Cass. civ. Sez. II, Sent., 27-01-2012, n. 1236 Assemblea dei condomini

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 29-4-1999 L.M., G.M., L.G., S.S., S.L. e B. S., proprietari di unità immobiliari facenti parte del Condominio (OMISSIS), adivano il Pretore di Bari per sentir dichiarare, previo accertamento dell’illegittimità e della contrarietà a norme imperative codicistiche e di regolamento dei criteri di ripartizione delle spese relative alle parti comuni, la nullità o annullabilità delle delibere adottate nell’assemblea condominiale del 31-3-1999 in relazione all’approvazione del bilancio consuntivo dal marzo 1998 al febbraio 1999 e all’approvazione del bilancio di previsione dal marzo 1999 al febbraio 2000, nonchè alla modifica dell’art. 6 del regolamento del Condominio.

Nel costituirsi, il Condominio (OMISSIS) eccepiva in via preliminare l’indeterminatezza della domanda di parte avversa, la quale agiva promiscuamente per la declaratoria di nullità e per l’annullamento delle delibere assembleari. Nel merito, il resistente contestava la fondatezza della domanda, sostenendo che la ripartizione delle spese effettuata con la delibera impugnata, oltre ad essere conforme alla prassi del Condominio risalente ad atti deliberativi approvati all’unanimità (17-6-1995 e 20-9-1995), era stata compiuta nel rispetto del regolamento del condominio (OMISSIS) approvato dai condomini in data 5-10-1991, e che la modifica dell’art. 6 del regolamento era stata assunta con le maggioranze prescritte dalla legge.

Con sentenza del 10/l5-7-2004 il Tribunale di Bari in composizione monocratica, competente a decidere a seguito della soppressione dell’Ufficio del Pretore, accoglieva la domanda e, per l’effetto, dichiarava la nullità della delibera assembleare impugnata relativamente ai punti 3 (approvazione del bilancio consuntivo dal 1/3/1998 al 28-2-1999), 4 (approvazione del bilancio preventivo 1/3/1999/28-2-2000), e 6 (modifica dell’art. 6 del regolamento condominiale) dell’ordine del giorno. In motivazione, il giudice rilevava, in particolare, che il regolamento di condominio con annesse tabelle millesimali, approvato all’unanimità nel 1991 dai proprietari contraenti, tra i quali i danti causa dei ricorrenti, prevedeva l’applicazione della tabella A per la ripartizione delle spese riguardanti "le parti comuni", e della tabella B per la ripartizione delle spese riguardanti il "solo giardino condominiale";

e che, pertanto, la diversa applicazione dei criteri negoziali di ripartizione delle spese, contenuta nelle delibere opposte, costituiva motivo di invalidità delle stesse.

Avverso la predetta decisione proponeva appello il Condominio (OMISSIS).

Si costituivano L.M., G.M., L.G., S.S. e B.S., contestando la fondatezza del gravame e chiedendone il rigetto.

Anche S.L., costituitosi a seguito di notifica di atto di integrazione del contraddittorio, resisteva all’appello.

Con sentenza depositata il 23-11-2009 la Corte di Appello di Bari rigettava l’impugnazione.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre il Condominio (OMISSIS), sulla base di due motivi.

Resistono con separati controricorsi da un lato L.M., G.M. e B.S., e dall’altro L.G. e S.S..

L’altro intimato S.L. non ha svolto attività difensive.

In prossimità dell’udienza il ricorrente e i controricorrenti L.G. e S. hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1) Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 110, 112, 277 e 342 c.p.c. e dell’art. 163 c.p.c., n. 3, art. 164 c.p.c., commi 4 e 5, artt. 112 e 342 c.p.c., nonchè l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

In primo luogo, sostiene che la Corte di Appello ha errato nell’esaminare congiuntamente i primi due motivi di gravame, con i quali si censuravano rispettivamente le affermazioni contenute nella sentenza di primo grado riguardo alla tardività dell’eccezione di nullità del ricorso per omessa determinazione della domanda ed alla infondatezza nel merito di tale eccezione. Nel far presente che l’eccezione di nullità del ricorso non era tardiva, sostiene che così operando il giudice del gravame, oltre a cadere in evidenti vizi di motivazione, ha violato i principi di cui agli artt. 112, 277 e 342 c.p.c., in quanto ha omesso di pronunciarsi su una questione ritualmente dedotta ed ha elaborato un profilo di legittimazione o interesse a proporre l’eccezione che non era stato dedotto da nessuna delle parti e che era comunque da ritenere insussistente.

In secondo luogo, deduce che la Corte di Appello ha errato nel ritenere infondata l’eccezione di nullità dell’atto di citazione, proposta dal Condominio in considerazione dell’evidente incertezza del petitum, avendo la controparte promosso promiscuamente le azioni di nullità e di annullabilità della delibera assembleare, tra loro diverse, senza consentire al convenuto di conoscere il reale ambito del thema decidendum e, quindi, potersi adeguatamente difendere.

Entrambe le censure sono infondate.

La Corte di Appello, pur dando atto della tempestività dell’eccezione di nullità dell’atto introduttivo, sollevata dal convenuto in primo grado e reiterata con il primo motivo di impugnazione, ha rilevato che l’appellante non aveva interesse a dolersi del giudizio espresso dal primo giudice circa la tardività dell’eccezione in parola, non avendo la ritenuta tardività spiegato alcuna influenza sul rigetto della stessa eccezione, dovuta a ragioni di merito.

Nel pervenire a tali conclusioni, il giudice del gravame si è uniformato al costante orientamento della giurisprudenza, secondo cui il principio contenuto nell’art. 100 c.p.c., in base al quale per proporre una domanda o per resistere ad essa è necessario avervi interesse, si applica anche al giudizio di impugnazione, nel quale, in particolare, l’interesse ad impugnare una data sentenza o un capo di essa va desunto dall’utilità giuridica che dall’eventuale accoglimento del gravame possa derivare alla parte che lo propone, e non può consistere nella sola correzione della motivazione della sentenza impugnata ovvero di parte di essa; con la conseguenza che deve considerarsi inammissibile per difetto di interesse l’impugnazione proposta ove non sussista la possibilità per la parte che l’ha fatta di conseguire un risultato utile e giuridicamente apprezzabile (Cass. 11-2-2005 n. 2841; Cass. 3-9-2005 n. 17745; Cass. 18-1-2006 n. 830). In applicazione di tali principi, in particolare, questa Corte, con riferimento ad una fattispecie che presenta aspetti simili a quella per cui si controverte, ha ritenuto inammissibile per difetto di interesse l’impugnazione proposta dal terzo chiamato, volta ad ottenere la declaratoria di illegittimità della chiamata, in quanto nel giudizio di merito la domanda di garanzia nei suoi confronti era stata rigettata (Cass. 9-12-2003 n. 18736).

L’impugnata decisione risulta immune da censure anche nella parte in cui ha ritenuto infondata l’eccezione di nullità della domanda, sollevata dal convenuto.

Giova rammentare che la nullità della citazione (o del ricorso introduttivo) per omessa determinazione dell’oggetto della domanda postula la totale omissione o la assoluta incertezza del "petitum", inteso sotto il profilo formale del provvedimento giurisdizionale richiesto, e sotto quello sostanziale di bene della vita di cui si domanda il riconoscimento. Detta ipotesi non ricorre quando l’individuazione del "petitum" così inteso sia comunque possibile attraverso un esame complessivo dell’atto introduttivo del giudizio, non limitato alla parte di esso destinata a contenere le conclusioni, ma esteso anche alla parte espositiva, costituendo il relativo apprezzamento una valutazione di fatto riservata al giudice di merito, e non censurabile in sede di legittimità se congruamente e correttamente motivata (Cass. 19-3-2001 n. 3911; Cass. 7-3-2006 n. 4828).

Nella specie, i giudici di merito, con motivazione corretta sul piano logico e giuridico e come tale non sindacabile in questa sede, hanno rilevato che il ricorso introduttivo conteneva tutti gli elementi di fatto e di diritto idonei ad individuare l’oggetto della domanda, attraverso la enunciazione dei fatti storici che ne avevano imposto la proposizione (adozione di deliberazioni assembleari viziate in punto di ripartizione spese per le parti comuni e di modifica di disposizioni regolamentari), nonchè del titolo della pretesa (contrarietà delle deliberazioni impugnate a norme di regolamento condominiale e di legge).

Come è stato evidenziato nella sentenza impugnata, d’altra parte, la domanda non poteva ritenersi indeterminata per il fatto che i condomini avevano richiesto in via alternativa la nullità o annullabilità della delibera impugnata. Nulla impedisce, infatti, a una parte di proporre nello stesso giudizio, in forma alternativa o subordinata, due o più domande, anche se fra loro concettualmente incompatibili, senza che le espressioni che manifestano l’intenzione di proporre domande subordinate, alternative o eventuali possano escludere di per sè la richiesta di accoglimento della domanda principale, specie se tale intenzione emerga da ulteriori sussidi interpretativi (Cass. 12-3-2008 n. 6629), e senza che il giudice che accolga una di tali domande incorra nel vizio di ultrapetizione, in quanto il rapporto di alternatività non esclude che ciascuna di tali domande rientri nel "petitum" (Cass. 23-2-1995 n. 2083; Cass. 3/11/1984 n. 5572).

E’ noto, d’altro canto, che compete al giudice il potere-dovere di qualificare giuridicamente l’azione e di attribuire il "nomen iuris" al rapporto giuridico sostanziale dedotto in giudizio, anche in difformità rispetto alle deduzioni delle parti. Tale potere trova un limite – la cui sola violazione determina il vizio di ultrapetizione – nel divieto di sostituire l’azione proposta con una diversa, perchè fondata su fatti diversi o su una diversa "causa petendi", con la conseguente introduzione di un diverso titolo accanto a quello posto a fondamento della domanda, e di un nuovo tema di indagine (Cass. 17-7-2007 n. 15925; Cass. 17-11-2010 n. 23215). In particolare, fermo il rispetto delle allegazioni di fatto prospettate dalla parte, una volta che questa abbia dedotto il fatto asseritamente invalidante, spetta al giudice ricondurlo alla categoria della nullità ovvero dell’annullabilità, con la conseguenza che, permanendo immutata la situazione di fatto, la circostanza che il giudice qualifichi nullità la situazione che la parte abbia prospettato in termini di annullabilità, non concreta il vizio di ultrapetizione (Cass. 8-6-2001 n. 7783).

Nel caso in esame, nell’esercizio del potere-dovere di qualificazione giuridica della domanda ad essi riservato, i giudici di merito, sulla base degli elementi di fatto posti a sostengo del "petitum" e, quindi, senza incorrere nel vizio di ultrapetizione, hanno ravvisato nella proposta impugnativa di delibera assembleare un’azione di nullità.

Non sussistono, pertanto, i vizi denunciati dal ricorrente.

2) Con il secondo motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2702 c.c., artt. 115, 116 c.p.c. e art. 345 c.p.c., comma 3, della violazione e falsa applicazione degli artt. 1322 e 1362 c.c., e dell’insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Sostiene che i criteri di riparto delle spese condominiali utilizzati nella delibera del 1999 erano suffragati da una precisa prassi condominiale, consacrata nelle delibere condominiali assunte all’unanimità il 17-6-1995 e 20-9-1995. Fa presente che le controparti hanno ammesso l’esistenza e il contenuto di tali delibere, pur avendo sostenuto che le stesse non costituivano espressione della volontà di modificare definitivamente i criteri di riparto delle spese condominiali. Deduce che, costituendo fatto pacifico l’esistenza e il contenuto delle delibere condominiali in questione, la Corte di Appello avrebbe dovuto tener conto delle stesse ed ammettere la loro esibizione tardiva in appello, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., comma 3, salvo a valutarne gli effetti con riferimento al thema decidendum. Afferma che la sentenza impugnata è censurabile anche nella parte in cui, pur avendo riconosciuto il sistematico ricorso ad una prassi modificativa dei criteri di computo delle spese condominiali, ha negato che tale prassi potesse considerarsi espressione di una specifica volontà delle parti di modificare il contenuto del regolamento condominiale.

Il motivo difetta del requisito di autosufficienza, non avendo il ricorrente proceduto alla trascrizione del contenuto delle due delibere assembleari del 1995, sulle quali ha incentrato le sue difese, sì da porre questa Corte nelle condizioni di valutare l’esatta portata e rilevanza di tali atti ai fini della decisione.

In ogni caso, si osserva che, con le doglianze mosse, attraverso la formale denuncia di violazioni di legge e di vizi di motivazione, viene sostanzialmente richiesta una valutazione alternativa delle emergenze processuali rispetto a quella compiuta dalla Corte di Appello, la quale, con apprezzamento in fatto non censurabile in questa sede, ha dato atto che tra le parti poteva ritenersi pacifica solo l’esistenza delle due delibere assembleari richiamate dal Condominio, non anche il contenuto delle stesse, in quanto l’unico riferimento al riguardo concerneva solo la Delib. 17 giugno 1995, ed era stato effettuato dagli attori tardivamente, nella comparsa conclusionale. A fronte dell’obiettiva incertezza circa il contenuto e la portata di dette delibere, di conseguenza, legittimamente il giudice del gravame, dopo aver negato, nell’esercizio del potere discrezionale attribuitogli dall’art. 345 c.p.c., l’ammissione della produzione in appello di tali documenti, che ben avrebbero potuto essere tempestivamente prodotti in primo grado, ha ritenuto non dimostrata l’invocata prassi derogatoria dei criteri di ripartizione delle spese condominiali previsti nelle tabelle millesimali approvate all’unanimità dai proprietari-condomini nel 1991. Il ricorrente, pertanto, nell’insistere nel sostenere l’esistenza di una simile prassi modificativa e nell’affermare che il giudice di appello avrebbe dovuto ammettere la produzione documentale, propone censure di merito esulanti dal sindacato di legittimità riservato a questa Corte.

3) Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese sostenute dai resistenti nel presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida per S.S. e L.G. in Euro 2.400,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali, e per L.M., G.M. e B.S. in Euro 2.400,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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