Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 13-07-2011) 20-09-2011, n. 34375

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

C.G., C.F. e R.G. venivano condannati dal Tribunale di Bologna alla pena di tre anni e sei mesi di reclusione, ciascuno, per il reato di lesioni personali colpose ex artt. 590 e 583 c.p., comma 2, commesso con violazione della normativa antinfortunistica, e con la contestata aggravante ex art. 61 c.p., n. 8 in relazione a fatto avvenuto il 3 marzo 2003; il giudicante condannava altresì gli imputati al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile.

A seguito di gravame proposto dagli imputati, la Corte d’Appello di Bologna confermava l’affermazione di colpevolezza – richiamando al riguardo la sentenza di primo grado, ed evidenziando la mancanza di dichiarazioni degli imputati in dibattimento e l’accertato tentativo di accreditare la tesi di un incidente domestico e non di infortunio sul lavoro – e, previa esclusione della contestata aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 8, e ribadendo il diniego delle attenuanti generiche, riduceva la pena inflitta agli imputati rideterminandola in quella di anni tre di reclusione ciascuno; la Corte di merito confermava altresì le statuizioni civili di cui alla gravata sentenza. Ricorrono per cassazione gli imputati, con unico atto di impugnazione, lamentando esclusivamente l’illegalità della pena in relazione al titolo del reato ed all’epoca della sua commissione:

osservano i ricorrenti che i giudici del merito hanno evidentemente tenuto conto del trattamento sanzionatorio quale inasprito con la L. 21 febbraio 2006 n. 102, inapplicabile nella concreta fattispecie trattandosi di fatto avvenuto il 3 marzo 2003 e, quindi, prima dell’entrata in vigore della citata legge.

Motivi della decisione

La tesi dei ricorrenti è fondata.

All’epoca del fatto addebitato agli imputati le pene previste per i reati di lesioni gravi e gravissime, con violazione della normativa antinfortunistica, erano le seguenti: LESIONI GRAVI, reclusione da due a sei mesi o multa da Euro 206 a Euro 619; LESIONI GRAVISSIME, reclusione da sei mesi a due anni o multa da Euro 619 ad Euro 1.239.

Le più gravi sanzioni (reclusione da tre mesi a un anno o multa da Euro 500 a Euro 2.000 per le lesioni gravi; reclusione da uno a tre anni per le lesioni gravissime) sono state introdotte solo con la L. 21 febbraio 2006 n. 102, successiva al fatto "de quo" e quindi non applicabili nella concreta fattispecie (cfr. art. 2 c.p., comma 4).

Dunque appare di tutta evidenza l’illegalità della pena inflitta agli imputati, avuto riguardo al titolo del reato ed all’epoca in cui il medesimo è stato commesso.

Ciò posto, osserva il Collegio che – avuto riguardo al "tempus commissi delicti" (3 marzo 2003), come si rileva dalla sentenza impugnata, ed alla pena edittale prevista per il reato contestato agli imputati – occorre tuttavia verificare se, alla data della odierna udienza, sia interamente decorso il termine massimo di prescrizione (sette anni e mezzo, con riferimento sia alla formulazione del testo dell’art. 157 c.p. antecedente alla L. n. 251 del 2005, cd. "ex Cirielli", sia alle disposizioni dello stesso articolo come modificate dalla citata novella). Orbene, deve ad oggi ritenersi ormai intervenuta detta causa estintiva del reato, pur calcolando i periodi di sospensione de decorso del temine prescrizionale (Sezioni Unite, Cremonese) rilevabili dagli atti.

Nè la rilevabilità della prescrizione può ritenersi preclusa dalla mancanza di motivi di ricorso in punto di responsabilità; ed invero, avendo gli imputati posto in discussione il trattamento sanzionatorio con specifica censura (anche fondata) non si è ancora formato il giudicato in senso compiuto e formale su tutti i punti (e quindi sull’intero capo) relativi all’imputazione contestata agli imputati:

e ciò, in applicazione dei principi enunciati dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza Tuzzolino (19 gennaio 2000).

Nel caso in esame non sussistono le condizioni per una pronuncia assolutoria, ai sensi dell’art. 129 c.p.p., comma 2, atteso che nelle argomentazioni svolte dalla Corte territoriale nella sentenza impugnata non sono riscontrabili elementi di giudizio idonei ad integrare la prova evidente dell’innocenza degli imputati. I ricorrenti non hanno peraltro dedotto doglianze in punto di responsabilità, il che comporta anche la conferma delle statuizioni civili ( art. 578 c.p.p.) contenute nell’impugnata sentenza.

Conclusivamente, l’impugnata sentenza deve essere annullata senza rinvio, perchè estinto il reato per prescrizione, con conferma delle statuizioni civili. All’odierna udienza nessun difensore è comparso per la parte civile, con conseguente compensazione delle spese tra le parti per il presente giudizio.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il reato è estinto per prescrizione, ferme restando le statuizioni civili; spese compensate tra le parti.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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