Cass. civ. Sez. I, Sent., 27-01-2012, n. 1248 Accessione

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Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 17 ottobre 2005 il Sig. T. G. conveniva dinanzi a Tribunale di Siracusa – sezione distaccata di Avola la propria moglie, signora C.G. per sentir accertare il proprio diritto esclusivo di proprietà su un edificio costruito su un appezzamento di terreno che gli apparteneva, nel territorio del comune di (OMISSIS); con condanna della convenuta all’immediato rilascio.

Costituitasi ritualmente, la signora C. svolgeva domanda riconvenzionale per l’accertamento della comproprietà prò indiviso dell’immobile, realizzato in regime di comunione legale; chiedendo, in subordine, la condanna del T. al pagamento del 50% del valore della costruzione.

Con sentenza non definitiva 6 giugno 2007 il Tribunale di Siracusa accoglieva la domanda attrice, condannando la signora C. al rilascio dell’immobile; accertava che quest’ultima, in qualità di possessore di buona fede, aveva diritto a percepire la metà del valore attuale dell’edificio e rimetteva la causa sul ruolo per l’accertamento del quantum debeatur.

In accoglimento dei successivo gravame del T. la Corte d’appello di Catania, con sentenza emessa il 26 gennaio 2010, in contumacia della signora C., ritenuto che quest’ultima non poteva considerarsi possessore di buona fede, rigettava la domanda riconvenzionale e dichiarava inammissibile quella subordinata, riproposta in appello e volta ad ottenere la metà del prezzo dei materiali e della manodopera utilizzati per l’edificazione del fabbricato; con condanna dell’appellata alla rifusione delle spese di giudizio.

Avverso la sentenza, non notificata, la signora C. proponeva ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi e notificato il 23 aprile 2010.

Deduceva:

1) la violazione dell’art. 340 c.p.c., n. 2 per omesso rilievo dell’inammissibilità del gravame immediato avverso la sentenza non definitiva, della quale il T. aveva espresso riserva di appello;

2) la violazione degli artt. 936 e 1150 cod. civ. nella ritenuta assenza della sua qualità di compossessore di buona fede;

3) la violazione dell’art. 936 cod. civ. nel ritenere terzo – in considerazione della mancanza di un rapporto negoziale relativo al suolo stesso o alle opere – anche colui che riveste la qualità di coniuge;

4) la violazione dell’art. 936 cod. civ. perchè non era stata riconosciuta la metà dell’incremento patrimoniale, a seguito della mancata scelta del proprietario del terreno di optare per il pagamento della manodopera e dei materiali;

5) la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per aver ritenuto inammissibile la domanda di pagamento della metà dei materiali i della manodopera in quanto formulata solo in sede di precisazione delle conclusioni, in accoglimento dell’eccezione di preclusione ex adverso sollevata: senza rilevare che essa era da ritenersi implicitamente inclusa nella domanda, proposta ab initio, di pagamento del maggior valore dell’immobile.

Resisteva con controricorso, ulteriormente illustrato con memoria ex art. 378 cod. proc. civile, il sig. T., che eccepiva in via pregiudiziale l’inammissibilità del ricorso per nullità della procura alla lite.

All’udienza del 9 dicembre 2011 il Procuratore generale precisava le conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate.

All’esito della camera di consiglio, il collegio disponeva la stesura della sentenza in forma semplificata.

Motivi della decisione

Prioritaria si palesa la disamina dell’eccezione di inammissibilità del ricorso per nullità della procura alla lite, ravvisata nell’erronea indicazione del numero di registro generale della sentenza impugnata.

L’eccezione è infondata, non essendovi dubbi sull’identificazione della sentenza oggetto della impugnazione;per la quale la signora C. ha rilasciato procura, a margine del ricorso, all’avv. Antonio Gallo. L’erronea indicazione del numero di ruolo generale (112/2010, anzichè 89/2010) è frutto di un’evidente svista, dovuta allo scambio del numero di sentenza con il numero cronologico di registro: l’uno e l’altro apposti con timbro di cancelleria sul frontespizio della sentenza della Corte d’appello di Catania.

Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 340 c.p.c., n. 2 e la conseguente inammissibilità dell’appello, immediatamente proposto dal T. avverso la sentenza non definitiva del Tribunale di Siracusa – sezione distaccata di Avola, nonostante la riserva di impugnazione differita, da lui formulata a verbale alla prima udienza fissata per la prosecuzione del giudizio in punto quantum debeatur.

Il motivo è fondato.

L’impugnazione immediata di una sentenza non definitiva di cui la parte si sia riservata l’impugnazione differita è inammissibile, stante il chiaro disposto di cui all’art. 340 c.p.c., comma 2 (giurisprudenza costante; cfr., e plurimis, Cass., sez. 3, 11 giugno 2003 n. 9387; Cass., sez. 1, 24 aprile 2002, n. 5967). Anche se l’appello prematuro non consuma il diritto di impugnazione – e quindi non preclude la reiterazione dell’appello contestualmente a quello della sentenza definitiva, successivamente emanata – resta che il primo gravame va dichiarato inammissibile, indipendentemente da un’eccezione di parte formulata nel grado pregresso, trattandosi di un principio di ordine pubblico processuale, la cui violazione deve essere rilevata d’ufficio (Cass., sez. 3, 11 giugno 2003 n. 9387, citata).

Pure infondata è l’allegazione della carenza di interesse della parte a proporre la censura, data la conformità a giustizia della sentenza impugnata. Si tratta, con tutta evidenza, di un’inversione dell’ordine prioritario delle questioni: bastando, ai fini dell’accoglimento del motivo in rito ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, il rilievo che la medesima parte ricorrente abbia altresì formulato doglianze in ordine al contenuto decisorio della sentenza d’appello.

Restano assorbiti i motivi residui.

La sentenza deve essere quindi annullata senza rinvio ( art. 382 cod. proc. civ.), con la conseguente condanna del T. alla rifusione delle spese della fase di legittimità, liquidate come in dispositivo, sulla base del valore della causa e del numero e complessità delle questioni trattate.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo, assorbiti gli altri, cassa senza rinvio la sentenza e condanna T.G. alla rifusione delle spese della fase di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 2000,00 per onorari, oltre le spese generali e gli accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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