Cass. civ. Sez. III, Sent., 27-01-2012, n. 1205 Inadempimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. F.G. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo, con il quale il Presidente del Tribunale di Roma – su ricorso dell’INPDAP – gli aveva ingiunto di pagare la somma di Euro 46.296,56 (comprensiva di interessi convenzionali sino al 16/10/2001) per canoni di locazione ed oneri accessori maturati da giugno 1990 ad ottobre 2001 con riferimento alla locazione dell’immobile sito in (OMISSIS) a suo tempo concessogli in locazione con contratto dell’1/12/1989. L’opponente aveva eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva per non essere l’effettivo conduttore dell’immobile, la prescrizione quinquennale del credito dell’istituto e la non spettanza degli interessi moratori al tasso convenzionale. L’istituto opposto si costituiva in giudizio contestando la fondatezza dell’opposizione e proponeva – a sua volta – domanda riconvenzionale per l’accertamento del proprio diritto a trattenere il deposito cauzionale ovvero la condanna del F. al pagamento del relativo importo. Il giudice di primo grado accoglieva in parte l’opposizione, dichiarando prescritto il credito dell’INPDAP per i canoni maturati dal giugno 1990 sino al febbraio 1994 e per gli oneri accessori dal giugno 1990 al febbraio 1997 e dal marzo 2001 sino ad ottobre 2001. Il Tribunale, inoltre, revocava il decreto ingiuntivo opposto e condannava l’opponente al pagamento dei canoni maturati da marzo 1994 ad ottobre 2001 e degli oneri accessori a decorrere dal marzo 1997 sino a febbraio 2001, oltre gli interessi moratori al tasso convenzionalmente fissato; infine, disponeva la compensazione di metà delle spese con condanna del F. al pagamento dell’altra metà. Proponeva appello il F., che censurava la sentenza di primo grado per non avere accolto totalmente l’eccezione di prescrizione da lui sollevata, ritenendo valida la diffida del 18/2/1999, nonostante l’INPDAP avesse dichiarato in udienza di volersi avvalere del predetto documento, per avere dichiarato inammissibile la querela di falso proposta dal F. e per non avere tenuto conto delle altre eccezioni sollevate dall’opposto. Con il secondo motivo di gravame, poi, evidenziava come non fossero dovuti in nessun caso gli oneri accessori richiesti dall’INPDAP essendo già prescritti al momento della notifica del decreto ingiuntivo (avvenuta in data 2/212004). Infine, l’appellante lamentava l’erroneità della decisione impugnata per avere riconosciuto il diritto dell’istituto agli interessi moratori nella misura convenzionalmente stabilita sebbene essi, in base alla L. n. 108 del 1996, dovessero considerarsi come usurari. Pertanto, il F. chiedeva la conferma della revoca del decreto ingiuntivo opposto, la dichiarazione di avvenuta prescrizione di tutti i canoni maturati prima del quinquennio anteriore alla notifica del decreto ingiuntivo, la dichiarazione di avvenuta prescrizione di tutti gli oneri accessori richiesti e la dichiarazione che gli interessi applicabili erano quelli legali e non quelli convenzionali fissati al 13,50% annuo. L’istituto chiedeva la reiezione del gravame.

2. Con la sentenza oggetto del presente ricorso per cassazione, depositata il 10 febbraio 2009 e notificata ex art. 140 c.p.c., il 17 luglio 2009, la Corte di Appello di Roma accoglieva parzialmente il gravame e condannava il F. al pagamento soltanto dei canoni maturati dal 4 febbraio 1999 sino ad ottobre 2001, oltre interessi moratori convenzionali. In particolare, la Corte osservava "Preliminarmente, deve rilevarsi come il difensore dell’INPDAP -alla udienza tenutasi in primo grado l’8/2/2005- avesse espressamente chiesto al Tribunale di decidere la controversia sulla base di tutti i documenti prodotti fatta eccezione per la diffida ad adempiere inviata con lettera raccomandata ricevuta l’8/2/1995 (doc. n. 3 fascicolo di primo grado INPDAP) e – in ipotesi di accoglimento del disconoscimento della sottoscrizione della ricognizione di debito (doc. n. 4 fascicolo di primo grado di parte opposta) – avesse richiesto la condanna del F. al pagamento dei canoni maturati a decorrere dal febbraio 1999, oltre gli interessi moratori convenzionali (vedi relativo verbale di udienza). Inoltre, l’appellante non ha formulato gravame avverso il capo della sentenza che aveva riconosciuto la sussistenza della sua legittimazione passiva. Deve poi aggiungersi che l’INPDAP non ha proposto appello incidentale con riferimento al rigetto della domanda riconvenzionale formulata dallo stesso istituto per la corresponsione del deposito cauzionale"… "considerata la inutilizzabilità della lettera raccomandata stante proprio l’espressa richiesta dell’istituto appellato in tal senso, occorre accertare se il documento di ricognizione di debito di cui il F. aveva espressamente disconosciuto la sottoscrizione (ed al quale, comunque, il primo giudice non aveva fatto riferimento alcuno nella sentenza impugnata) possa essere ritenuto come un valido atto interruttivo della prescrizione. Al riguardo si osserva che nemmeno tale documento può essere utilizzato stante il formale disconoscimento della sottoscrizione operato dall’odierno appellante, sin dalla prima udienza svoltasi avanti il Tribunale il giorno 10/11/2004. Come è noto, infatti, la norma di cui all’art. 2719 cod. civ. (che esige l’espresso disconoscimento della conformità con l’originale delle copie fotografiche o fotostatiche) è applicabile tanto alla ipotesi di disconoscimento della conformità della copia al suo originale quanto a quella di disconoscimento della autenticità di scrittura o di sottoscrizione. Nel silenzio della norma citata in merito ai modi e ai termini in cui i due suddetti disconoscimenti debbano avvenire, è da ritenere applicabile ad entrambi la disciplina di cui agli artt. 214 e 215 c.p.c., con la conseguenza che la copia fotostatica non autenticata si avrà per disconosciuta (tanto nella sua conformità all’originale quanto nella scrittura e sottoscrizione) se la parte comparsa la disconosca, in modo formale, e quindi specifico e non equivoco, alla prima udienza, ovvero nella prima risposta successiva alla sua produzione (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 23174 del 27/10/2006). Ne consegue che il F. è tenuto al pagamento soltanto dei canoni di locazione maturati nel quinquennio antecedente la notifica del decreto ingiuntivo vale a dire quelli maturati a decorrere dal 2/2/1999 sino all’ottobre 2001. Al contrario, non sono dovuti gli oneri accessori (richiesti dall’INPDAP soltanto sino al 2001) prescrittisi, nel più breve termine biennale, già al momento della notifica del decreto ingiuntivo per cui è causa. Invero, il credito del locatore per il pagamento degli oneri condominiali posti a carico del conduttore dall’art. 9 della legge sull’equo canone si prescrive nel termine di due anni indicato dalla L. 22 dicembre 1973, n. 841, art. 6 per il diritto del locatore al rimborso delle spese sostenute per la fornitura dei servizi posti, per contratto, a carica del conduttore, in quanto tale norma, anche se inserita in una legge relativa alla proroga dei contratti di locazione degli immobili ad uso di abitazione, introduce una deroga al principio codicistico della prescrizione quinquennale del canone di locazione e di ogni altro corrispettivo di locazione fissato dall’art. 2948 c.c., n. 3 cod. civ., ed è, applicabile agli oneri accessori dovuti dal conduttore in base alla L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 9, senza che a ciò osti l’art. 84 di quest’ultima legge che, disponendo l’abrogazione di tutte le norme incompatibili con la legge sull’equo canone, non può essere riferita anche alla disposizione in materia di prescrizione del sopra citato art. 6, trascendendo quest’ultima il mero regime vincolistico (vedi, tra le altre, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8609 del 12/04/2006). L’appello, invece, deve essere respinto con riferimento alla entità degli interessi moratori convenzionalmente stabiliti trattandosi di pattuizione anteriore alla entrata in vigore del D.L. n. 394 del 2000; infatti, la L. 28 febbraio 2001, n. 24, di conversione del D.L. 29 dicembre 2000, n. 394, di interpretazione autentica della L. 7 marzo 1996, n. 108, che ha fissato la valutazione della natura usuraia dei tassi d’interesse al momento della convenzione e non a quello della dazione, non si applica solo ai rapporti di mutuo ma a tutte le fattispecie negoziali che possano contenere la pattuizione d’interessi usurari (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 15621 del 12/07/2007).

3. L’istituto ricorrente deduce i seguenti motivi, illustrati con memoria:

3.1. rispetto ai motivi secondo, terzo e quarto di ricorso, "nullità della sentenza e/o del procedimento ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 112 c.p.c. e all’art. 277 c.p.c., comma 1, per omissione di pronuncia su specifiche e testuali eccezioni dell’appellato INPDAP opposte all’appellante Sig. F. G.". E’ noto che l’omessa pronuncia su specifiche eccezioni fatte valere dalla parte, integrando una violazione dell’art. 112 c.p.c. e delle altre norme indicate in motivo, costituisce una violazione della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e determina omissione di pronunzia rilevante ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Nel caso oggi devoluto alla Corte si sarebbe verificata proprio tale anomalia, con conseguente necessità di cassazione della sentenza. La Corte d’appello non ha infatti reso pronunzia di sorta circa le eccezioni opposte dall’INPDAP nella propria memoria di costituzione in appello al primo motivo del gravame avversario (cfr. anche l’ampia illustrazione in narrativa, punto 7, con il richiamo testuale di tali eccezioni nella loro interezza). L’omissione ha del tutto compromesso la legittimità della sentenza della Corte territoriale. Essa omissione integra manifesta violazione del principio in epigrafe del presente motivo, come non è difficile intendere avuta considerazione alle rispettive posizioni ed allegazioni delle parti nel secondo grado di giudizio che qui si riportano. Pone, pertanto a questa Corte il seguente quesito: "Dica codesta Ecc.ma Corte, se, a fronte di motivo d’appello avente ad oggetto la lettura dei fatti processuali di causa, a smentire tale lettura la parte appellata opponga specifiche eccezioni, puntualmente sopportate da mezzi di prova da essa appellata espressamente richiamati, la decisione della Corte di merito che in alcun modo motivi a riguardo di dette eccezioni integri una violazione dell’art. 112 c.p.c. e/o dell’art. 277 c.p.c., comma 1, e se in tal modo si determini omissione di pronunzia rilevante ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4". 3.2. In via gradata rispetto al primo motivo di ricorso.

"Nullità della sentenza e/o del procedimento ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’asserita ma inesistente domanda di decisione totale della causa che, secondo la Corte del gravame, sarebbe stata formulata dalla difesa INPDAP all’udienza dell’8 febbraio 2005". E’ noto che il vizio di omessa motivazione circa un elemento probatorio rileva quando esiste un rapporto di causalità logica tra la circostanza documentata, ma trascurata, e la decisione impugnata, tale da ritenere, attraverso un giudizio di certezza, che la detta circostanza, se fosse stata valutata, avrebbe potuto comportare una diversa decisione. Su tale consolidato assunto, si osserva che qualora non venisse accolto il primo motivo del presente ricorso, si porrebbe, alla stregua degli atti del processo, l’esigenza di un penetrante sindacato della parte motiva della sentenza n. 458/09, sotto i molteplici profili che si evidenzieranno nel presente e nei successivi motivi di ricorso. Viene in immediata considerazione, sia per la sua collocazione in esordio della motivazione sia, e soprattutto, per la macroscopica contraddittorietà rispetto alle risultanze degli atti processuali, la parte di decisione in cui la Corte di merito – con apodittica statuizione – da per scontato che all’udienza dell’8 febbraio 2005 INPDAP abbia davvero richiesto al Tribunale la totale decisione della causa, e che, a tale inesistente fine, l’appellato ciò abbia richiesto volendo addirittura prescindere in toto dalla diffida interruttiva depositata in atti sub doc. 3 INPDAP. Vi sarebbe un rapporto di causalità diretta tra la circostanza indicata e quella che sarebbe dovuta essere la corretta decisione del Giudice d’appello se tale circostanza non fosse stata del tutto contraddetta dalla apodittica affermazione decisoria della Corte di merito, che si è sopra testualmente riportata. In conclusione, formula il seguente "momento di sintesi": la decisione impugnata va censurata per contraddittorietà della motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, circa il su descritto fatto controverso e decisivo per il giudizio, nella parte in cui (p. 4, "Motivi della decisione" cpv. 1) la Corte afferma che l’INPDAP all’udienza dell’8 febbraio 2005 avrebbe chiesto al Tribunale la decisione della intera causa a prescindere dal documento INPDAP n. 3, laddove invece il verbale di causa riporta chiaramente che lo stesso Istituto ha soltanto chiesto:

a) la decisione parziale della causa limitatamente ai crediti non contestati dall’opponente, con stralcio temporaneo del doc. 3 INPDAP, oggetto di querela di falso, e b) nel contempo ha chiesto — ciò che è incompatibile con una richiesta di decisione totale – termine per esame e controdeduzioni nonchè istanze istruttorie in relazione alla querela di falso di tale documento, presentata dall’opponente alla stessa udienza dell’8 febbraio 2005;

3.3. Ancora in via gradata rispetto al primo motivo, e concorrente o alternativa rispetto al secondo motivo. Nullità della sentenza e/o del procedimento ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omessa o comunque insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, relativo all’inutilizzabilità del documento n. 3 dell’INPDAP di cui alla sentenza n. 458/09 della Corte di merito. L’omissione di motivazione rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si verifica allorchè nel ragionamento del Giudice di merito, quale esposto in sentenza, sia riscontrabile una obiettiva deficienza del criterio logico che ha condotto tale Giudice alla formazione del proprio convincimento, e tale patologia si presenti in relazione ad un fatto (o punto, concetto che la più avveduta dottrina ha chiarito equipollente a quello di fatto) controverso e decisivo. Ed è questo uno dei profili di cassazione della sentenza di appello che, in punto di ritenuta inutilizzabilità del doc. 3 INPDAP, si devolvono oggi a codesta Suprema Corte, laddove essa non ritenga di accogliere il primo motivo di ricorso. Non è dubbio, per quanto si è sinora esposto, che il giudizio di inutilizzabilità del documento INPDAP n. 3 concerna fatto controverso e al contempo un punto decisivo dell’intero giudizio, poichè dall’utilizzabilità o meno del documento stesso dipende il raggiungimento o meno della prova dell’interruzione della prescrizione. Pertanto, formula il momento di sintesi chiedendo se la sentenza vada censurata per omessa o comunque insufficiente motivazione circa il su descritto fatto controverso e punto decisivo del giudizio nella parte in cui (p. 4 Motivi della decisione, cpv, ultimo) la Corte abbia tout court ritenuto l’inutilizzabilità della lettera raccomandata, senza indicare le ragioni per cui sia addivenuta a tale giuridica conclusione.

3.4. Ancora in via gradata rispetto al primo motivo, e concorrente o alternativa rispetto al secondo ed al terzo motivo. Nullità della sentenza e/o del procedimento ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, relativo al complesso di elementi del ragionamento della Corte territoriale costituito dalle premesse risultanze istruttorie, dalla parte narrativa e dalle parti di motivazione della sentenza in cui la Corte di merito ha ritenuto che all’udienza dell’8 febbraio 2005 sarebbe stata formulata dalla difesa INPDAP domanda di decisione totale della causa, che si sarebbe verificata nella causa l’inutilizzabilità del documento n. 3 dell’INPDAP, e che, pertanto, nel giudizio, non sussistesse in atti un "valido" atto interruttivo della prescrizione. Formula il seguente momento di sintesi chiedendo se la sentenza impugnata va censurata "per contraddittorietà della motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, circa il su descritto fatto controverso e punto decisivo per il giudizio, a fronte di manifesto errore nella premessa minore del giudizio, in base alla quale è dato per esistente il fatto non avvenuto della, richiesta di decisione totale della causa a prescindere dal doc. n. 3 INPDAP e aperto contrasto tra – da un lato – la parte ricostruttiva del fatto e le risultanze probatorie del processo e dall’altro la serie di giudizi che hanno portato all’errata positiva conclusione circa la maturazione di prescrizione del credito INPDAP per canoni antecedente al 1999; nonchè, sotto l’altro profilo sopra esaminato, a fronte del sovvertimento causale della motivazione, laddove si è dalla Corte di merito per primo presi in considerazione e fatti oggetto di giudizio di diritto i fatti dell’udienza dell’8 febbraio 2005 e per secondo e conseguentemente valutati e fatti oggetto di giudizio di diritto i fatti della prima udienza del 20 novembre 2004. Laddove i secondi presiedono ai primi e ne forniscono adeguata giustificazione per come si sono effettivamente verificati". 4. Diversamente da quanto sostenuto dal F., il ricorso è stato tempestivamente notificato. Infatti, la notifica della sentenza impugnata, a norma dell’art. 140 c.p.c., deve considerarsi perfezionata in data 24 luglio 2009 (v. avviso di ricevimento), epoca in cui si è concluso il terzo degli adempimenti previsti dalla predetta norma; il ricorso introduttivo del presente giudizio risulta consegnata per la notifica il 6 novembre 2009, ultimo giorno utile, secondo il termine di cui all’art. 325 c.p.c.. Nè la notifica della sentenza impugnata può considerarsi inesistente, essendo avvenuta in un luogo avente comunque un collegamento con il procuratore dell’odierno resistente. Passando all’esame del contenuto del ricorso, i motivi si rivelano tutti privi di pregio. Con il primo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 in relazione all’art. 112 c.p.c. e all’art. 277 c.p.c., comma 1 per omissione di pronuncia su specifiche e testuali eccezioni dell’appellato INPDAP opposte all’appellante F.G..

L’omissione riguarderebbe il fatto che – secondo il ricorrente – non vi sarebbe stata la ritenuta rinuncia ad avvalersi del documento n. 3).

4.1. Come si desume dalle stesse deduzioni dell’Istituto in argomento (riportate a pag. 28 e 29 del ricorso per cassazione), questo ha formulato sul punto, in appello, delle mere difese, sicchè non è neanche prospettabile l’invocato error in procedendo di omessa pronuncia (argomento desumibile I tra le altre da Cass. n. 12626/2011). Invero, la Corte territoriale si è limitata a riferire la rinuncia verbalizzata dall’Istituto opposto e a trarne le dovute conseguenze.

4.2. Con gli altri subordinati motivi, il ricorrente lamenta contraddittoria motivazione circa fatti controversi: la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto che l’INPDAP avrebbe formulato una richiesta di decisione totale della vertenza, laddove la richiesta sarebbe stata nel senso di richiedere soltanto una decisione parziale (secondo motivo); la Corte avrebbe, inoltre, erroneamente ritenuto inutilizzabile il documento n. 3 (terzo motivo); non avrebbe tenuto conto, infine, volta che l’Istituto avrebbe chiesto una pronunzia parziale e non totale e che non avrebbe rinunciato "in via definitiva" ad avvalersi del documento n. 3 (quarto motivo).

4.3. Invece, diversamente da quanto lamenta l’Istituto ricorrente, non vi è stato, nella specie, un contrasto tra quanto si è argomentato in una parte della decisione ed un altro punto della stessa in contrasto insanabile con il primo. Infatti, come emerge dalla stessa esposizione dei motivi, la contraddittorietà lamentata non è interna alla decisione, ma tra la decisione e gli atti, sicchè non risultano neanche prospettabili gli indicati vizi motivazionali, così come si rivelano inadeguati i relativi momenti di sintesi, non evidenziando specifiche criticità logiche del percorso motivazionale. Si deve, infatti, ribadire che il vizio di contraddittorietà della motivazione, sia nell’ipotesi di contrasto tra dispositivo e motivazione stessa, sia nel caso di assoluta inconciliabilità delle ragioni esposte a fondamento della decisione, è tale solo se intrinseco alla sentenza, afferendo alla sua stessa logicità, e può, pertanto, essere riscontrato nel suo solo ambito, non rilevando, al riguardo, eventuali contrasti – pur denunciabili sotto altri profili – tra le affermazioni della stessa sentenza ed il contenuto di altre prove e documenti (Cass. n. 6787/2000; 1605/2000;

11121/1999; 3615/1999).

4.4. Senza contare che, in rapporto all’epoca di emissione della sentenza impugnata (depositata il 10.2.2009), ove venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo iter argomentativo della decisione impugnata), è richiesta, in relazione a ciascuno di detti motivi, una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione (Cass. n. 4556/09). Nel caso in esame, rispetto ai motivi dal secondo al quarto, che deducono vizi motivazionali, non è stato formulato un idoneo ed appropriato "momento di sintesi", che come da questa Corte precisato richiede un quid pluris rispetto alla mera illustrazione del motivo, imponendo un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile (v.

Cass., 18/7/2007, n. 16002). L’individuazione del denunziato vizio di motivazione risulta perciò impropriamente rimessa all’attività esegetica del motivo da parte di questa Corte (Cass. n. 9470/08).

Dette sintesi, da un lato, non specificano le ragioni e le argomentazioni contraddittorie intrinseche alla sentenza che la renderebbero inidonea a sorreggere la decisione, dall’altro si limitano a generiche e tautologiche invocazioni di revisione della ricostruzione del comportamento processuale delle parti in modo meglio aderente a quello prospettato dalla parte ricorrente, così impropriamente prospettando come vizio motivazionale quello che intrinsecamente rappresenterebbe, ove sussistente, un error in procedendo (diverso da quello pure impropriamente prospettato nel primo motivo).

5. Ne deriva il rigetto del ricorso. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 3.700,00 di cui Euro 3.500,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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