Cass. civ. Sez. II, Sent., 27-01-2012, n. 1215 Manutenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1) Nel novembre 1995 Pa.Gi. proponeva ricorso per la manutenzione nel possesso di un proprio fabbricato sito in (OMISSIS);

conveniva in giudizio i signori L.F. e P. C., lamentando che avevano: a) iniziato la costruzione di un immobile in aderenza al fabbricato esistente; b) eretto un muro di oltre sei metri prospiciente la terrazza del ricorrente; c) violato le distanze stabilite dal p.r.g..

Il pretore con sentenza del 18 febbraio 1997 condannava i resistenti L. alla riduzione in pristino dei luoghi, previo arretramento della costruzione.

L’appello proposto dai soccombenti veniva dichiarato inammissibile dal tribunale di Milano con sentenza del 15 giugno 1998.

Secondo il tribunale, il provvedimento doveva essere qualificato come ordinanza non impugnabile con l’appello, ma solo con il reclamo ex art. 669 c.p.c., comma 13, che non era stato proposto.

I signori L. – P. adivano allora il pretore di Legnano con ricorso ex art. 669 novies c.p.c., per far dichiarare l’inefficacia del primo provvedimento, per mancata proposizione del giudizio di merito.

Il pretore con sentenza n. 161 del 1999 dichiarava l’inefficacia del provvedimento cautelare di cui alla sentenza del febbraio 1997.

Nelle more, con ricorso del 27 luglio 1999 il Pa. ricorreva per cassazione, dolendosi della inammissibilità dell’appello L., dichiarata dal tribunale.

Questa Corte, con sentenza n. 1881 del 2002 ravvisava la sussistenza di interesse a ricorrere del Pa., vincitore in primo grado, per far affermare che la pronuncia di primo grado non aveva natura cautelare, contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale nel dichiarare inammissibile l’appello.

Accoglieva il ricorso e annullava la sentenza del tribunale di Milano resa nel 1998.

L’appello dei signori L. avverso la prima sentenza del pretore di Legnano veniva respinto, con sentenza 1993/05, dalla Corte di appello di Milano, giudice del rinvio, davanti alla quale la causa era stata riassunta.

I L. ricorrono avverso questa sentenza con due motivi.

Il Pa. resiste con controricorso.

Parte ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione

2) La Corte di appello, in sede di rinvio, ha ritenuto che la sentenza pretorile n. 161/99, relativa all’inefficacia del provvedimento di manutenzione nel possesso, era "giustificata" da quella del tribunale, poi cassata, che aveva attribuito natura di ordinanza e non di sentenza al provvedimento stesso.

Il giudice del rinvio ha poi affermato che la sentenza della Suprema Corte ha superato la sentenza n. 161 e ha sancito che bene aveva fatto il primo pretore procedente ad emettere dapprima un’ordinanza e, in seguito, al termine della fase a cognizione piena, una sentenza sul possesso.

Ha richiamato a tal fine l’orientamento delle Sezioni Unite (SU 1984/98) in ordine alla struttura del procedimento possessorio. La Corte di appello ha poi confermato, nel merito, la sussistenza della lesione possessoria.

3) I ricorrenti deducono in via preliminare che la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 1881, ha commesso una svista, poichè aveva risposto al loro rilievo relativo al passaggio in giudicato, per acquiescenza, della sentenza pretorile n. 161 sull’inefficacia, assumendo che trattavasi di provvedimento sul reclamo ex art. 669, comma 13, affermazione errata, giacchè essi avevano agito – e ottenuto una sentenza – con ricorso ex art. 669, comma 9.

Cio posto, essi con il primo motivo lamentano violazione e falsa applicazione dell’art. 324 c.p.c. (in relazione all’art. 360, n. 3).

Sostengono che la sentenza pretorile n. 161/99 sarebbe passata in giudicato il 9 ottobre 2000 e che quindi non sarebbe stata superabile senza proporre appello, ovvero senza intraprendere il giudizio petitorio.

La doglianza è infondata. Va in primo luogo rilevato che essa è inutilmente articolata in relazione all’art. 324 c.p.c., che attiene alla cosa giudicata formale (v. il testo: S’intende passata in giudicato la sentenza che non è piu soggetta nè a regolamento di competenza, nè ad appello, nè a ricorso per cassazione, nè a revocazione per i motivi di cui all’art. 395, nn. 4 e 5). Sarebbe stata più pertinente la denuncia di violazione dell’art. 2909 c.c., relativo alla portata della cosa giudicata e al suo effetto tra le parti, ma il rilievo non avrebbe comunque inciso sulla decisione impugnata.

Va infatti osservato che la Corte di Cassazione ha esaminato l’eccezione di giudicato (formatosi per acquiescenza) sollevata dai L. proprio in relazione alla sentenza n. 161/99 (cfr. odierno ricorso a pag. 8 in principio) e la ha rigettata.

Ne consegue che il giudice di rinvio non poteva far altro che adeguarsi a quanto in quel giudizio stabilito dalla Suprema Corte.

Parte ricorrente poteva eventualmente valutare se fosse proponibile ricorso per revocazione in riferimento alla "svista" consistita nell’avere la Corte creduto che il secondo provvedimento pretorile fosse stato reso su reclamo ex art. 669 terdecies e non invece su ricorso per inefficacia deciso con sentenza impugnabile.

3.1) Una volta così stabilito in sede di legittimità, il giudice di rinvio doveva attenersi al decisum e bene ha fatto a ritenere tutte ormai travolte dal giudice di legittimità le sentenze in rito emesse dal tribunale di Milano e dal secondo pretore, erroneamente fondate sulla natura di ordinanza della sentenza possessoria resa dal primo pretore.

E’ stato dunque corretto passare all’esame nel merito dell’appello L., giacchè la riassunzione in sede di rinvio sottoponeva alla Corte d’appello la materia del contendere inizialmente suscitata dal gravame degli odierni ricorrenti, del quale, errando, il tribunale aveva dichiarato l’inammissibilità. 4) Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano vizi di motivazione sulla irregolarità delle distanze osservate con la loro nuova costruzione.

Sostengono che Comune, USSL e Tar, occupatisi della medesima vicenda, hanno interpretato in modo diverso dal pretore il regolamento edilizio.

La Corte d’appello, limitandosi a condividere le tesi e le precisazioni del consulente tecnico non avrebbe sufficientemente motivato su queste contraddizioni e soprattutto sulle osservazioni del c.t.p. riprese negli atti difensivi.

La censura è inammissibile. Il motivo non riporta nè le argomentazioni delle amministrazioni, nè quelle del consulente di parte o degli atti difensivi, ma vi fa un rinvio sommariamente sviluppato.

In tal modo non emerge la decisività delle risultanze favorevoli ai ricorrenti, il che nella specie era possibile solo mettendole a confronto con i passaggi valutativi della consulenza di cui si è valsa, solo in parte per relationem, la sentenza d’appello.

La critica svolta in ricorso si risolve pertanto in una richiesta di nuova valutazione di merito, preclusa in sede di legittimità.

Il ricorrente che deduce l’omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata per l’asserita mancata valutazione di atti processuali o documentali ha l’onere di indicare – mediante l’integrale trascrizione di detti atti nel ricorso – la risultanza che egli asserisce essere decisiva e non valutata o insufficientemente considerata, atteso che, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il controllo deve essere consentito alla Corte sulla base delle sole deduzioni contenute nell’atto, senza necessità di indagini integrative (Cass. 11886/06;

8960/06; 7610/06).

I vizi della motivazione non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla prova (Cass. 6064/08; 18709/07). Ne consegue che la doglianza è inammissibile.

Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna di parte ricorrente alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla refusione a controparte delle spese di lite liquidate in Euro 3.000,00 per onorari, Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *