Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 15-06-2011) 20-09-2011, n. 34359 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza 23.09.2010 il Tribunale di Palermo revocava la misura coercitiva degli arresti domiciliari imposta a C.V. quale indagato del reato di cui all’art. 81 cpv. c.p., art. 609 bis e ter c.p., u.c. per avere in più occasioni nell’arco di due anni, con la minaccia di cagionarle danni alla persona, costretto la minore Jessica Crescenti a subire atti sessuali consistiti in masturbazioni e tentativi di penetrazione anale.

Riteneva il tribunale che la natura equivoca degli elementi indiziari e la mancata acquisizione di taluni rilevanti atti d’indagine non rendevano sicura l’individuazione del C. quale autore del reato.

Dall’intercettata conversazione telefonica tra la zia della bambina ( A.V.) e la cognata, dal tenore equivoco e non riscontrata, non era possibile desumere chi avesse commesso il fatto stante che la donna aveva riferito un’intuizione del figlio, che nelle s.i.t. aveva dichiarato di non saper dire da chi avesse appreso la notizia, sicchè non era possibile risalire all’originaria fonte di conoscenza.

Aggiungeva il tribunale che la genuinità della notizia di reato era inficiata dal contesto ambientale degradato in cui versavano i protagonisti della vicenda; che non era stata sottoposta al suo esame la trascrizione delle dichiarazioni integrali della persona offesa e che non era stata effettuata la ricognizione dell’indagato da parte della minore.

Proponeva ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trapani denunciando insufficienza e mancanza di motivazione; errata applicazione della legge penale e processuale sull’esclusione dei gravi indizi di colpevolezza avendo le donne impegnate nella conversazione chiaramente indicato quale autore degli abusi C.V. che, nell’ambito del nucleo familiare, era l’unico soggetto cui esse potessero riferirsi tenendo conto delle dichiarazioni della persona offesa che aveva descritto il fatto in termini conciliabili con quelli risultanti dalla conversazione e che aveva parlato di V. grande che le era antipatico e che aveva fatto una vastasata, sicchè era irrilevante il mancato invio della trascrizione integrale delle dichiarazioni.

Chiedeva l’annullamento dell’ordinanza.

Il ricorso è inammissibile alla luce della giurisprudenza di questa Corte secondo cui il ricorso ha proposto avanti alla corte di cassazione a norma dell’art. 324 c.p.p. contro le ordinanze in tema di misure coercitive è ammesso per violazione di legge, espressione questa che indubbiamente comprende la trasgressione dell’obbligo di motivare le ordinanze, imposto dall’art. 125 c.p.p., comma 3 e da ritenere non soddisfatto solo dinanzi alla completa assenza di motivazione o alla motivazione così illogica da essere considerata inesistente Sezione 1 n. 2980/1994 Rv. 199317; Sezione 6 n. 7472/2009 RV. 242916: "in tema di riesame delle misure cautelari reali, nella nozione di violazione di legge par cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 325 c.p.p., comma 1, c.p.p., rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di una motivazione meramente apparente, in quanto correlate dall’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicità manifesta"; Sezione 5, n. 35532/2010 Rv. 248129: "in tema di riesame delle misure cautelari, il ricorso per cassazione per violazione di legge, a norma dell’art. 325 c.p.p., comma 1, può essere proposto solo per mancanza fisica della motivazione o per la presenza di motivazione apparente, ma non per mero vizio logico della stessa".

Tanto non dato riscontrare nel caso in esame perchè il giudice di merito ha esaminato gli elementi acquisiti e li ha valutati con congrue considerazioni logiche.

Quindi il controllo sulla motivazione demandato a questa corte di legittimità non può che dare atto della congruità e coerenza dell’apparato argomentativo con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo, mentre il ricorso sostanzialmente si risolve in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione ovvero nell’autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti.

Conseguentemente la sentenza impugnata è immune da censure avendo i giudici operato un’adeguata analisi de dati processuali con una valutazione complessiva degli elementi fattuali offerti alla loro attenzione del tutto coerente, con la conseguenza che ciò che il ricorrente richiede è, in sostanza, un’inammissibile rilettura del quadro indiziario.

La motivazione del provvedimento si fonda su fatti e circostanze concrete e ragionevolmente significative per negare consistenza all’ipotesi criminosa formulata nei confronti dell’indagato e consente, quindi, la ricostruzione dell’iter argomentativo attraverso cui il giudice è pervenuto alla decisione adottata basata sulla sopravvenuta acquisizione di elementi di prova che hanno sminuito l’iniziale attendibilità del fonte di prova sottoposta a rigorosa verifica oggettiva e soggettiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso del PM. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 giugno 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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