Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 20-07-2011) 21-09-2011, n. 34402 Abuso di ufficio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

1. – Con la decisione in epigrafe indicata la Corte d’appello di Palermo ha confermato la sentenza del 1 luglio 2008, appellata dall’imputato, con cui il G.u.p. del Tribunale di quella città, in sede di giudizio abbreviato, aveva riconosciuto la responsabilità di S.C. per il reato di cui all’art. 328 c.p., comma 1, condannandolo ad un anno di reclusione.

L’imputato, medico di turno sull’autoambulanza del servizio 118, si sarebbe rifiutato di compiere un atto del proprio servizio, consistente nel trasportare in un’idonea struttura sanitaria il paziente L.M.G., ricoverato presso la comunità terapeutica assistita dell’ospedale A.E.. Dalla sentenza si apprende che, sebbene il paziente avesse perso conoscenza e non rispondesse agli stimoli di sollecitazione esterna a seguito di uno stato febbrile acuto, l’imputato non ottemperava alle reiterate richieste di trasporto urgente avanzate dal medico di turno della comunità terapeutica, R.S., e dall’infermiere, C. P., i quali si vedevano costretti a fare intervenire un’autoambulanza dal più lontano ospedale (OMISSIS). Secondo la Corte d’appello l’imputato avrebbe dovuto attivarsi e apprestare il ricovero presso una più idonea struttura, indipendentemente dalla irregolarità della richiesta di intervento, non filtrata dalla centrale operativa del servizio 118, presso cui svolgeva servizio, ma formulata direttamente da un altro sanitario.

2. – Nell’interesse dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione il suo difensore di fiducia.

Con il primo articolato motivo deduce l’erronea applicazione dell’art. 328 c.p., comma 1 e il connesso vizio di motivazione nella parte in cui si sostiene che il rifiuto opposto da S. sia stato indebito, cioè del tutto ingiustificato. Al contrario il ricorrente assume che le linee guida relative al servizio 118 dimostrano la legittimità del rifiuto, in quanto prevedono che il medico di turno non possa allontanarsi arbitrariamente dalla sua postazione senza una specifica segnalazione ricevuta dalla centrale operativa. In altri termini, si sostiene che spetta solo alla centrale operativa disporre gli interventi di soccorso, proprio al fine di evitare iniziative personali del medico addetto e non coordinate, in grado di compromettere la funzionalità del servizio pubblico finalizzato a far fronte alle sole urgenze ed emergenze.

Peraltro, la sentenza non avrebbe tenuto in debito conto quanto riportato dalla disposizione di servizio del 26 luglio 2002, secondo cui il servizio 118 non è a disposizione dei presidi ospedalieri e non può effettuare trasporti di pazienti da un ospedale ad un altro, trasporti che sono di competenza della struttura ospedaliera che li ha in cura.

Sotto un altro profilo il ricorrente rileva che nella fattispecie è mancata ogni valutazione e ogni prova circa la sussistenza dell’urgenza, tale da imporre all’imputato di attivarsi senza ritardo per il trasporto del paziente in un’altra struttura pubblica, dovendosi considerare che quest’ultimo si trovava ricoverato in una struttura ospedaliera, dotata di adeguati reparti e servizi in grado di apprestare una efficace terapia.

Infine, viene evidenziato il difetto di dolo, in quanto era convinzione dell’imputato di non potere agire di propria iniziativa.

Con un secondo motivo si lamenta, sotto il profilo del vizio di motivazione e della violazione di legge, la mancata applicazione delle attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena nonostante l’incensuratezza dell’imputato e il corretto comportamento processuale; inoltre, si deduce la mancanza di motivazione circa le ragioni per cui non si è applicata la pena nella misura minima.

Motivi della decisione

3. – Il primo motivo è infondato, sotto tutti i diversi profili dedotti.

3.1. – Nel caso in esame vi è stata una richiesta di intervento urgente rivolta da un medico di un ospedale all’imputato, che in quel momento svolgeva il servizio di medico del 118 e si trovava presso lo stesso nosocomio, rappresentando a questi una situazione di estrema gravità del paziente che necessitava di un ricovero urgente in altra struttura adeguata al caso; dinanzi a tale richiesta l’imputato ha opposto il proprio rifiuto, sostenendo che avrebbe potuto effettuare il trasporto solo a seguito di autorizzazione proveniente dalla centrale operativa sulla linea telefonica del 118.

Secondo la difesa il comportamento dell’imputato sarebbe stato legittimo e giustificato in base alle linee guida del servizio 118 e alle disposizioni di servizio, che riconoscono alla centrale operativa del 118 il compito di disporre gli interventi di soccorso.

La tesi non è accoglibile.

Come correttamente esposto nella sentenza impugnata, l’organizzazione del servizio del 118 prevede che sia la centrale operativa a coordinare gli interventi nell’ambito territoriale di competenza, attraverso il sistema di radiocomunicazione; tuttavia al medico in servizio sull’autoambulanza è comunque riconosciuto uno spazio di valutazione, di azione e di discrezionalità, funzionale a fronteggiare in maniera adeguata le diverse situazioni di emergenza.

Nell’ambito di tale spazio di discrezionalità rientra la scelta circa la necessità non solo di assicurare l’immediata visita medica in presenza di una situazione di un grave stato di sofferenza del paziente, ma anche quella di approntare i mezzi necessari per la migliore e più sollecita cura, compresa, quindi, la scelta, in caso di urgenza, di trasportare il malato presso una struttura sanitaria che sia in grado di assicurare tale cura, anche attraverso le necessarie indagini strumentali e specialistiche.

Nel caso in questione l’imputato ha opposto un rifiuto formalistico, richiamando il modello operativo standard del servizio 118, senza considerare che lo stesso servizio prevede che per i pazienti ad alto grado di criticità è il medico addetto all’emergenza territoriale ad operare la scelta dell’ospedale di destinazione, in questo modo riconoscendo un’autonomia di azione a tali soggetti e prescindendo da ogni autorizzazione o contatto preventivo con la centrale operativa (atto d’intesa tra Ministero della sanità e Regioni dell’I 1.4.1996).

La giurisprudenza di questa Corte in più occasioni ha ribadito come integrino il reato previsto dall’art. 328 c.p., comma 1 le omissioni di ricovero caratterizzate dal requisito dell’indifferibilità, quelle cioè in cui l’urgenza del ricovero sia effettiva e reale per l’esistente pericolo di conseguenze dannose alla salute della persona; nel caso in esame tale indifferibilità è stata rappresentata all’imputato da un medico (la dott.ssa R.) che aveva in cura il paziente, sicchè da parte dello S. non vi era alcuna possibilità di sindacare la situazione rappresentatagli, per cui era obbligato, per i suoi compiti di istituto, a intervenire quale medico addetto all’emergenza territoriale.

Non può essere messo in dubbio che l’atto richiesto al medico di turno addetto al servizio 118, informato da un collega sulla patologia riscontrata sul paziente, rivesta i caratteri dell’urgenza, sicchè il richiamo alle competenze di cui al modello organizzativo del servizio 118 non legittima il rifiuto opposto. L’imputato aveva il dovere di intervenire con tempestività, eventualmente verificando personalmente la situazione del malato, per rendere il più prontamente possibili le indagini strumentali e le conseguenti cure necessarie.

In sostanza, deve ribadirsi il principio, correttamente affermato dai giudici di appello, secondo cui in tema di rifiuto di atti di ufficio il medico di guardia sull’autoambulanza del servizio 118 è tenuto ad effettuare tutti gli interventi richiesti qualora sia posto al corrente, da parte di personale sanitario, di una grave sintomatologia del paziente, avendo l’obbligo di attivarsi con urgenza.

3.2. – Riguardo alla sussistenza del dolo non possono che condividersi le valutazioni contenute nella sentenza impugnata, che ha evidenziato l’intensità del dolo caratterizzante la condotta dell’imputato, il quale nonostante le sollecitazioni e le richieste della dott.ssa R. non solo si è rifiutato di parlarci, ma non si è neppure recato ad accertare le condizioni di salute del paziente, nè si è messo in contatto con la centrale operativa che, secondo la sua tesi, avrebbe potuto autorizzare l’intervento.

4. – Del tutto infondato è il secondo motivo, in quanto la mancata applicazione delle attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena, così come lo stesso trattamento sanzionatorio, sono stati giustificati in rapporto alla gravità del fatto contestato, con una motivazione che non appare illogica.

5. – In conclusione, l’infondatezza dei motivi proposti determina il rigetto del ricorso, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 20 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2011

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