risultati accertati i frequenti contatti del ricorrente con vari spacciatori di droga; B) detta condotta doveva certamente ritenersi idonea a trarre in inganno l’autorità giudiziaria ed a porsi come fattore sinergico nella causazione del’evento detenzione, in chiaro nesso di causalità rispetto all’emissione del provvedimento restrittivo, avendo legittimato il convincimento, secondo un giudizio ex ante, di un apporto del R., nella vicenda oggetto delle indagini, ulteriore rispetto al ruolo di mero acquirente. Orbene appare all’evidenza che trattasi di un "iter" motivazionale incensurabile in quanto caratterizzato da argomentazioni pienamente rispondenti a criteri di logicità ed adeguatezza, nonchè in sintonia con i principi enunciati da questa Corte in tema di dolo e colpa grave quali condizioni ostative al diritto all’equa riparazione: si ha colpa grave allorquando il soggetto sia venuto meno all’osservanza di un dovere obiettivo di diligenza, con possibilità di prevedere che, non rispettando una regola precauzionale, venendo meno all’osservanza del dovere di diligenza, si sarebbe verificato l’evento "detenzione" (cfr., fra le tante: Sez. 4, n. 3912/96 – cc. 29/11/95 – RV. 204286;

Sez. 4, n. 596/96, RV. 204624); la sinergia, sulla custodia cautelare, del comportamento dell’istante può riguardare "sia il momento genetico che quello del permanere della misura restrittiva" (così, "ex plurimis", Sez. 4, n. 963/92, RV. 191834). A ciò aggiungasi che l’uso personale di stupefacenti, pur non essendo penalmente rilevante, comunque costituisce un comportamento illecito.

Al rigetto del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

In virtù del principio della soccombenza, il ricorrente deve essere altresì condannato a rifondere al Ministero dell’Economia e delle Finanze, costituitosi ritualmente, le spese sostenute nel presente giudizio che si liquidano in Euro 750,00, oltre accessori come per legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione in favore dell’Amministrazione costituita e liquida le stesse in Euro 750,00.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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