Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 06-07-2011) 22-09-2011, n. 34469

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Ha proposto ricorso per cassazione F.P., per mezzo del proprio difensore, avverso la sentenza della Corte di Appello di Palermo del 14.10.2009, che confermò la sentenza di condanna pronunciata nei suoi confronti dal Tribunale di Sciacca l’8.3.2006, per il reato di usura aggravata in danno di S.A..

2. La difesa lamenta con il primo, articolato motivo, l’appiattimento dei giudici di appello sulle motivazioni della sentenza di primo grado; la ingiustificata svalutazione delle deduzioni difensive, apprezzate in sentenza quasi come confessorie rispetto all’esistenza di rapporti finanziari tra le parti, alla stregua di una indebita disarticolazione dei due aspetti della questione, avendo la Corte di merito obliterato quello relativo alla effettiva pattuizione di interessi usurari, non provata in alcun modo dall’accusa, nè ricavabile dal legittimo esercizio del diritto al silenzio da parte dell’imputato; sarebbero del tutto inapplicabili alla fattispecie concreta le massime giurisprudenziali citate nella sentenza, a fronte di una ricostruzione dei fatti pacificamente priva di qualunque riscontro documentale; contraddittoria l’affermazione secondo cui non sarebbe rilevante che le banche non fossero "allarmate" sul conto della persona offesa, perchè la circostanza dimostrerebbe invece l’assenza dello stato di bisogno del S.; illogica la svalutazione dell’ondivago atteggiamento della persona offesa, che in un primo momento, sentito a sommarie informazioni, aveva negato la natura usuraria del prestito ricevuto dall’imputato, per poi cambiare radicalmente versione dei fatti; incongrua, altresì, la valutazione dell’esito, assolutamente incerto per l’accusa, degli accertamenti bancari espletati nel corso delle indagini; così come la valutazione dei dati contabili desumibili dall’analisi dei movimenti del conto corrente della moglie dell’imputato; del tutto omessa la valutazione dell’attendibilità della persona offesa anche per la mancata indagine sui movimenti dei conti correnti bancari alla stessa riferibili, avendo anzi i giudici di appello in qualche modo espresso significative perplessità sulla consistenza del quadro probatorio, che avrebbero dovuto indurii ad un vaglio critico più pregnante delle risultanze istruttorie.

2. Con il secondo motivo, la difesa eccepisce ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b), il vizio di violazione di legge della sentenza con riferimento ai principi che regolano la successione di leggi nel tempo, sul rilievo che i giudici territoriali avrebbero applicato il più severo trattamento sanzionatorio previsto dall’art. 644 c.p. come novellato dalla L. n. 108 del 1996, a fatti perfezionatisi in epoca antecedente alla riforma, e che sarebbero stati ormai coperti dalla prescrizione già all’epoca della sentenza di appello.

3. Un’ultima censura, quasi incidentalmente inserita nel secondo motivo, non essendo neanche annunciata nella sua titolazione, riguarda l’insufficiente motivazione del diniego di concessione delle circostanze attenuanti generiche. Nel corso della discussione orale il difensore ha eccepito anche la mancata applicazione dell’indulto ex L. n. 251 del 2006.

Motivi della decisione

1. Va preliminarmente rilevata in punto di diritto, la palese erroneità delle tesi difensive dirette a focalizzare la data di consumazione del reato all’epoca dell’illecita pattuizione degli interessi usurari. Il reato di usura appartiene infatti al novero dei reati a condotta frazionata o a consumazione prolungata perche1 i pagamenti effettuati dalla persona offesa in esecuzione del patto usurario compongono il fatto lesivo penalmente rilevante, di cui segnano il momento consumativo sostanziale, e non sono qualificabili come "post factum" non punibile della illecita pattuizione (ex plurimis, Corte di Cassazione nr 26553 12/06/2007 SEZ. 2, Garone; Nr.

34910 del 10/07/2008 SEZ. 2 De Carolis e altro dove la precisazione che il delitto di usura perdura nel tempo sino a quando non cessano le dazioni degli interessi). D’altra parte, il reato a consumazione prolungata costituisce un unico fatto criminale (cfr. Sez. 4, Sentenza n. 18485 del 23/01/2009, Imputato Falcone), come tale unitariamente soggetto al regime sanzionatorio vigente nel momento in cui si realizza la sua ultima "frazione". Del tutto correttamente, pertanto, la Corte di merito ha considerato gli sviluppi del rapporto successivi alla remota datazione del suo inizio, per trame le opportune conseguenze anche in ordine all’eccezione di prescrizione sollevata dalla difesa.

2. Per quel che riguarda le censure attinenti alle dedotta illogicità della motivazione della sentenza impugnata in punto di responsabilità, la difesa ripropone in gran parte le stesse argomentazioni già analizzate e valutate dalla corte territoriale con apprezzamento del tutto esente da vizi logico-giuridici. Le tesi difensive, più o meno plausibili, ma spesso basate su semplici insinuazioni e sospetti, che finiscono, come si vedrà, per coinvolgere avventatamente anche l’onorabilità di un professionista, cedono nel confronto con lo sviluppo lineare e coerente delle argomentazioni dei giudici di appello, che colgono numerosi aspetti dei rapporti finanziari tra le parti realmente significativi della loro connotazione usuraria, e danno adeguatamente conto delle perplessità avanzate dalla difesa.

I giudici di merito sottolineano, in sintesi:

– la falsità della causale di tali rapporti indicata dall’imputato;

– l’assenza di ogni documentazione scritta che ne regolasse gli aspetti essenziali, cioè la determinazione della sorte capitale e l’ammontare degli interessi, tutto risultando dalla movimentazione di titoli di credito privi di riferimenti ad un qualunque fatto costitutivo, secondo uno schema in effetti pressochè obbligato nei rapporti usurari;

– il perdurare del rapporto a distanza di molti anni dal suo inizio, circostanza anch’essa rilevante, non solo ai fini dell’individuazione della data di consumazione del reato e della decorrenza del termine prescrizionale, ma anche come ulteriore indice sintomatico dell’usura, l’esosità degli interessi ostacolando di frequente l’adempimento del debitore e creando le condizioni per un intollerabile e infine irrimediabile appesantimento della sua posizione obbligatoria.

3. In questo complessivo quadro di compatibilità logiche con l’ipotesi accusatoria, la Corte di merito ha convenientemente apprezzato l’attendibilità del S., nonostante le sue esitazioni iniziali nella denuncia dell’usura. Non si presta peraltro a censure la valutazione del disagio psicologico della persona offesa rispetto all’ammissione di essere rimasto coinvolto assai poco lodevolmente in un rapporto usurario, esponendosi a catastrofiche conseguenze economiche. Che il successivo ripensamento possa essere stato suggerito ad arte da un legale vicino alla vittima per rapporti di parentela, nella considerazione dello scarso esito delle prime indagini, è poi tesi difensiva il cui carattere "dietrologico" è di tutta evidenza, implicando oltretutto la grave insinuazione di un’orchestrazione calunniosa diretta da un operatore del diritto i cui legami con la vittima non gli impedivano certo di valutare la gravità di false accuse e il rischio di un personale coinvolgimento nei fatti francamente sproporzionato rispetto alla necessità di soccorrere un soggetto a lui nemmeno legato da vincoli familiari particolarmente intensi. Anche su questi aspetti della vicenda le valutazioni della Corte territoriale appaiono quindi del tutto esenti da censure sotto il profilo logico giuridico.

4. Chiaramente marginali appaiono, rispetto alla generale solidità del quadro probatorio complessivo, le notazioni difensive sull’affidabilità bancaria del S. o sulle indicazioni presuntivamente favorevoli all’imputato che sarebbero desumibili (o avrebbero potuto essere desunte) dall’analisi dei movimenti bancari sui conti correnti del F. e della moglie. I rapporti finanziari tra il F. e il S. non sono in definitiva nemmeno contestati dalla difesa, se non sotto l’aspetto della loro caratterizzazione usuraria, ribadita la quale la stessa lunga durata del rapporto e il corrispondente prolungarsi della condizione di assoggettamento del S. in una spirale di progressivo aggravamento della sua posizione e di intollerabile assoggettamento alla prevaricazione del creditore, dimostrano in effetti all’evidenza la sua situazione di bisogno, facilmente rappresentabile all’imputato.

5. Le questioni sul trattamento sanzionatorio sono formulate dalla difesa in modo alquanto generico e "incidentale", non essendo nemmeno oggetto di autonoma sottolineatura in ricorso, ma inserite nel motivo formalmente riferibile al tema della responsabilità penale sotto lo specifico aspetto dei problemi di diritto intertemporale posti dalla fattispecie. I giudici di merito rilevano comunque adeguatamente gli indici della gravità del fatto alla stregua dei parametri direttivi fissati dall’art. 133 c.p., nè riguardo alla mancata concessione delle attenuanti generiche sono evidenziati in concreto dalla difesa elementi di valutazione particolarmente favorevoli all’imputato, emergenti dagli atti e dal testo della sentenza, ma trascurati dai giudici di appello.

6. Il motivo sull’indulto, infine, è inammissibile anche a prescindere dalla sua tardività, dal momento che quando all’applicazione dell’indulto non abbia provveduto il Giudice della cognizione, procede a norma dell’art. 672 cod. proc. pen., il Giudice dell’esecuzione, con la conseguenza che il ricorso per Cassazione con il quale si lamenti la mancata applicazione del condono è ammissibile solo quando il Giudice di merito l’abbia erroneamente esclusa, con specifica statuizione nel dispositivo della sentenza (ex plurimis, Cass SEZ., 3 06/04/1994, Guglielmetti).

Alla stregua delle precedenti considerazioni, il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità. Il ricorrente va infine condannato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile in questo grado di giudizio, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende, nonchè alla rifusione, in favore della parte civile S.A., delle spese sostenute in questo grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 3000, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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