Cass. civ. Sez. II, Sent., 27-01-2012, n. 1222 Costituzione delle servitù per usucapione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Con citazione del 19/12/1991 D.M.A. conveniva in giudizio C.L. e ne chiedeva la condanna alla rimozione di una tettoia che provocava infiltrazioni di acqua o l’adozione di accorgimenti necessari per evitare le infiltrazioni oltre al risarcimento dei danni.

Assumeva, in fatto, che il C. aveva appoggiato a ridosso del muro comune posto sul confine delle due proprietà, una tettoia utilizzata per il deposito di materiali di risulta della molitura delle olive, ma in occasione delle piogge l’acqua piovana, mescolata al materiale di risulta depositato a ridosso del muro provocava infiltrazioni di umidità nell’abitazione di esso attore.

Il C., costituendosi, assumeva che la tettoia non appoggiava sul muro di confine, ma su una trave all’interno del proprio terreno, era munita di grondai che garantiva il corretto deflusso delle acque, l’infiltrazione era dovuta a mancanza di accorgimenti volti a impedire la risalita dell’acqua per capillarità e che la tettoia era stata ivi posizionata da oltre venti anni così che aveva usucapito la servitù di stillicidio e, in via riconvenzionale, chiedeva la declatatoria di usucapione della servitù.

Il Tribunale di Lecce, dopo espletamento di CTU, con sentenza del 28/1/2003 rigettava la domanda principale e accoglieva la domanda riconvenzionale del C. dichiarando acquisita per usucapione la servitù di scarico delle acque piovane e stillicidio.

Il D.M. proponeva appello al quale resisteva il C..

La Corte di Appello di Lecce con sentenza del 6/12/2005 dichiarava il diritto del C., per maturata usucapione, a conservare la tettoia, ma lo condannava ad eseguire le opere di risanamento descritte dal CTU per evitare le accertate infiltrazioni di umidità nell’abitazione del D.M., provocate dalla distanza illegittima della tettoia(che, non essendo in appoggio avrebbe dovuto essere posta alla distanza di tre metri: v. pag. 6 della sentenza di appello) e dal suo cattivo stato di conservazione, per effetto delle quali l’acqua ricadeva nell’intercapedine (sul terreno di proprietà del C.) di un centimetro esistente tra il muro di confine e la tettoia determinando un ristagno di acqua e la sua successiva risalita, per capillarità, sul muro di confine.

C.L. propone ricorso per cassazione fondato su tre motivi e deposita memoria in replica al controricorso.

Resiste con controricorso D.M.A. e deposita memoria.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo così testualmente formulato "violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c." il ricorrente assume che il D.M. avrebbe dedotto danni derivanti non dall’acqua piovana, ma da materiali di risulta della lavorazione delle olive che, depositati sul muro di confine, mescolandosi con l’acqua piovana, provocavano infiltrazioni di umidità. La Corte di Appello, invece, avrebbe considerato irrilevante l’utilizzo del deposito e non pertinente il richiamo alla norma ( art. 890 c.c.) sulle distanze delle fabbriche e dei depositi nocivi così modificando il presupposto di fatto della domanda.

2. Il motivo è del tutto destituito di fondamento: nell’atto di appello, così come nell’atto di citazione, (come risulta anche dalla sentenza appellata) il D.M. aveva lamentato danni derivanti da infiltrazioni di umidità provenienti dal fondo del vicino e collegate all’esistenza di una tettoia posta a distanza illegale e in pessimo stato di conservazione, che fungeva da deposito di materiale di risulta della lavorazione delle olive che si mescolava all’acqua piovana; sulla base di tali fatti aveva richiesto la rimozione della tettoia o l’adozione degli accorgimenti necessari per evitare le infiltrazioni, oltre al risarcimento del danno.

La Corte territoriale ha accertato che la tettoia era posta a distanza illegittima, che era in pessimo stato di conservazione e che per effetto di tale situazione si verificavano, a causa delle piogge, infiltrazioni di umidità, essendo invece irrilevante che la tettoia fosse stata in precedenza usata come deposito della sansa residuata dalla lavorazione delle olive.

Pertanto nessun vizio di extrapetizione è individuabile e non rileva il richiamo a norme non applicabili alla fattispecie o ad ulteriori elementi fattuali (il deposito di materiali di risulta della lavorazione delle oliva) non rilevanti: il giudice, sulla base dei fatti dedotti e ritenuti rilevanti, può decidere applicando le norme pertinenti in relazione alle domande formulate e ai fatti esposti (che non sono stati modificati) e non è stato modificato nè il petitum nè la causa petendi.

3. Con il secondo motivo così testualmente formulato "omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio" il ricorrente assume che il giudice di appello con motivazione contraddittoria avrebbe bensì riconosciuto il suo diritto a conservare la tettoia alla distanza di un centimetro dal muro di confine di proprietà del D.M., ma, poi, contraddicendosi, avrebbe imposto di azzerare la distanza obbligandolo alla realizzazione di un giunto tra un travetto in ferro della tettoia e la muratura; inoltre, secondo il ricorrente, la Corte di Appello non avrebbe considerato che il consulente avrebbe riconosciuto a carico di entrambi i contendenti gli interventi necessari per rimediare alle condizioni di giuntura tra i due muri e che la condizione di non corretta aerazione dei muri era imputabile anche al D.M.; queste conclusioni avrebbero dovuto essere tenute in considerazione nella liquidazione dei danni.

5. Anche questo motivo è del tutto privo di fondamento in quanto l’accorgimento indicato dal CTU e recepito dal giudice di appello non è diretto a modificare il posizionamento della tettoia, nè a modificarne la sua autonomia statica, ma semplicemente a colmare le intercapedini attraverso le quali si verificano le infiltrazioni e, quindi, nessuna contraddizione è ravvisabile tra le due statuizioni;

la circostanza che infiltrazioni di umidità si verificassero anche in diverse parti dell’immobile (non pregiudicate dalla tettoia) non costituiva oggetto di giudizio.

Quanto ai costi degli interventi riparatori secondo quanto ritenuto dal consulente, il motivo è inammissibile perchè privo di autosufficienza non essendo riportato il contenuto della consulenza nella parte relativa alla ripartizione dei costi e parimenti inammissibile è l’ulteriore motivo attinente alla responsabilità concorrente del D.M. non risultando che tale profilo sia stato trattato nel giudizio di merito.

6. Con il terzo motivo così formulato "omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio" il ricorrente assume che il giudice di appello non avrebbe considerato che esso deducente faceva ricadere le acque sul proprio terreno e aveva predisposto una canalizzazione vero la strada pubblica così uniformandosi a quanto disposto dall’art. 908 c.c.;

l’infiltrazione non sarebbe, quindi, riconducibile alla tettoia, ma alle piogge, mentre la tettoia consentirebbe di limitare la caduta convogliandone la maggior parte nella strada pubblica; se invece la tettoia convogliasse le acque sul muro del vicino, ciò accadrebbe per effetto dell’usucapione della servitù di stillicidio o di scolo delle acque.

7. Il motivo è inammissibile perchè pone questioni di merito (la canalizzazione delle acque provenienti dalla tettoia) e di diritto (la servitù di scolo delle acque) che non risultano oggetto di trattazione nelle fasi di merito e comunque è inammissibile perchè non attinge la ratio decidendi della sentenza impugnata: il giudice di appello ha ravvisato responsabilità per effetto del convogliamento dell’acqua piovana non già nel muro del vicino (così escludendo espressamente la servitù di stillicidio), ma nella zona di confine con la proprietà del vicino; egualmente, con riferimento al preteso diritto di far ricadere le acque nel proprio fondo, il ricorrente, non coglie la ratio decidendi che ravvisa la sua responsabilità non nel fatto che dalla tettoia defluiscano acque nel fondo dello stesso proprietario della tettoia, ma nel fatto che da tale deflusso, derivante da una tettoia troppo ravvicinata (in quanto stata realizzata ad una distanza illegale, inferiore ai tre metri) provochi un danno al fondo del vicino; nè a conclusione diversa potrebbe giungersi anche in caso di riconoscimento di una servitù, perchè il suo titolare deve impedire che dal suo esercizio derivi un pregiudizio diverso e maggiore di quello necessario all’uso della servitù e, in particolare, che da tale esercizio derivi un danno al fondo servente eccedente rispetto a quello strettamente necessario per il soddisfacimento del fondo dominante.

8. In conclusione il ricorso deve essere rigettato con la condanna del ricorrente alle spese di questo giudizio di Cassazione liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare a D. M.A. le spese di questo giudizio di Cassazione che liquida in complessivi Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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