T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., 07-10-2011, n. 7814 Demolizione di costruzioni abusive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato all’Amministrazione comunale di Roma in data 17 gennaio 2011 e depositato il successivo 16 febbraio, il ricorrente espone di avere acquistato con rogito del 13 dicembre 2006 e del 19 marzo 2007 un immobile composto da un piccolo edificio con cortile interno, avente accesso dai civici 13 e 15 di Via Avellino e da un adiacente corpo di fabbrica composto di un laboratorio al piano terreno e un appartamento al primo piano. In entrambi i rogiti il precedente proprietario dichiarava che gli immobili erano stati realizzati anteriormente al 1967.

Il ricorrente espone altresì che previa DIA nel corso dell’anno 2007, provvedeva al restauro dell’immobile di che trattasi. Sul corpo di fabbrica comprendente il laboratorio al piano terreno e l’appartamento al primo piano venivano, inoltre eseguite opere di restauro e manutenzione, nonché modesti interventi di modificazione delle aperture esterne, di adeguamento dei servizi igienici e di variazione della distribuzione degli spazi interni.

Rappresenta ancora che, terminati i lavori, richiedeva le autorizzazioni necessarie ad adibire i locali all’esercizio di attività di affittacamere e locazione turistica, ma che insorgevano controversie con la vicina proprietaria che rivendicava diritti sul cortile interno all’edificio e contestava la facoltà del ricorrente di esercitare, nelle unità immobiliari di sua proprietà, l’attività di affittacamere a fini turistici.

A seguito di controlli da costei sollecitati venivano rilevate le difformità di cui ai provvedimenti impugnati, avverso i quali l’interessato propone le doglianze che saranno meglio oltre esposte e contestate.

Conclude per l’accoglimento dell’istanza cautelare e del ricorso.

L’Amministrazione comunale si è costituita in giudizio ed ha contestato ogni domanda.

Alla Camera di Consiglio del 3 marzo 2011 parte ricorrente ha rinunciato alla cautelare.

Il ricorso infine è stato trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 7 giugno 2011.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato e va pertanto respinto.

Con esso il ricorrente, proprietario di un manufatto al piano terra adibito a laboratorio ed al primo piano adibito ad appartamento, in collegamento tra loro, situati in un immobile in Via Avellino n.15/A in Roma, impugna tre diverse determinazioni a demolire.

A) con la prima il Municipio Roma 6 colpisce la realizzazione di interventi edilizi abusivi di ristrutturazione in assenza di titolo abilitativo consistenti nella

"1.modifica del prospetto esterno con apertura di un varco porta al piano stradale, dotato di portoncino completamente rifinito;

2. eliminazione di un vano bagno nell’appartamento al piano terra per creare l’area disimpegno prima della rampa delle scale;

3. nel laboratorio: realizzazione di tramezzature ed impianti per due nuovi vani bagno e apertura di un varco porta per l’accesso al cortile interno del fabbricato con ingresso al civico 13;

4. nell’abitazione al primo piano: modifica del prospetto con apertura nuovo varco di ingresso sul ballatoio; trasformazione del preesistente varco porta in finestra e realizzazione tramezzature interne per una diversa distribuzione degli spazi".

B) con la determinazione 2029 del 18 novembre 2010 il Municipio Roma 6 ha colpito lavori edilizi abusivi di ristrutturazione in assenza di titolo abilitativo e realizzati al piano interrato dello stesso immobile dalla parte del civico 13 della Via Avellino e consistenti in:

"Un locale interrato di mq. 32,00 circa con destinazione di uso a deposito (avente soffitto a volta con altezza max di m. 2,30) si presenta attualmente in uso con funzioni abitative. Parte dell’unità immobiliare è arredata con letti ed elettrodomestici e parte con scrivania da ufficio. Il piano di calpestio del locale risulta ribassato di m. 0,30 dal piano di campagna della corte interna".

C) con la determinazione n. 2030 in pari data della precedente il Municipio Roma 6 ha colpito lavori edilizi abusivi di ristrutturazione in assenza di titolo abilitativo, realizzati al piano interrato dello stesso immobile dalla parte del civico 13 della Via Avellino e consistenti in

"un manufatto di mq. 21 con destinazione di uso magazzino C2 è stato edificato da vecchia data nell’area della corte in assenza di titolo e recentemente risanato e ampliato. Composto da un vano, un bagno e un piccolo disimpegno è dotato di impianto di riscaldamento, elettrico/illuminazione e citofono. Si presenta arredato con letto comodino, armadio, tavolino, TV. Si colloca nella corte interna dove affacciano altre unità immobiliari utilizzate dallo stesso proprietario per attività di affittacamere e casa vacanze. Inoltre all’esterno è stata realizzata una scala in ferro per l’accesso al lastrico solare".

2.1 Avverso il primo provvedimento l’interessato deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 27 e 33 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e degli articoli 14 e 18 della L.R. Lazio 11 agosto 2008, n. 15 in relazione alle previsioni dell’art. 38 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e dell’art. 20 della L.R. Lazio n. 15 del 2008; eccesso di potere per difetto dei presupposti, illogicità e ingiustizia manifesta, difetto di istruttoria e di motivazione.

Il ricorrente sostiene che l’intero corpo di fabbrica composto da un laboratorio al piano terra e un appartamento al primo piano, sito al civico 15/A di Via Avellino sarebbe stato edificato senza titolo dal dante causa del ricorrente nell’anno 1951 dopo l’acquisto di un terreno di mq. 142 avente accesso al civico 17, dove insisteva un piccolo fabbricato in mattoni a un piano di tre vani, in pessime condizioni di manutenzione destinato alla demolizione. In realtà tale assunto contrasta con le testimonianze reperite fra i più anziani abitanti della zona, secondo le quali il corpo di fabbrica costruito in aderenza all’edificio di Via Avellino 13 – 15 era esistente fin da epoca remota e già allora comprendeva un capannone ad uso artigianale. Come gli altri edifici adiacenti, esso veniva danneggiato nel bombardamento del 19 luglio 1943, ma veniva ripristinato soltanto nel dopoguerra ed utilizzato per molti anni come officina di carrozziere. La costruzione esisteva già nella mappa catastale del 1931 ed esiste in due foto aeree del 1960 e del 1965. L’immobile in sostanza esisterebbe in Via Avellino 15/A già in epoca antecedente all’entrata in vigore della L.U. del 1942 e non necessitava pertanto di alcuna licenza.

Sostiene, inoltre, che il Comune non ha esplicitato le ragioni di interesse pubblico per le quali ritiene di dovere procedere alla demolizione della costruzione pur preesistente da anni.

La censura non può essere seguita in nessuno dei suoi aspetti.

La circostanza fattuale per cui l’immobile esisterebbe dal 1931 e che fosse adibito a carrozzeria dopo essere stato danneggiato nei bombardamenti del 1943, non impedisce di considerare le opere realizzate sul predetto immobile, completamente abusive. La determinazione, infatti, non contesta l’esistenza o meglio la preesistenza dell’immobile, quanto piuttosto colpisce, tra le altre, una serie di opere di ristrutturazione che in realtà sono andate ad influire sul prospetto esterno dell’edificio ed hanno comportato l’apertura di porte dove non esistevano con affaccio sul cortile dell’immobile.

La descrizione della preesistenza recata dal contratto di compravendita del 13 dicembre 2006, addotta dall’interessato a sostegno delle sue tesi, non consente di condividerle. Egli ha, infatti, acquistato un immobile in Via Avellino 13 e 15 consistente in un piano seminterrato, al piano terra da un locale deposito, da un appartamento composto di due vani catastali e da una abitazione composta da un vano e mezzo catastale ed al primo piano da due appartamenti della consistenza di tre vani e mezzo catastali. Tuttavia nel 2007 previo deposito di DIA ha proceduto al restauro ed alla ristrutturazione dell’immobile, dichiarando la realizzazione di opere interne per una diversa distribuzione degli spazi, sostituzione di impianti igienico sanitari e degli infissi interni ed esterni e dei portoncini di ingresso, oltre che dell’intonaco interno dei bagni e dei vani cucina, senza modifiche della sagoma e senza arrecare pregiudizio alla statica dell’immobile, laddove, invece il verbale di sopralluogo della Polizia Municipale in data 23 settembre 2010 ha appunto rilevato interventi non assoggettabili a semplice DIA che, in quanto modificativi della sagoma e del prospetto dell’edificio sono pertanto risultati sprovvisti di idoneo titolo abilitativo.

Nessuna falsa applicazione dell’art. 33 del d.P.R. n. 380 del 2001 appare dunque predicabile in ordine al provvedimento esaminato, dal momento che ai sensi degli articoli 10 e 33 del ridetto decreto presidenziale tra gli interventi assoggettati a permesso a costruire vi sono quelli di ristrutturazione edilizia comportanti, appunto la modifica della sagoma e del prospetto degli edifici.

Il profilo della doglianza tendente a porre in risalto la cd. risalenza dell’edificio non può sostenere la legittimità degli interventi che sono invece stati attuati successivamente al 2007 e nulla anno a che vedere con il pristino manufatto, del quale il provvedimento esaminato non pone in discussione l’epoca di realizzazione.

2.2. Con riferimento alla d.d. 2029 del 18 novembre 2010 l’interessato deduce l’eccesso di potere per difetto dei presupposti, illogicità ed ingiustizia manifesta; difetto di istruttoria e di motivazione.

L’interessato lamenta che il locale interrato di mq. 32 circa identificato al NCEU al fg. 622, p. 226 sub 501 non ha subito alcuna modifica, né nella sua consistenza, né nella destinazione di uso. Esso è adibito a deposito. Il piano di calpestio del locale, che secondo il rilievo "risulta ribassato di m. 0,30 dal piano di campagna della corte interna" era in origine anche più basso, in quanto la nuova pavimentazione è stata sovrapposta alla vecchia come si potrebbe verificare facendo un saggio.

La circostanza dedotta prova poco, dal momento che il provvedimento in esame, pure sopra riportato per rendere più agevole la disamina, in realtà colpisce il cambio di destinazione di uso del locale interrato, per come è dato ricavare dall’oggetto della determinazione stessa, con la conseguenza che, quand’anche con un saggio peritale si dimostrasse che il piano di calpestio del locale in realtà era originariamente molto più basso, come sostenuto, nulla toglie alla osservazione che detto locale – adibito a deposito per come risulta dal contratto di compravendita esibito dallo stesso ricorrente -, attualmente risulta riadattato con funzioni abitative.

Tale circostanza sostanzia l’istituto del "cambio di destinazione di uso con opere edilizie" e che a tutt’oggi necessita di permesso a costruire, ai sensi dell’art. 10, comma 2 del citato d.P.R. n. 380 del 2001, sicchè del tutto non condivisibile appare il dedotto eccesso di potere per difetto dei presupposti e di istruttoria nel provvedimento gravato.

2.3 Con riferimento alla D.D. n. 2030 del 18 novembre 2010 il ricorrente deduce l’eccesso di potere per difetto dei presupposti, illogicità e ingiustizia manifesta, difetto di istruttoria e di motivazione.

Il manufatto di mq. 21, edificato da vecchia data e risanato di recente, come asserisce il provvedimento impugnato, afferisce alla costruzione di Via Avellino n. 13 nella cui corte esso era situato; costruzione che è stata edificata in epoca antecedente anche al Piano regolatore di Roma del 1931, in quanto risulta dagli atti di provenienza che esso fosse pervenuto alla signora D’Orazi per successione dalla propria madre deceduta nel 1915 e veniva denunciato al Catasto nel 1939. Sostiene l’interessato che probabilmente il locale adibito a magazzino, come pure la cantina, non risultavano accatastati nel 1939 forse perché si trattava di pertinenze.

L’accatastamento dei due locali avvenne a cura del dante causa del ricorrente che, al momento della stipula del contratto dichiarò che l’edificazione risaliva ad epoca antecedente al 1967. Contesta che al locale sia stato dato un uso diverso da quello di magazzino.

Anche in questo caso le osservazioni del ricorrente provano poco.

A parte che la circostanza secondo cui al locale non sarebbe mai stato dato un uso diverso da quello consentito di magazzino, per come dedotta dall’Amministrazione per la presenza di impianti e di arredamento, risulta da un verbale di sopralluogo, che in quanto atto pubblico fa fede fino a querela di falso delle circostanze e dei fatti da esso rilevati, anche in ordine al provvedimento esaminato la dedotta "risalenza" del manufatto non torna utile a contestare l’osservazione che, ancora una volta il Comune non intende contestare la preesistenza del locale, quanto piuttosto l’assenza di idoneo titolo abilitativo per opere come la scala in ferro per l’accesso al lastrico solare, che modifica la sagoma dell’edificio e il cambio di destinazione di uso con opere del detto magazzino, con conseguente reiezione della censura in tutti i suoi aspetti.

3. Per le superiori considerazioni il ricorso va respinto in ogni sua parte.

4. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna il ricorrente S.M.H.A. al pagamento di Euro 2000,00 per spese di giudizio ed onorari a favore di Roma Capitale.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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