Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 05-07-2011) 22-09-2011, n. 34519 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale del Riesame di Napoli con ordinanza in data 27-7-2010 confermava l’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere nei confronti di B.A., C.D.S. R. e S.S., emessa dal G.i.p. il 18-6-2010.

A B. sono provvisoriamente contestati i reati di cui all’art. 416 bis c.p. (capo 1, clan Moccia di stampo camorristico), art. 648 ter c.p. (capo 34), art. 644 c.p. (capo 35), D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 132 (capo 67), aggravati dalla L. n. 203 del 1991, art. 7, sulla scorta dei gravi indizi desumibili da quattro telefonate intercettate.

Ricorre B.tramite il difensore avv. S. Senese, con cinque motivi.

1) Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla gravità del quadro indiziario per il reato di cui all’art. 648 ter c.p., in quanto illogicamente, dal fatto che in una telefonata si parli del fatto che V. stesse per versare una somma all’indagato, il tribunale ha dedotto che la somma fosse stata effettivamente versata, che i due fossero soci e che B. avesse concorso consapevolmente nel reimpiego di capitali di provenienza illecita realizzato da V., senza considerare che l’eventuale versamento poteva avere anche ragioni diverse.

2) Stessi vizi in ordine alla mancata motivazione circa il fatto che il reato di cui all’art. 648 ter c.p. presuppone che la condotta sia stata realizzata al di fuori di concorso nel reato.

3) Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla gravità del quadro indiziario relativo al reato di cui all’art. 644 c.p., per il valore promissorio illogicamente attribuito dal tribunale all’unica telefonata in cui si parlava di un eventuale prestito da parte di terzi.

4) In relazione al reato di abusivo esercizio di attività finanziaria, si deduce totale difetto di motivazione in ordine alla condotta tipica del reato che, secondo la giurisprudenza di questa corte, esige che la stessa sia diretta ad un numero di persone potenzialmente vasto, e non discende in modo automatico dal prestito di denaro ad usura.

5) Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine ai gravi indizi del reato associativo.

Il ricorrente assume travisamento della prova per aver il tribunale dedotto dalle intercettazioni la prova di contatti con altri affiliati, per aver attribuito alle stesse un tono confidenziale e l’uso di linguaggio in codice, quando vi è un’unica telefonata con il presunto affiliato V.. il cui tono può essere dovuto a familiarità od amicizia, e in ordine alla quale non sono state precisate le espressioni asseritamente in codice (che comunque potrebbero essere finalizzate a coprire altri tipi di reato).

Inoltre, alla stregua della giurisprudenza di questa cotte, il tribunale non avrebbe potuto dedurre dalla tipologia di reati-fine ascritti, l’inserimento nell’associazione, non avendo indicato elementi da cui inferire che detti reati fossero espressione di un progetto criminoso riferibile alla pretesa associazione.

A C.D.S.R. è provvisoriamente contestato il reato di cui all’art. 416 bis c.p. sulla base delle dichiarazioni convergenti dei collaboratori D.R. e O.C., riscontrate da intercettazioni telefoniche, che lo hanno indicato come titolare di negozi di telefonia sempre a disposizione dell’organizzazione, quale fornitore di schede telefoniche e telefoni cellulari senza intestazione, in particolare a F.F. e alla compagna di questi Ci.Fl.. In particolare l’indagato, in una telefonata intercettata, aveva avvertito la donna del pericolo rappresentato dal sorvolo, da parte di un elicottero della polizia, del covo del F., sito nello stesso stabile di residenza del V.. Ricorre C. con due atti separati, redatti da diversi difensori.

Con il ricorso dell’avv. Senese si deducono, con unico motivo, violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) e e) e omessa e manifestamente illogica motivazione in ordine ai gravi indizi, per avere il tribunale omesso l’accertamento tanto della rilevanza causale della condotta per la realizzazione del fatto criminoso collettivo e per la lesione del bene giuridico protetto, quanto dell’elemento psicologico che richiede la consapevolezza sia dei metodi e fini dell’associazione, che dell’efficacia causale del contributo per il rafforzamento o la conservazione del sodalizio.

L’allarme circa la presenza dell’elicottero potrebbe essere giustificato dal rapporto di amicizia pacificamente esistente tra F. e l’indagato, e integrare al più favoreggiamento personale, in assenza di prova che con la sua condotta C. avesse inteso favorire il gruppo, piuttosto che il singolo.

Il ricorso dell’avv. Domenico Ducei è affidato a otto motivi.

1) Violazione del principio del giudice naturale per incompatibilità del presidente del collegio.

2) 3) 4) Vizio di motivazione in ordine ai gravi indizi dell’esistenza del clan Moccia – data per scontata, senza tener conto del suo scioglimento nella prima metà degli anni 90, e comunque del concorso esterno di C. nel sodalizio, in assenza di qualunque suo contatto con la famiglia Moccia, nonchè delle specifiche condotte ascritte, considerate coessenziali al mantenimento e allo sviluppo del sodalizio.

5) 6) 7) Vizio motivazionale in ordine all’omesso vaglio dell’attendibilità intrinseca ed estrinseca dei collaboratori di giustizia, e in ordine al giudizio di attendibilità del dichiarante D.R., nonostante la ritrattazione intervenuta, e senza considerare che, a ritenere utilizzabile la sua chiamata di correo, le sue conoscenze, tenuto conto dei periodi di detenzione, e della precedente appartenenza ad altro clan, sono limitate al periodo di circa un anno, e che comunque egli ha errato nell’indicare l’ubicazione dei negozi di telefonia del C. gli ha attribuito un’attività, la vendita di cellulari senza intestazione, lecita.

Ulteriore vizio di motivazione è dedotto in ordine all’attendibilità dell’ormai ex pentito O.C., che comunque rimandano anch’esse ad una lecita attività del prevenuto.

Per il resto il motivo sviluppa argomenti sul contributo causale e sull’elemento psicologico, comuni al ricorso dell’avv. Senese.

8) Vizio di motivazione per erronea valutazione delle intercettazioni, ritenute riscontri individualizzanti alle chiamate in correità. Il ricorrente esamina le singole conversazioni per concludere che sono tutte prive di significato indiziante, essendo esclusivamente rappresentative di rapporti commerciali leciti.

A S. è provvisoriamente contestato il reato di cui all’art. 416 bis c.p. sulla base delle dichiarazioni del collaboratore D.R. (che lo ha definito uno degli attuali senatori del gruppo, che partecipa alle decisioni di rilievo), ritenute riscontrate da due intercettazioni. In una di queste Fr.

S., parlando con tale Raffaele, afferma che (OMISSIS) – l’indagato intende pagare una fornitura di cemento 70 euro e non al prezzo ordinario di 110, poi ricorda che per ogni lavoro occorre avere l’autorizzazione di Fr., ritenuto F. F..

L’altra conversazione si svolge dapprima tra V.A. (detto (OMISSIS)) e B.S., indi il primo viene sostituito da persona che B., dopo che V. lo ha informato trattarsi di colui che ha cresciuto suo fratello F., e a cui piace giocare a pallone, riconosce come (OMISSIS) (ritenuto l’indagato). Questi invita B. a non "far prendere collera a Fr., espressione interpretata come una raccomandazione all’imprenditore affinchè adempia. Ricorre S. per il tramite del difensore avv. S. Senese con quattro motivi.

1) Violazione di norme previste a pena di inammissibilità e vizio di motivazione avendo il G.i.p. prima, il tribunale del riesame poi, ritenuto utilizzabili le dichiarazioni del pentito D.R., benchè in toto ritrattate in altro procedimento (ritrattazione accompagnata dal rifiuto di rispondere).

2) Vizio di motivazione in ordine al giudizio di attendibilità del dichiarante D., per avere il tribunale valutato la costanza, e quindi l’attendibilità, delle propalazioni del predetto soltanto in relazione al periodo di circa un mese in cui la collaborazione era stata prestata, ignorando la successiva ritrattazione, accompagnata dall’esercizio della facoltà di non rispondere, che è valsa al pentito una condanna per calunnia in danno dei PPMM procedenti.

3) Vizio di motivazione in ordine alla valutazione della gravità del quadro indiziario, rappresentato dalle dichiarazioni di un unico chiamante in correità; nullità dell’ordinanza per mancato esame delle deduzioni difensive contenute in apposita memoria scritta corredata da documentazione. Il G.i.p. ed il tribunale hanno ritenuto attualmente esistente il clan Moccia -nonostante risultasse da sentenze passate in giudicato lo scioglimento nel 1992 del predetto clan a seguito della dissociazione del suo capo, M.A. -, basandosi su frammentarie dichiarazioni di alcuni collaboranti e su una lunga serie di intercettazioni che, pur dimostrando singoli reati, non dimostravano però l’esistenza del predetto clan, ma semmai di una o più associazioni di stampo camorristico. L’esistenza del clan e l’appartenenza ad esso di S. erano state in sostanza desunte dalle dichiarazioni di D., ancorchè le stesse descrivessero l’indagato come uno che aveva tirato i remi in barca, per poi attribuirgli, contraddittoriamente, il ruolo di "senatore" del sodalizio, senza peraltro precise indicazioni di condotte e di tempi, non potendo dunque escludersi che le rivelazioni si riferissero ad un periodo di tempo risalente (tra l’89 e il 94) in cui S. aveva fatto parte, come D., del clan Moccia, appartenenza per la quale era stato condannato con sentenza irrevocabile per il reato di cui all’art. 416 bis c.p..

4) Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza di riscontri individualizzanti, rappresentati da poche intercettazioni nelle quali S. o non figura tra gli interlocutori -i quali fanno riferimento a lui su temi peraltro neutri-, oppure non è certo che sia uno degli interlocutori e comunque non è chiaro l’oggetto della conversazione.

Motivi della decisione

I ricorsi nell’interesse di B. e S. sono fondati nei limiti che saranno precisati, mentre quello di C.D.S. R. è infondato e va disatteso.

Il materiale indiziario a carico di B., di natura esclusivamente captativa, è stato individuato nel contenuto di quattro telefonate intercettate, due delle quali (n. 176 del 5.10.2006 e n. 3585 del 6-6-2006) ritenute indicative di una società per la gestione di un autolavaggio tra l’indagato e V. A., privo di fonti note di leciti redditi; la terza (n. 265 del 13.6.2006) relativa ad un prestito da effettuarsi ad un terzo (definito "compagno") da parte di B., o di persone a lui vicine, al tasso del 5%; la quarta (n. 160 del 15-5-2006) ritenuta relativa a concessione di crediti a terzi, in collegamento con gli interessi del clan (tale Br. deve restituire del denaro ed è in ritardo con i versamenti).

Le predette conversazioni, con altre richiamate mediante indicazione delle pagine dell’ordinanza genetica della misura, sono state interpretate dal tribunale come gravemente indizianti, oltre che dei reati fine, anche di quello associativo, in quanto significative di condotte tipiche degli associati e di rapporti con altri affiliati, anche perchè caratterizzate da linguaggio in codice.

Non può tuttavia sfuggire come la loro valorizzazione in chiave accusatoria operata dal tribunale del riesame, senza il conforto di ulteriori elementi, appaia sovradimensionata rispetto al loro obiettivo tenore. Così, la circostanza, ricavabile dalle prime due telefonate, che V. stesse per versare una somma all’indagato, può al più costituire indizio dell’effettivo versamento della stessa nell’ambito di una società tra i due per consentire al primo il reimpiego di capitali di provenienza illecita, senza per questo attingere la soglia della gravità indiziaria del reato di cui all’art. 648 ter c.p.. Non diversamente, le altre conversazioni intercettate, pur essendo la spia di rapporti intrattenuti dall’indagato con terzi, l’uno inerente alla possibile concessione, da parte sua o di altri, di un prestito a tasso elevato, l’altro relativo alla restituzione di un prestito già erogato, sono nondimeno inidonei, nella loro esiguità numerica e limitatezza di contenuti, ad assurgere al livello di gravi indizi dei reati sub 35 (solo eventualmente previsto) e 67 (privo del requisito della destinazione ad un numero indeterminato di persone).

Ne consegue che anche la conclusione circa la sussistenza di gravi indizi del reato associativo e della relativa aggravante contestata in relazione ai reati fine, basata sul rilevo che le intercettazioni, asseritamente in codice (ma senza l’indicazione delle relative espressioni e del loro significato reale), sarebbero significative di condotte tipiche degli associati (ma, per quanto rilevato, al più previste, o comunque con carattere isolato) e di rapporti di B. con altri affiliati (ma i contatti riguardano al più un solo presunto affiliato, V.), non risulta assistita da congrua e adeguata motivazione. L’ordinanza impugnata merita quindi annullamento in ordine alla posizione B., con rinvio al giudice a quo per nuovo esame.

Il ricorso proposto nell’interesse di S. pone la preliminare questione della valutazione della chiamata in correità del collaboratore di giustizia D.R., successivamente ritrattata, che attribuiva all’indagato il ruolo di ‘senatorè nell’ambito dell’organo decisorio del sodalizio. Il primo motivo del ricorso, che postula l’inutilizzabilità di tali dichiarazioni per effetto della ritrattazione accompagnata dall’esercizio della facoltà di non rispondere, è infondato. Al di là della possibile futura applicabilità dell’art. 500 c.p.p., e quindi della probabile acquisizione in dibattimento delle originarie dichiarazioni del collaborante, ritenuta dal G.i.p., e della circostanza che la ritrattazione si collochi in altro procedimento, valorizzata dal tribunale del riesame, va osservato che la ritrattazione determina, nella fase cautelare, dove non è configurabile sottrazione al contraddittorio, soltanto una questione di attendibilità delle originarie dichiarazioni, non di inutilizzabilità, quest’ultima prospettabile in dibattimento.

E il giudizio di attendibilità espresso dal tribunale, costituisce il punto di approdo di una motivazione logica ed esaustiva, che fa condivisibilmente perno sul carattere particolareggiato delle propalazioni del pentito, reiterate e costanti per un lungo periodo, ed accompagnate da riconoscimenti fotografici. Propalazioni frutto – dopo la sua affiliazione al clan Gaglione legato al clan Moccia, poi alla costola di quest’ultimo diretta da P.F. -, dell’assunzione del ruolo di responsabile per il gruppo Moccia, da novembre 2003 a novembre 2004, dei territori di (OMISSIS), e della creazione, il 1-9-2006 di un gruppo, pure facente capo al clan Moccia, che gestiva le estorsioni su (OMISSIS). Militanza il cui carattere risalente nel tempo, rende plausibile la conoscenza di ruoli e posizioni degli appartenenti all’organigramma del sodalizio, indicati con nomi, soprannomi o mediante i rapporti di parentela con altri affiliati.

Nè va trascurato, ad ulteriore sostegno della conclusione dell’attendibilità della chiamata di correo effettuata da D. nei confronti di S., e quindi dell’infondatezza anche del secondo motivo del ricorso, che il collaborante ha patteggiato la pena per la calunnia (aveva accusato i PP.MM. che lo avevano interrogato, di avergli suggerito le risposte da dare) ascrittagli a seguito della ritrattazione, con ciò dimostrando che la ritrattazione era mendace e che la ragione del voltafaccia non era quella di essere stato imbeccato.

Del pari infondato il terzo motivo, incentrato sulla carenza di motivazione dell’attualità dell’esistenza del clan Moccia sull’assunto che le dichiarazioni D. ben potrebbero riguardare periodi risalenti, quando sia lui che S. militavano pacificamente nel sodalizio.

Il dubbio non ha per contro ragion d’essere se si considera che nell’ordinanza risulta ben precisato che il collaborante ha fatto richiamo a posizioni e ruoli attuali al momento in cui rendeva le dichiarazioni, risultando quindi smentito che abbia fatto riferimenti ad epoche antecedenti. Nè è ravvisarle contraddittorietà tra la descrizione di S. come persona che aveva tirato in barca, e l’attribuzione allo stesso della qualifica di "senatore" del gruppo, segno anzi di evoluzione in crescendo del suo ruolo, da operativo sul campo a componente dell’organo decisionale dell’associazione, come il termine senatore indubbiamente denota.

Coglie invece nel segno il quarto motivo del gravame, laddove prospetta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dei riscontri individualizzanti alle dichiarazioni del pentito.

Invero, pur essendo presumibile che sia in (OMISSIS) che in "(OMISSIS) si identifichi l’Indagato, tuttavia il tribunale non ha fornito sufficiente conto della rilevanza per la posizione S. delle due conversazioni intercettate, indicate come riscontri, con conseguenti, inevitabili ricadute sulla valutazione della gravità del quadro indiziario a carico di questi.

Infatti, quanto alla prima, nell’ordinanza, dopo il richiamo al suo contenuto ( F.S., parlando con tale R., afferma che l’indagato intende pagare una fornitura di cemento Euro 70 e non al prezzo ordinario di Euro 110, poi ricordando che per ogni lavoro occorre avere l’autorizzazione di F., ritenuto F. F.), non ne viene prospettata alcuna interpretazione sintomatica di partecipazione di S. al sodalizio.

Quanto alla seconda conversazione (che si svolge dapprima tra V.A., detto (OMISSIS), e B.S., poi prosegue con persona che B. riconosce come "(OMISSIS), dopo che V. lo ha informato trattarsi di colui che ha cresciuto suo fratello F., e a cui piace giocare a pallone; persona che invita B. a non "far prendere collera" a F.), la conclusione che l’Indagato, con tale ultima espressione, avrebbe inteso rivolgere una raccomandazione all’imprenditore affinchè adempisse, appare meramente ipotetica, non essendo assistita da elementi di qualche spessore, e comunque generica.

Sul punto, quindi, della sussistenza di riscontri individualizzanti alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia D.R. relative a S., l’ordinanza merita annullamento, con rinvio al giudice a quo per nuovo esame.

Entrambi i ricorsi proposti nell’interesse di C.D.S. sono invece privi di fondamento. Il primo motivo del ricorso a firma dell’avv. Ducci, non del tutto comprensibile, è comunque inammissibile in quanto l’asserita incompatibilità del presidente del collegio avrebbe dovuto essere fatta valere mediante la procedura della ricusazione.

Il secondo, terzo e quarto motivo dello stesso ricorso vertono sulla ricorrenza dei gravi indizi, da un lato, dell’attuale esistenza del clan Moccia, dall’altro del concorso esterno di C. nell’associazione, sulla base della ritenuta assenza di prova tanto di suoi contatti con la famiglia Moccia, quanto di sue condotte coessenziali al mantenimento e sviluppo del sodalizio. Per quanto attiene al primo profilo, si rimanda alle considerazioni già svolte trattando la posizione S.. In ordine al secondo, si osserva che, mentre l’assenza di contatti con i vertici dell’associazione, non è decisiva essendo il ruolo attribuito all’indagato quello di fornitore ad alcuni affiliati di schede telefoniche prive di intestazione, sì da ostacolare l’attività investigativa delle forze dell’ordine, è opportuno differire la trattazione dell’altro profilo a quella dell’ottavo motivo del ricorso in esame e dell’altro ricorso nell’interesse di C..

L’infondatezza del quinto e sesto motivo discende dalle considerazioni, che si richiamano in toto, già svolte trattando le questioni dell’utilizzabilità e dell’attendibilità delle dichiarazioni del collaborante D., che ha indicato C. come titolare di negozi di telefonia e fornitore agli affiliati di schede telefoniche e telefoni cellulari privi di intestazione, e come soggetto sempre a disposizione dell’organizzazione.

Del pari motivata risulta, nel provvedimento impugnato, la conclusione dell’attendibilità, messa in discussione con il settimo motivo, dell’altro pentito, O.C., che ha descritto il ruolo del ricorrente negli stessi termini di D.. Anche in questo caso il tribunale del riesame ha puntualmente indicato le ragioni, atte a sottrarre la motivazione alle censure mosse, per le quali O., a suo dire mai formalmente affiliato al clan Moccia, ma figlio e nipote di due esponenti di spicco di esso, sia da ritenere attendibile, avendo, da un lato, riferito di reati commessi da suoi stretti familiari -il padre C. e lo zio P., organizzatori di incontri domenicali nell’autolavaggio gestito dalla famiglia, in cui il secondo impartiva ad altri affiliati gli ordini circa l’attività da svolgere nei giorni seguenti-, dall’altro indicato come complici, soggetti raggiunti da convergenti accuse di altri collaboranti, oppure da indizi risultanti da intercettazioni.

Quanto alla questione, oggetto dell’ultimo motivo del ricorso dell’avv. Ducci, e di quello dell’avv. Senese, della sussistenza dei gravi indizi relativi sia alla rilevanza causale della condotta per la realizzazione del fatto criminoso collettivo e per la lesione del bene giuridico protetto, sia all’elemento psicologico, che richiede la consapevolezza dei metodi e fini dell’associazione, si osserva che, con motivazione esente dai vizi dedotti, il tribunale ha ritenuto che la protratta attività, pacificamente svolta dall’indagato (per il che diventa irrilevante che i suoi negozi fossero siti in (OMISSIS)-, piuttosto che nei pressi di (OMISSIS)), di fornitura agli affiliati di telefoni cellulari e di schede telefoniche privi di intestazione, assumesse, con elevato grado di gravità indiziaria, efficacia causale di cosciente contributo al rafforzamento degli scopi del sodalizio, essendo finalizzata a consentire agli affiliati di ostacolare le indagini sottraendosi all’opera di captazione posta in essere dalle forze dell’ordine, come risulta dalle convergenti dichiarazioni dei pentiti D. e O., indicanti C. come soggetto tra l’altro sempre a disposizione dell’organizzazione, riscontrate dal contenuto delle intercettazioni. A queste ultime è stata correttamente riconosciuta natura di riscontri individualizzanti, grazie al loro tenore, tutt’altro che neutro, indice del fatto che alcuni affiliati al clan ( L., V., Ci., la Ce., F. e la compagna di questi, Ciotola) erano soliti rivolgersi a lui per ottenere cellulari "sicuri". E’ il caso della conversazione, puntualmente evocata nell’ordinanza, in cui V. e L., sospettando di essere intercettati, si ripropongono di cambiare cellulare rivolgendosi per l’appunto a R. (l’indagato C.D.S.). La C., dal canto suo, chiamando l’indagato con il diminutivo di " R.", non manca di chiedergli "due sicure e senza numero dietro", così come alcuni mesi prima gli aveva chiesto "due telefoni nuovi" per conto del compagno.

Ulteriore conferma della consapevolezza di C. di operare a supporto dell’organizzazione, si trae, come pure il tribunale non ha mancato di evidenziare, dalla segnalazione telefonica del pericolo incombente, rappresentato dalla perlustrazione aerea sopra il covo del F. da parte delle forze dell’ordine, da lui effettuata in una ulteriore conversazione intercettata, in cui non solo dimostra di ben conoscere l’ubicazione del covo stesso, ma usa un linguaggio atto a dissimulare il vero oggetto della conversazione. Dato che, in sinergia con le altre risultanze già evidenziate, induce ad escludere che sia integrato il meno grave reato di favoreggiamento personale del F.. Al rigetto dei ricorsi di C.D. S. segue la sua condanna al pagamento delle spese.

P.Q.M.

La Corte annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alle posizioni di S.S. e B.A., con rinvio al Tribunale del Riesame di Napoli per nuovo esame; rigetta il ricorso di C.D.S.R., che condanna al pagamento delle spese del procedimento. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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