Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 09-06-2011) 20-09-2011, n. 34356 Poteri della Cassazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Catania confermava la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva condannato L.A. ad anni uno e mesi quattro di reclusione per il reato di calunnia.

Era stato contestato al L. di avere, con denuncia presentata ai carabinieri il (OMISSIS), asserito falsamente lo smarrimento di diversi assegni di conto corrente, tra i quali uno per lire due milioni da lui precedentemente negoziato a favore di B. S., legale rappresentante della società COFIM srl, così incolpando quest’ultimo, pur sapendolo innocente, dei reati di ricettazione e falso.

Secondo i giudici dell’appello, la denuncia era stata presentata per evitare il pagamento dell’assegno in questione. In tal senso, deponevano le seguenti emergenze processuali. Il titolo, recante la data di emissione del (OMISSIS), era stato consegnato dal L. – in sostituzione di altro titolo dello stesso importo a firma di F.N., collega del L. – già recante la sua sottoscrizione e riempito a favore del B., quale mezzo di pagamento per un servizio espositivo effettuato nei padiglioni della Fiera di (OMISSIS), all’epoca gestiti dalla COFIM, come documentato da una fattura di L. 4.760.000, emessa da quest’ultima società nel gennaio 1997 ed intestata alla soc. SIS, di cui era agente per (OMISSIS) il L..

L’assegno era stato presentato dalla COFIM all’incasso il (OMISSIS), il L. ne aveva denunciato lo smarrimento "in data imprecisata e in località imprecisata" insieme ad altri assegni tratti sul medesimo conto corrente, ma estratti da almeno 4 diversi carnet, dei quali aveva indicato minuziosamente numeri ed importi, compreso quello in questione di L. due milioni, del quale tuttavia non aveva specificato il beneficiario. Dopo 2 giorni dalla denuncia, il titolo veniva protestato perchè denunciato smarrito e privo di fondi.

Il L. non aveva risarcito il danno o comunque fornito spiegazioni alla COFIM in ordine all’accaduto, risultando piuttosto che questi all’epoca versasse in gravi difficoltà economiche.

A fronte di tali emergenze, la Corte di appello non riteneva credibile la tesi difensiva, secondo cui, per mero errore, era stato inserito nella denuncia l’assegno in questione e che lo stesso era stato consegnato dal L. non alla COFIM bensì alla SIS, senza indicare il beneficiario, avendo costui soltanto consegnato "in garanzia" alla COFIM un diverso assegno del medesimo importo per l’installazione di uno stand di prodotti di sua proprietà presso la Fiera di (OMISSIS).

2. Avverso la suddetta sentenza, ricorre per cassazione il difensore del L., per i seguenti motivi:

– la violazione di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in quanto la sentenza non avrebbe affrontato in modo corretto e completo i motivi di gravame, giungendo alla condanna dell’imputato, con motivazione illogica e contraddittoria. La Corte avrebbe travisato le osservazioni svolte dalla difesa in merito alla fattura emessa dalla COFIM e alla data di emissione dell’assegno per cui è processo, sostenendo che la difesa aveva dedotto che la data di emissione dell’assegno – frutto di errore – doveva correlarsi con il compenso che doveva versarsi dal L. per l’apprestamento di un bancone espositivo presso l’Ente Fiera di (OMISSIS), gestito dal C. e con la fattura emessa dalla COFIM il (OMISSIS), di cui nessuna prova era stata acquisita in ordine alla sua conoscenza da parte del L..

Sostiene il ricorrente che, quanto alla fattura, nell’appello se ne contestava la veridicità del contenuto e la sua stessa valenza probatoria, criticando la correlazione che il giudice di prime cure aveva posto tra l’emissione di tale fattura e la presentazione della denuncia di smarrimento degli otto assegni, correlazione che era, invece, a parere della difesa, da escludersi.

Nei motivi di appello si giungeva alla conclusione che l’indicazione, quale data di emissione dell’assegno, dell’anno (OMISSIS) fosse verosimilmente frutto di un errore esclusivamente sulla base delle deposizioni testimoniali di C.V., presidente della Fiera di (OMISSIS), e di B.S. – i quali avevano riferito di avere ricevuto l’assegno in questione in occasione della fiera allestita nel (OMISSIS) – e del dato obbiettivo dell’avvenuta presentazione del titolo all’incasso in data (OMISSIS). Non si menzionava affatto la fattura e men che mai si affermava che il L. dovesse versare un "compenso" per "l’apprestamento di un bancone espositivo".

La Corte d’Appello avrebbe inoltre totalmente omesso di prendere in esame e valutare le prove documentali prodotte dalla difesa nel corso del giudizio di primo grado, sebbene ciò fosse stato espressamente richiesto con i motivi di gravame. Tale documentazione dimostrava la buona fede dell’imputato all’atto della presentazione della denuncia ovvero che l’assegno rilasciato in garanzia ed incassato dal C. il (OMISSIS) sul conto della Promar fu l’unico assegno emesso dal L. nel (OMISSIS) a favore di costui. Tale documentazione – consistente nella fotocopia dell’assegno portato all’incasso da C., nella certificazione camerale della Promar, l’invito inviato dalla Promar nel (OMISSIS) a L. per partecipare alla Fiera di (OMISSIS) – era determinate in quanto era emerso in dibattimento che B. non conosceva L. e che l’unica persona della COFIM che aveva avuto rapporti con quest’ultimo era C., che l’unico rapporto lavorativo tra C. e L. fu quello in occasione della esposizione fieristica del (OMISSIS), che la SIS si occupava di gestire ed installare giochi gonfiabili, di proprietà di L., che quest’ultimo aveva consegnato a C. un solo assegno a sua firma a pagamento della partecipazione fieristica della SIS del (OMISSIS). Pertanto, risulterebbe provato che il L. è direttamente intervenuto nella vicenda solo come garante per l’assegno incassato, mentre l’assegno di cui al processo – nel quale la scritta COFIM non risulterebbe di suo pugno – sarebbe stato dato a sua insaputa alla COFIM, non per suo conto nè per suo interesse.

– la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, quanto alla ritenuta responsabilità dell’imputato. Il ricorrente evidenzia plurime contraddizioni ed illogicità nel discorso giustificativo: contraddittorio risulterebbe l’aver affermato prima che fu l’imputato a consegnare l’assegno in contestazione e poi che lo stesso fu consegnato dall’imputato o da altri nel suo interesse;

illogico sarebbe l’aver ritenuto probante della falsità della denuncia la sua genericità quanto alla data del preteso smarrimento, pur avendo indicato l’importo dell’assegno, poichè difficilmente chi presenta una falsa denuncia si premura di indicare l’importo;

contraddittorio ancora risulterebbe l’aver prima definito generica la denuncia e poi minuziosa quanto ai numeri e agli importi; contrario alla logica sarebbe l’aver ritenuto dimostrativo della falsità lo stretto arco di tempo intercorso tra la consegna del titolo, la presentazione all’incasso e la denuncia di smarrimento, posto che se il L. fosse stato consapevole che il titolo era in circolazione non avrebbe atteso per presentare la denuncia; errata ed immotivata risulterebbe l’affermazione secondo cui doveva ritenersi inverosimile che il L. abbia potuto smarrire degli assegni ancora in suo possesso, sebbene gli stessi fossero stati già compilati, alcuni anche con l’indicazione del beneficiario.

Prive di pregio infine sarebbero le riflessioni della Corte di appello riguardo al fatto che il L. non avrebbe mai fornito al beneficiario del titolo di credito oggetto di contestazione alcuna spiegazione su quello che sarebbe stato il disguido occorso nella consegna dello stesso e che neppure avrebbe risarcito il danno alla COFIM srl.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile, in quanto le doglianze mirano a proporre una alternativa lettura delle risultanze processuali esaminate e valutate dai giudici, inammissibile in sede di legittimità.

Infatti, il controllo di legittimità sulla motivazione non concerne nè la ricostruzione dei fatti nè l’apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile, cioè l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato e l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento.

Peraltro, l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente ("manifesta illogicità"), cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze.

In altri termini, l’illogicità della motivazione, deve risultare percepibile ictu oculi, in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali.

Inoltre, va precisato, che il vizio della "manifesta illogicità" della motivazione deve risultare dal testo del provvedimento impugnato, nel senso che il relativo apprezzamento va effettuato considerando che la sentenza deve essere logica "rispetto a se stessa", cioè rispetto agli atti processuali citati nella stessa ed alla conseguente valutazione effettuata dal giudice di merito, che si presta a censura soltanto se, appunto, manifestamente contrastante e incompatibile con i principi della logica.

I limiti del sindacato della Corte non sono mutati neppure a seguito della nuova formulazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), intervenuta a seguito della L. 20 febbraio 2006, n. 46, là dove si prevede che il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la motivazione della pronuncia sia "effettiva" e non meramente apparente, cioè realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; non sia "manifestamente illogica", in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; non sia internamente "contraddittoria", ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi del suo ricorso per Cassazione: cd. autosufficienza) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico.

Mette conto di sottolineare che la sussistenza di tale ultimo vizio ricorre soltanto quando l’errore disarticoli effettivamente l’intero ragionamento probatorio e renda illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio travisato, fermi restando il limite del devolutum in caso di cd.

"doppia conforme" e l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio. Ciò postula dunque la verifica di conformità delle rappresentazioni dell’elemento probatorio nella motivazione e, rispettivamente, nel relativo atto del processo, per evidenziarne l’eventuale, incontrovertibile e pacifica distorsione, in termini quasi di "fotografia", neutra e a-valutativa, del "significante", ma non anche del "significato", atteso il persistente divieto di rilettura e di reinterpretazione nel merito dell’elemento di prova.

Alla Corte di Cassazione, infatti, non è tuttora consentito di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti magari finalizzata, nella prospettiva del ricorrente, ad una ricostruzione dei medesimi in termini diversi da quelli fatti propri dal giudice del merito.

Così come non sembra affatto consentito che, attraverso il richiamo agli "atti del processo", possa esservi spazio per una rivalutazione dell’apprezzamento del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamento riservato in via esclusiva al giudice del merito.

2. Ciò premesso, deve osservarsi, quanto al primo motivo, che il ricorrente lamenta il travisamento da parte del giudice dell’appello della tesi difensiva, contenuta nei motivi di gravame, che avrebbe determinato una carenza di motivazione su una questione decisiva.

Orbene, a parere di questa Corte, le lamentate distorsioni – sempre che vi siano state – non hanno avuto alcun rilievo sulla rappresentazione delle deduzioni del ricorrente, in quanto i giudici di merito ne hanno riportato in sintesi correttamente il nucleo principale e cioè che all’atto della denuncia per errore era stato inserito il titolo in questione, che nessuna prova vi era che costui fosse a conoscenza della fattura rilasciata dalla COFIM, che l’unico assegno che costui aveva rilasciato al C. era altro titolo consegnato in garanzia nel (OMISSIS), che l’assegno di cui al processo non era stato dato dal L. alla COFIM, bensì alla società SIS alla quale era stato consegnato senza l’indicazione del beneficiario.

A queste censure formulate a carico della sentenza del primo giudice, che non contenevano tra l’altro elementi di novità rispetto a quelli già esaminati e disattesi dallo stesso, la Corte di appello ha fornito risposta, confermando le conclusioni della pronuncia di primo grado, ritenendo corretta la lettura delle emergenze processuali (sulla correttezza della motivazione per relationem in tal caso, cfr.

Sez. 4, n. 38824 del 17/09/2008, Raso, Rv. 241062). Il primo giudice aveva invero già esaminato la tesi difensiva e la documentazione prodotta dall’imputato a sostegno della stessa, ritenendola priva di fondatezza e rilevanza (pag. 2 e 3 della sentenza di primo grado).

La Corte ha puntualmente evidenziato che la versione dei fatti fornita dall’imputato risultava smentita dalle precise risultanze processuali dimostrative della sussistenza degli estremi del reato di calunnia contestato.

Risultava invero accertato che il titolo in questione era stato consegnato dal L. già compilato in ogni sua parte e che tale titolo era da porsi in correlazione ad un servizio espositivo effettuato nella Fiera di (OMISSIS) dalla SIS di cui il L. era agente di zona, servizio documentato da una fattura emessa dalla COFIM alla SIS in coincidenza con la negoziazione del titolo. A tal fine, dirimenti erano, secondo i giudici del merito, le collimanti dichiarazioni rese dai testi C. e B..

Ma ad escludere la buona fede del L. erano, secondo il Giudice dell’appello, in particolare le circostanze della mancanza di provvista sufficiente a coprire il titolo e dell’assenza di spiegazioni fornite al beneficiario dell’assegno o comunque di un risarcimento per il disguido occorso.

Gli elementi che il ricorrente sostiene essere stati obliterati dai giudici di merito non valgono certo a scardinare l’intero ragionamento probatorio e rendere illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio travisato (tra l’altro, è lo stesso ricorrente per primo a sostenere che la produzione documentale della difesa sia idonea al più a creare "ombre" e "dubbi non dissipati"). Infatti, la circostanza che vi fosse un altro assegno emesso dal L. a titolo di garanzia non ha carattere decisivo, posto che il ricorrente per superare il ragionamento probatorio dei giudici di merito è costretto ad opporre in questa sede una diversa valutazione delle emergenze processuali poste a carico dell’imputato. Così, si sostiene – tra l’altro senza riscontri probatori – che la dicitura COFIM sull’assegno in questione non sarebbe scritta di pugno dal L.; che l’assegno sarebbe stato consegnato alla COFIM all’insaputa di quest’ultimo (è "più probabile" – si sostiene – che sia stato R. che intratteneva rapporti con tale ditta); che il L. sarebbe entrato nell’operazione solo come garante per altro assegno. In definitiva, non siamo di fronte ad un dato storico semplice e non opinabile, che caratterizza il vizio di travisamento, ma ad una rivalutazione dell’intero complesso probatorio, che sconfina nel merito e che quindi rende la doglianza inammissibile.

3. Anche il secondo motivo non supera la soglia dell’ammissibilità, posto che denuncia vizi della motivazione che non rivestono le caratteristiche in premessa indicate.

Non è sufficiente infatti evidenziare all’interno della motivazione della sentenza mere incoerenze perchè la stessa sia affetta dal vizio che ne determina l’annullamento, bensì occorre che le ragioni logico-giuridiche attinenti ad uno stesso fatto o a un complesso di fatti, aventi influenza determinante per il thema decidendum, siano reciprocamente inammissibili, nel senso che si escludano o si rendano vicendevolmente inconciliabili.

Nel caso in esame, determinante per stabilire la responsabilità dell’imputato era la circostanza che l’assegno già compilato – e quindi destinato ad essere consegnato per un pagamento – era fuoriuscito dalla sfera di disponibilità del L., e non certo chi avesse materialmente consegnato il titolo al prenditore.

Nessuna contraddizione logica neppure sussiste in tesi nell’affermazione che la denuncia era al contempo generica e minuziosa, posto che è evidente ictu oculi che la genericità è riferita dai giudici del merito alle circostanze dello smarrimento, ritenute volutamente vaghe, rispetto invece alle specifiche indicazioni dei numeri e degli importi degli assegni smarriti.

Non migliore sorte hanno le dedotte illogicità, in quanto le stesse non evidenziano evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica nei punti essenziali della motivazione, quanto piuttosto mirano a sollecitare letture alternative, ritenute più adeguate, nella logica del ricorrente, di circostanza fattuali. Così, l’aver indicato nella denuncia l’importo dell’assegno non rende inverosimile affatto la falsità della stessa, posto che la scrittura era riconducibile facilmente al L. e avrebbe ancor più palesemente dimostrato la strumentalità del denunciato smarrimento del titolo.

Non è affatto contrario alla logica l’aver ritenuto dimostrativo della falsità lo "stretto arco di tempo intercorso" tra la consegna del titolo, la presentazione all’incasso e la denuncia di smarrimento, in quanto la conclusione logica che la Corte di merito ne trae è che doveva ritenersi inverosimile che il L. non ricordasse a chi l’avesse consegnato.

Sfocia nel merito la valutazione difensiva che se il L. fosse stato consapevole che il titolo era in circolazione non avrebbe atteso per presentare la denuncia, posto che la Corte ha rapportato la presentazione all’incasso del titolo all’emissione della fattura, e quindi ad eventi risalenti ad epoca prossima alla data della denuncia.

Nessuna illogicità è riscontrabile nell’aver ritenuto poco credibile la tesi difensiva dello smarrimento di un assegno già compilato, ma ancora in possesso del traente, posto che tutti gli altri titoli già parimenti compilati – è la stessa difesa a ricordarlo – erano fuoriusciti dalla sfera di disponibilità dell’imputato e consegnati a R..

Del tutto immotivata e generica è infine la dedotta illogicità della affermazione che il L. non avrebbe mai fornito al beneficiario del titolo di credito oggetto di contestazione alcuna spiegazione su quello che sarebbe stato il disguido occorso nella consegna dello stesso e che neppure avrebbe risarcito il danno alla COFIM. 4. Alla luce delle ragioni esposte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1,000.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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