Cass. civ. Sez. II, Sent., 27-01-2012, n. 1221 Azioni a difesa della servitu’ confessorie

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

C.D., da un lato, e R.C. e M.M., dall’altro, pretendendosi titolari di distinte servitù di passo (e, quanto alla prima, anche di parcheggio) sul medesimo fondo servente di proprietà di V.B.P., posto in (OMISSIS), proponevano contrapposte domande di accertamento sul punto. Il Tribunale di Como, integrato il contraddittorio nei confronti del predetto proprietario del comune fondo servente, il quale rimaneva contumace, accoglieva la domanda dei R. – M. e rigettava quella della C..

Tale sentenza era ribaltata dalla Corte d’appello di Milano, la quale dall’interpretazione del titolo contrattuale posto a base della pretesa dei R. – M. ricavava che la servitù sul medesimo fondo servente, catastalmente individuato dalla particella n. 1623 sub. a), era stata prevista solo qualora il passaggio attraverso altro fondo, quello distinto dalla particella n. 725, fosse stato chiuso, impedito o altrimenti ostacolato. Pertanto, osservava la Corte territoriale, per far valere il loro diritto di servitù sulla particella n. 1623 e la priorità della sua costituzione rispetto a quello vantato dalla C., i R. – M. avrebbero dovuto dimostrare, secondo il criterio generale di riparto dell’onere della prova, il verificarsi delle condizioni previste nell’atto di provenienza, prova non acquisibile mediante il generico capitolo dedotto nella comparsa di risposta in appello, nè acquisita all’esito dell’espletata c.t.u., posto che gli impedimenti e gli ostacoli ivi descritti riguardavano la manutenzione del mappale 725. In particolare, la fitta vegetazione e le piante d’alto fusto che rendevano difficoltoso il passaggio e la visibilità di tale accesso carraio sulla strada provinciale, non rappresentavano ostacoli incidenti sul fondo servente, nè potevano compromettere la natura del diritto reale in quanto tale e secondo le previsioni dell’atto costitutivo; così come non rappresentava un ostacolo nel senso della convenzione costitutiva del diritto l’aumento della densità del traffico veicolare sulla strada provinciale, in quanto la pericolosità della manovra d’immissione nel flusso della circolazione dipendeva comunque dalla prudenza del guidatore e non da mutamenti incidenti sulla natura intrinseca del diritto.

Per la cassazione di tale sentenza ricorrono R.C. e M.M., formulando quattro motivi d’impugnazione illustrati da memoria.

Resiste con controricorso C.D., che pure ha depositato memoria.

V.B.P. non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione e la falsa applicazione della L. n. 353 del 1990, art. 90, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, e la conseguente nullità del procedimento, in quanto il giudizio, pendente in primo grado alla data di entrata in vigore della ridetta legge (l’atto di citazione era stata notificato dalla C. ai R. – M. il 6.4.1994), in d’appello avrebbe dovuto seguire il rito previgente, mentre esso è stato trattato e definito mediante l’applicazione della normativa prevista dalla nuova legge, che contempla preclusioni assertive e istruttorie ignote alla disciplina processuale anteriore alla riforma.

2. – Con il secondo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 82 e 115 disp. att. c.p.c., nonchè degli artt. 101, 190, e 352 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, con conseguente nullità del procedimento e della sentenza. Si deduce che l’udienza di precisazione delle conclusioni sia stata anticipata (a seguito dell’assegnazione alla prima sezione civile della Corte d’appello di Milano di questa come di altre cause, precedentemente incardinate innanzi alla seconda sezione della medesima Corte) al 12.4.2005, con decreto reso fuori udienza e non comunicato al difensore degli appellati, odierni ricorrenti. Ciò non ha consentito a detto difensore nè di partecipare all’udienza di precisazione delle conclusioni, nella quale essi avrebbero potuto sollevare eccezioni ancora consentite secondo le norme processuali previgenti (inclusa l’eccezione di usucapione del diritto di servitù in contesa), nè di redigere gli scritti defensionali conclusivi, replicando a quelli della controparte. Il tutto con evidente violazione del principio del contraddittorio.

3. – Il terzo motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., nonchè degli artt. 1362, 1366 e 1371 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 (rectius, 5), inerente all’interpretazione della clausola contrattuale relativa alla costituzione della servitù sul mappale 1623 sub. a) in favore del fondo oggi di proprietà dei ricorrenti. Questi ultimi, riprodotto il contesto letterale della clausola, sostengono che questa sia priva di formulazioni oscure o ambigue, e tale da far intendere che le parti vollero ricomprendere l’eventualità che la chiusura, l’impedimento o l’ostacolo all’esercizio della servitù di passaggio sul mapp. 725 potessero derivare, oltre che da circostanze esterne ai contraenti, anche da situazioni nella disponibilità del concedente la servitù, mentre l’espressione "per qualsiasi motivo" è indicativa della volontà delle parti di non porre limitazioni al riguardo. Tale formulazioni depone nel senso che il fondo dominante possa alternativamente fruire dell’uno o dell’altro passaggio a seconda della disponibilità di quello principale, sicchè non vi è alcun elemento che circoscriva il passaggio tramite il mapp. 1623 sub. a) alla sola ipotesi che la strada sul mapp. 725 sia impedita in modo definitivo e irreversibile.

4. – Con il quarto motivo è, ancora, dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., nonchè degli artt. 1362, 1366 e 1371 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 (rectius, 5). La Corte d’appello, si sostiene, dopo aver rilevato che l’espressione, contenuta nella ridetta clausola, secondo cui il passaggio sul mapp. 1623 sub. a) sarebbe stato esercitabile solo nel caso in cui il passo sul mapp. 725 fosse stato chiuso, impedito od ostacolato per qualunque motivo, non potrebbe che riferirsi a un’obiettiva compromissione della servitù gravante su quest’ultima particella, causata da agenti esterni rispetto ai titolari del diritto, ha contraddittoriamente negato il verificarsi di tale condizione, che invece doveva essere il portato naturale dell’accertamento tecnico compiuto nel giudizio di primo grado. Al riguardo, il c.t.u. ha accertato, infatti, che il piccolo passaggio carraio (s’intende, quello sul mapp. 725: n.d.r.) è da ritenersi pericoloso in quanto privo della necessaria visibilità, perchè avviene con il veicolo fermo, in curva, con scarsissima visuale per la presenza sul lato sinistro di piante d’alto fusto e con immissione in una strada provinciale ad alta densità di traffico veicolare. La Corte d’appello, sostiene parte ricorrente, nell’andare in diverso avviso o ha frainteso il significato delle affermazioni del c.t.u., o ha deciso senza motivare adeguatamente il dissenso rispetto all’opinione espressa dall’ausiliario, nell’un caso come nell’altro pervenendo ad una conclusione che travisa il dato emergente dalla consulenza tecnica.

5. – Il primo motivo è infondato.

Esso si pone in contraddizione frontale con due consolidati e tra loro coerenti e interattivi indirizzi di questa Corte, rispetto ai quali la censura non offre alcuno spunto di ripensamento.

Il primo è dato da ciò, che dai principi di economia processuale, di ragionevole durata del processo e di interesse ad agire si desume la regola per cui la denunzia di vizi dell’attività del giudice che comportino la nullità della sentenza o del procedimento, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, non tutela l’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce soltanto l’eliminazione del pregiudizio del diritto di difesa concretamente subito dalla parte che denuncia il vizio, con la conseguenza che l’annullamento della sentenza impugnata si rende necessario solo allorchè nel successivo giudizio di rinvio il ricorrente possa ottenere una pronuncia diversa e più favorevole rispetto a quella cassata (Cass. nn. 3024/11 e 4340/10; nello stesso senso, cfr. Cass. nn. 6686/10, 4435/08 e 16630/07).

Il secondo afferma che lo svolgimento del giudizio secondo forme o rito diversi da quelli suoi propri non costituisce motivo di nullità e, come tale, non può fondare l’impugnazione, a meno che tale distonia abbia inciso sulla competenza, sul contraddittorio, sui diritti della difesa o sul regime delle prove, restando a carico del ricorrente l’indicazione dello specifico pregiudizio che gli sarebbe derivato dalla mancata adozione del rito effettivamente applicabile (cfr. fra le tante, Cass. nn. 10286/09, 11903/08, S.U. 25034/06, 14376/05,10341/05 e 13751/03).

5.1. – Nel caso in esame, parte ricorrente rinvia in maniera del tutto generica al diverso regime di preclusioni operante nel processo ante e post novella ex lege n. 353 del 1990, senza tuttavia chiarire in qual modo e in qual caso la trattazione dell’appello con le forme vigenti invece di quelle anteriori applicabili ratione temporis avrebbe operato a suo effettivo e specifico danno.

6. – E’ fondato, invece, il secondo motivo.

La giurisprudenza di questa Corte afferma che in tema di notificazioni e comunicazioni nel corso del procedimento, ove il difensore trasferisca lo studio professionale, presso cui la parte abbia eletto domicilio, ai sensi dell’art. 170 c.p.c., ad indirizzo diverso da quello risultante dagli atti del processo, egli ha l’onere di comunicare alla cancelleria del giudice adito, con mezzi idonei e tempestivi, la relativa variazione, per conferire ad essa rilevanza giuridica ai fini delle comunicazioni e/o delle notificazioni di pertinenza della cancelleria medesima; in mancanza, tali comunicazioni e/o notificazioni possono eseguirsi e perfezionarsi nel luogo risultante dagli atti del processo, senza che la cancelleria del giudice adito sia previamente tenuta ad accertare se, medio tempore, siano eventualmente intervenuti mutamenti di indirizzo, non essendo l’assolvimento del suddetto onere di comunicazione incombente sul difensore – di estrema semplicità e rispondente anche a comuni canoni di prudenza – idoneo a pregiudicare l’esercizio del diritto di difesa (Cass. nn. 5079/10 e Cass. n. 5556/04).

Tale indirizzo trae dichiaratamente spunto, a sua volta, da altri precedenti relativi all’analoga problematica delle notificazioni di cui all’art. 375 c.p.c., comma 3, e delle comunicazioni di cui al successivo art. 377 c.p.c., comma 2, che vanno effettuate presso la cancelleria della Corte di Cassazione, in applicazione di quanto l’art. 366 c.p.c., comma 2, stabilisce per il caso di mancata elezione di domicilio, ove il domiciliatario abbia trasferito altrove il proprio studio professionale, senza comunicare alla cancelleria della S.C. il nuovo domicilio. Ciò in quanto la norma da ultimo citata configura l’elezione di domicilio come una dichiarazione indirizzata ai soggetti che a diverso titolo operano nel giudizio di cassazione (controparte, giudice, ausiliari), con la conseguenza che un trasferimento del luogo della domiciliazione, per acquisire rilievo come nuova elezione di domicilio, esige anch’esso una specifica dichiarazione indirizzata e comunicata alla cancelleria della Corte di Cassazione (cfr. fra le tante, Cass. n. 7309/02, S.U. n. 92/99, n. 4813/98, S.U. n. 739/88 e 683/95).

Ciò posto, affinchè la comunicazione o notificazione possa non solo eseguirsi, ma soprattutto "perfezionarsi nel luogo risultante dagli atti del processo", occorre, però, che l’atto sia stato effettivamente ricevuto da persona addetta, che ne abbia comunque accettato la consegna, perchè solo in tal caso, permanendo una relazione funzionale tra il ricevente e il difensore destinatario, può operare la presunzione di conoscenza dell’atto da parte di quest’ultimo (cfr. la fattispecie concreta oggetto di Cass. n. 5556/04).

6.1. – Nel caso di specie, dall’esame del fascicolo di secondo grado (cui questa Corte ha accesso per l’accertamento del fatto processuale) risulta che l’udienza di precisazione delle conclusioni, inizialmente fissata per il giorno 7.2.2006, fu anticipata al 12.4.2005 con decreto in data 12.2.2004 del Presidente della sezione della Corte d’appello di Milano cui era stata assegnata la causa, e in tale ultima data l’udienza fu effettivamente tenuta, comparso il solo procuratore di C.D., in allora appellante (che fu poi il solo a redigere gli scritti difensivi conclusionali). Dalla relata dell’ufficiale giudiziario, incaricato della comunicazione, risulta, però, che il suddetto decreto di anticipazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni non fu notificato al difensore degli appellati, in quanto "trasferito altrove, come da informazioni in loco". Dunque, l’atto non fu ricevuto nè dal difensore, nè da altri che ne avesse accettato la consegna, nè successivamente la cancelleria della Corte d’appello effettuò nuovi tentativi di notifica (neppure presso la cancelleria stessa), sicchè, in definitiva, la copia del suddetto decreto destinata al difensore della parte appellata non fu consegnata ad alcun soggetto.

Tale omissione determina ex se una compromissione del diritto di difesa, consistita nel non aver il difensore degli appellati partecipato all’udienza e redatto comparsa conclusionale e memoria di replica.

Consegue la nullità derivata, ex art. 159 c.p.c., della sentenza impugnata.

7. – Accolto il motivo anzi detto, resta assorbito l’esame delle restanti censure, che involgono i capi della decisione di merito.

8. – Sulla base delle considerazioni svolte, la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso, respinto il primo e assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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