T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., 07-10-2011, n. 7770 Lavoro subordinato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

RILEVATO che il presente giudizio può essere definito nel merito ai sensi degli articoli 60 e 74 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, previo accertamento della completezza del contraddittorio e dell’istruttoria, e sentite sul punto le parti costituite;

VISTA l’ordinanza collegiale in data 7 giugno 2011 n. 5054 con la quale la sezione ha ordinato incombenti istruttori;

ATTESO che il ricorso appare manifestamente infondato alla luce della relazione istruttoria prodotta dall’amministrazione degli esteri;

CONSIDERATO che con esso il ricorrente impugna il diniego di visto per lavoro, in quanto non disponibile allo "Sportello Unico per l’Immigrazione di LA";

RILEVATO che avverso tale provvedimento il ricorrente oppone:

– Assenza, carenza e/o omissione della motivazione: egli lamenta che il diniego appare motivato in maniera del tutto generica, in quanto non sarebbe comprensibile la circostanza per cui il nulla osta non è disponibile nel telematico dello sportello SUI;

– violazione e falsa interpretazione di legge: l’interessato sostiene che è mancata la comunicazione di avvio del procedimento e comunque ad ogni buon conto deposita documentazione che dimostra il possesso dei requisiti di legge per ottenere il visto; in particolare quella relativa al possesso dei requisiti di reddito che in base alla direttiva del Ministero dell’Interno del 1° marzo 2000 colloca il parametro di riferimento nell’assegno sociale, in base al richiamo di cui all’art. 29, comma 3 lett. b);

RILEVATO che l’Amministrazione, con la relazione istruttoria, ha rappresentato che, contrariamente a quanto opposto in ricorso, il ricorrente "non ha dimostrato di possedere i requisiti previsti dalla normativa attualmente in vigore in materia (art. 26 del d.lgs. n. 286/1998, art. 39 del d.P.R. n. 394 del 1999, decreto MAE 12 luglio 2000) ed in particolare:

1) attestazione rilasciata dalla Camera di Commercio competente attestante i parametri economici minimi di riferimento per l’esercizio dell’attività richiesta (art. 39, c. 3 d.P.R. n. 394/1999);

2) dimostrazione della disponibilità in Italia di una somma non inferiore alla capitalizzazione, su base annua, di un importo mensile pari all’assegno sociale (art. 39, c. 3 d.P.R. n. 394/1999);

3) dimostrazione di un reddito annuo, proveniente da fonti lecite, di importo superiore al livello minimo previsto dalla legge per l’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria (art. 26, c.3 del d.lgs. n. 286/1998);

4) dimostrazione relativa alla disponibilità di un’idonea sistemazione alloggiativa in Italia (art. 26, c.3 del d.lgs. n. 286/1998)";

RILEVATO che l’Amministrazione degli esteri ha pure opposto che l’ingresso sul territorio nazionale per motivi di lavoro autonomo avviene per quote stabilite con apposito DPCM, che, nel caso, è quello del 1° aprile 2010 il quale lo consente nei limiti del contingente solo ad "imprenditori che svolgono attività di interesse per l’economia italiana"; e considerato, quindi, che la valutazione dell’interesse per l’economia italiana è affidata alla Rappresentanza diplomatico consolare che, nel caso in specie, relativo ad una non meglio specificata attività di import export, non l’ha ritenuto sussistente;

OSSERVATO che l’Amministrazione ha ancora rappresentato che, dalla documentazione a corredo della richiesta di visto, emerge che la società di cui sarebbe titolare il ricorrente "S.H. Enterprises" non appartiene ad alcuna associazione di promozione dell’esportazione, non ha alcuna licenza di importazione (import registration), non fa parte di alcuna associazione di categoria, e soprattutto non ha importato o esportato beni per nessun valore, con la conseguenza che il ricorrente non può avere percepito reddito per l’attività che intenderebbe esercitare in Italia;

RILEVATO che dalle risultanze istruttorie appaiono non condivisibili né la censura di difetto di motivazione, osservandosi che comunque i provvedimenti di diniego di visto sono da ritenersi espressione di potestà vincolata dell’amministrazione, (TAR Lazio, sezione I quater, 10 marzo 2011, n. 2180), sicché non abbisognano di una particolare motivazione se non quella riguardante la discrasia della fattispecie reale da quella normativa; né quella relativa alla mancata comunicazione di avvio del procedimento, nella considerazione che oltre tutto alla stregua dell’art. 21 octies della legge 7 agosto 1990, n. 241 il giudice non può più adottare l’annullamento per vizi formali del provvedimento vincolato, laddove l’Amministrazione dimostri in giudizio che il suo contenuto dispositivo avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, mentre, per le superiori considerazioni tale prova appare abbondantemente raggiunta;

CONSIDERATO che, pertanto, il provvedimento va trovato scevro dalle dedotte censure e che, di conseguenza il ricorso va respinto;

CONSIDERATO che le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo;

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna il ricorrente H.S. al pagamento di Euro 750,00 per spese di giudizio ed onorari a favore del Ministero degli Affari Esteri.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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