Cass. civ. Sez. II, Sent., 27-01-2012, n. 1226 Garanzia per i vizi della cosa venduta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Prato, con sentenza del 24.01/26.03.2003, accoglieva l’opposizione che la s.r.l. Guarducci Massimo aveva proposto avverso il decreto ingiuntivo di pagamento (fondato su un’intercorsa vendita immobiliare), alla s.n.c. F.lli Paci, della somma di L. 99.950.324, oltre accessori, revocando il provvedimento monitorio e riducendo l’importo dovuto per il titolo dedotto (sulla scorta della ritenuta fondatezza dell’azione "quanti minoris") ad Euro 28.178,23; nel contempo, accoglieva la domanda riconvenzionale avanzata dall’opponente (relativa alla corresponsione del prezzo di un contratto di appalto intervenuto tra le parti e collegato alla vendita) e condannava la suddetta s.n.c. F.lli Paci al pagamento della somma di Euro 90.379,96, oltre interessi e rivalutazione monetaria dalla il domanda. Interposto appello da parte della medesima s.n.c. F.lli Paci, nella resistenza dell’appellata, la Corte di appello di Firenze, con sentenza n. 778 del 2005 (depositata il 20 maggio 2005), confermava la gravata sentenza e condannava l’appellante alla rifusione delle spese del grado.

A sostegno dell’adottata sentenza, la Corte territoriale attestava l’adeguatezza degli accertamenti svolti dal c.t.u. e la ritualità dello svolgimento delle relative operazioni, nonchè la congruità delle motivazioni che l’ausiliario aveva posto a fondamento del proprio elaborato, anche in ordine al riscontro ed alla valutazione dei vizi e difformità che afferivano all’immobile alienato ed alla conseguente determinazione del minor valore del medesimo bene.

Avverso la menzionata sentenza della Corte fiorentina (notificata il 27 ottobre 2005) ha proposto ricorso per cassazione la ditta F.lli Paci in liquidazione, basato su sette motivi, in relazione al quale ha resistito con controricorso la s.r.l. Guarducci Massimo.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo la ricorrente ha dedotto (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione agli artt. 112, 194, 195 e 156 c.p.c.) l’omessa pronuncia della Corte territoriale sulla nullità della c.t.u. svolta in primo grado ed oggetto di motivo di appello, fondata sul presupposto che il giudice di secondo grado non aveva tenuto conto delle eccezioni e delle contestazioni attinenti all’esecuzione delle operazioni dell’ausiliario giudiziale, avuto riguardo alla mancata redazione di stima analitica, alla valutazione generica dei vizi e dei difetti e all’apodittica determinazione del deprezzamento dell’immobile.

2. Con il secondo motivo (formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione agli artt. 112, 115, 195, 277 c.p.c., art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 161 c.p.c.) la ricorrente ha denunciato l’omessa pronuncia della Corte territoriale della revoca della sentenza di primo grado in quanto nulla per avere il Tribunale posto a fondamento della sua decisione una perizia nulla senza aver valutato le eccezioni di nullità della perizia da essa società sollevate nè le richieste di rinnovo della perizia stessa, essendosi limitata la Corte di appello ad affermare che il Tribunale aveva ritenuto di recepire integralmente le conclusioni della perizia.

3. Con il terzo motivo (prospettato in ordine all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione all’art. 132 c.p.c., n. 4, artt. 156, 161 e 195 c.p.c.) la ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per omessa o insufficiente motivazione su punti essenziali della decisione, relativi all’eccepita nullità della perizia ed alla eccepita nullità della sentenza.

4. Questi primi tre motivi – che possono essere esaminati congiuntamente perchè strettamente connessi – sono infondati e devono, pertanto, essere rigettati.

In primo luogo va rilevato che, per quanto evincibile dal contenuto dei motivi di appello riportati nella sentenza impugnata, le doglianze riguardanti l’assunta questione della nullità della c.t.u. e quella della nullità conseguente della sentenza di primo grado si prospettano come nuove e sono, perciò, da ritenersi inammissibili.

Con riferimento, invece, alla supposta omessa valutazione delle contestazioni e delle eccezioni relative allo svolgimento e alle conclusioni della c.t.u., rileva il collegio che la Corte di appello ha adeguatamente preso in considerazione le censure specificamente dedotte nell’interesse dell’appellante, concernenti l’inadeguatezza degli accertamenti eseguiti dal predetto ausiliario e delle derivanti conclusioni, il contenuto delle opere valutate dal c.t.u. facenti parte del capitolato dei lavori che l’alienante avrebbe dovuto eseguire in vista della vendita alla società controricorrente, e la valutazione della presenza dei vizi e delle difformità dell’immobile alienato.

A tal riguardo, perciò, la Corte fiorentina – con valutazione di merito adeguatamente motivata e, perciò, insindacabile in questa sede – ha dato sufficientemente conto della insussistenza, nell’espletamento della c.t.u., delle carenze relative alle necessarie cognizioni sullo stato dei luoghi e sui documenti attestanti le opere realizzate sull’immobile, evidenziando come la critica alla relazione peritale d’ufficio fosse stata solo genericamente avanzata con il gravame, senza che, peraltro, tale profilo sia stato idoneamente censurato con il formulato ricorso per cassazione, mediante il quale la ricorrente ha, piuttosto, lamentato l’inattendibilità delle conclusioni della c.t.u., condivise dalla sentenza di secondo grado in virtù di un percorso argomentativo logico e sufficiente. Con riferimento alle opere considerate dal c.t.u., la Corte territoriale ha ugualmente sottolineato come lo stesso c.t.u., contrariamente a quanto asserito dall’appellante, avesse offerto una esauriente e congrua giustificazione del suo convincimento in conseguenza dell’idoneo confronto tra la descrizione dei lavori nel conteggio predisposto dalla soc. F.lli Paci con il contenuto del capitolato, giungendo a conclusioni del tutto logiche e pertinenti. In ordine, infine, all’accertamento della presenza dei vizi e della difformità nell’immobile oggetto di alienazione, il giudice di appello ha congruamente argomentato nel senso che, indipendentemente dalle risultanze della prova testimoniale, il c.t.u. aveva accertato anche l’esistenza di ulteriori vizi sulla scorta di idonei, oggettivi e, perciò, maggiormente attendibili riscontri tecnici.

5. Con il quarto motivo (riferito all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la ricorrente ha dedotto l’erronea applicazione degli artt. 116 e 191 c.p.c., oltre che all’art. 1495 c.c., in merito alla portata delle risultanze delle prove orali ed alla validità della c.t.u..

5.1. Questo motivo è inammissibile perchè, per un verso, nel lamentare che la sentenza abbia disatteso l’eccezione che il c.t.u. aveva rilevato vizi non riferiti dai testimoni e non denunciati, la doglianza risulta priva del requisito dell’autosufficienza quanto al richiamo specifico delle deposizioni testimoniali ed all’omessa denuncia dei vizi accertati, e per altro verso, attinge una squisita valutazione di fatto nell’individuazione dei vizi o difetti denunciati, rimessa all’accertamento del giudice di merito che – come già evidenziato – risulta adeguatamente valutato sulla scorta delle complessive risultanze della c.t.u..

6. Con il quinto motivo (correlato all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione agli artt. 116, 191 c.p.c. e art. 1495 c.c.), ha prospettato l’erroneità della valutazione per insufficiente motivazione della validità della c.t.u. in rapporto alle prove assunte e alla loro portata, sull’assunto presupposto che la c.t.u. non avrebbe potuto supplire alla carenza di prova in ordine ai vizi denunciati e, in particolare, dimostrarsi idonea a fornire elementi di prova contratti alla risultanze testimoniali.

Il motivo è infondato perchè – secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (cfr, ad es., Cass. n. 27002 del 2005; Cass. n. 3990 del 2006 e, da ultimo, Cass. n. 6155 del 2009) – la consulenza tecnica di ufficio, non essendo qualificabile come mezzo di prova in senso proprio, perchè volta ad aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni necessitanti di specifiche conoscenze, è sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito, precisandosi, peraltro, che quest’ultimo può affidare al consulente non solo l’incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulente percipiente), ed in tal caso è necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l’accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche; in tal caso la c.t.u. viene a costituire essa stessa fonte oggettiva di prova.

7. Con il sesto motivo (riferito all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione agli artt. 1492, 1493 e 1223 c.c.) la ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per avere la Corte territoriale, sulla scorta di un’asserita insufficiente motivazione su un punto essenziale, ritenuto congruamente provato ed accertato il danno conseguente al degrado dell’edificio, così come valutato dal c.t.u..

In particolare, il ricorrente contesta l’incongruità del ragionamento del giudice di appello sul presupposto che la sentenza impugnata non avrebbe tenuto conto dell’eliminabilità dei difetti in sessanta giorni, dell’avvenuta utilizzazione del fabbricato e del riferimento operato dal c.t.u. al costo di costruzione e non a quello di mercato e senza un sicuro riferimento al costo all’epoca della vendita.

7.1. Anche questo motivo è destituito di fondamento poichè attiene – contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente – ad un aspetto oggetto di una valutazione adeguatamente e logicamente motivata dalla Corte territoriale. Quest’ultima, infatti, ha, al riguardo, congruamente richiamato le risultanze della c.t.u., secondo le quali – considerato che l’immobile non era stato costruito a regola d’arte (e che era pervaso da inconvenienti diffusi ed estesi) – i vizi ed i difetti riscontrati erano generalizzati a tutto l’edificio e la loro eliminazione sarebbe stata di difficile realizzazione e avrebbe comportato un notevole costo, senza trascurare la circostanza che taluni vizi e difetti non sarebbero stati eliminabili; a tal proposito, perciò, nella sentenza impugnata, viene tenuto conto anche della riduzione del parametro del 35% del costo di costruzione al 23,33%, con riferimento al prezzo di vendita di L. 750.000.000. 8. Con il settimo ed ultimo motivo (dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione all’art. 1492 c.c.), la ricorrente ha denunciato l’erroneità della sentenza impugnata per avere la Corte di appello dichiarato, con omessa od insufficiente motivazione su un punto essenziale della controversia, che non sussistevano dubbi circa la natura dell’azione promossa dalla ditta Guarducci, pur avendo ritenuto congruo il prezzo di vendita e riconosciuto un risarcimento danni da minor valore dell’immobile scomputato sui lavori extracapitolato.

8.1. Anche quest’ultima doglianza è priva di pregio. La Corte territoriale ha dato atto, sulla scorta di una corretta interpretazione dell’oggetto del titolo della domanda dedotta in giudizio, che la s.r.l. Guarducci Massimo aveva inteso esercitare un’azione "quanti minoris", considerando, altresì, nella sentenza impugnata, sulla scorta di una motivazione altrettanto logica e sufficientemente giustificata sul piano argomentativo, che era condivisibile la pronuncia di primo grado con la quale era stata operata una riduzione del prezzo di vendita in relazione ai vizi del bene compravenduto, mentre il residuo prezzo dell’appalto era stato ridotto per comprensione in esso di corrispettivo di opere già previste nel contratto di vendita, per errori di conteggio e per maggiorazioni di prezzi.

9. In definitiva, alla stregua delle complessive ragioni esposte, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la conseguente condanna della soccombente ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

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