Cass. civ. Sez. I, Sent., 27-01-2012, n. 1249 Danno non patrimoniale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato l’11.072008, M.A. adiva la Corte di appello di Potenza chiedendo che il Ministero della Giustizia fosse condannato a corrisponderle l’equa riparazione prevista dalla L. n. 89 del 2001 per la violazione dell’art. 6, sul "Diritto ad un processo equo", della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva con la L. 4 agosto 1955, n. 848. Con decreto del 20.11.2008 – 8.01.2009, l’adita Corte di appello, nel contraddittorio delle parti, respingeva il ricorso, condannando la ricorrente alle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 1.350,00. La Corte riteneva:

che la M. aveva chiesto l’equa riparazione del danno non patrimoniale subito per effetto dell’irragionevole durata del giudizio, in tema di rivalutazione monetaria su prestazione di previdenza obbligatoria, che era stato da lei avviato il 21.12.1998, con ricorso diretto al Pretore del lavoro di Taranto, volto all’emissione di un decreto ingiuntivo per L. 59.123,00 a carico dell’INPS, provvedimento che era stato emesso il 9.01.1999, con clausola ex art. 642 c.p.c., e notificato il 2.02.1999 all’Istituto ingiunto, il quale, il 5.03.1999, aveva proposto opposizione, definita, nel contraddittorio delle parti, con sentenza del 6.10.2006, la cui motivazione era stata depositata il 12.01.2007 che il processo presupposto aveva avuto la durata complessiva di oltre 8 anni, quando invece, date le peculiarità del caso e trattandosi di causa soggetta al rito del lavoro, avrebbe dovuto concludersi in 30/36 mesi che tuttavia era mancata la prova anche presuntiva del danno morale dedotto dalla M. e da lei ricondotto non a sofferenze psichiche connesse alla lungaggine processuale ma all’ansia correlata all’eventuale restituzione della somma oggetto d’ingiunzione e di entità però modesta, pure considerando la condizione personale dell’istante, bracciante agricola a tempo determinato.

Avverso questo decreto la M. ha proposto ricorso per Cassazione, illustrato da memoria e notificato il 20.11.2009 al Ministero della Giustizia, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che ha proposto controricorso notificato il 29.12.2009.

Motivi della decisione

Con il ricorso la M. deduce:

1. "Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione; violazione e falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 e ss.; artt. 6, 13 e 31 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali; artt, 24 e 111 Cost.; artt. 1223, 1226, 1227, 2056 e 2697 c.c.", formulando conclusivamente il seguente quesito di diritto: "Dica la Corte se è vero che il riconoscimento del danno non patrimoniale non può essere impedito dall’entità della posta in gioco nel processo nel quale si è verificato il mancato rispetto del termine ragionevole, dato che l’ansia ed il patema d’animo conseguenti alla pendenza del processo si verificano normalmente anche nei giudizi in cui sia esigua la posta in gioco: onde se tale aspetto può avere un effetto riduttivo dell’entità del risarcimento, non è tuttavia idoneo ad escludere l’esistenza del danno". 2. Violazione della L. n. 89 del 2001, artt. 2 e 6 dell’art. 115 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ., nonchè l’inadeguatezza della motivazione, per avere trascurato le regole sull’onere della prova, e, comunque, per aver affermato l’inesistenza di un danno non patrimoniale per stress o patema d’animo", formulando conclusivamente il seguente quesito di diritto "Dica la Corte che se è veroni fini dell’equo indennizzo, di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 accertata la irragionevole durata del processo, la prova del conseguente danno non patrimoniale è in re ipsa e grava sull’amministrazione convenuta l’onere di dedurre e provare i fatti che nel caso concreto eccezionalmente escludano la sussistenza di tale danno".

I due motivi del ricorso, che essendo connessi consentono esame congiunto, non meritano favorevole apprezzamento.

In effetti, in tema di equa riparazione per violazione del termine di durata ragionevole del processo, in linea di principio la modestia della cosiddetta posta in gioco non rileva ai fini del disconoscimento dell’"an debeatur" ma incide sull’ammontare dell’indennità da liquidare; tuttavia nella specie la Corte d’appello ha ineccepibilmente negato l’indennizzo puntualmente esaminando le specificità del caso sottoposto al suo esame, non trascurando di valutare le condizioni soggettive della M., irreprensibilmente argomentando la sua decisione con il riferimento non solo alla assoluta modestia della somma controversa, peraltro dall’istante già riscossa in base al decreto ingiuntivo, ma nel contempo valorizzando le addotte ragioni della sua asserita sofferenza, solo ricondotte alla mera eventualità di restituzione del più che esiguo riscosso, secondo quanto già compiutamente emergeva dai dati acquisiti, che, comunque ottenuti, concorrevano alla formazione del convincimento del giudice, e che giustamente sono stati ritenuti significativi ai fini dell’adozione dell’avversata decisione.

Conclusivamente il ricorso deve essere respinto. Giusti motivi, essenzialmente desunti dalle peculiarità del caso, giustificano la compensazione per intero tra le parti, delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente le spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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