Cass. civ. Sez. III, Sent., 27-01-2012, n. 1194 Opposizione al precetto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

p. 1. A.R. ha proposto ricorso straordinario per cassazione contro M.L. avverso la sentenza del 16 dicembre 2008, con la quale il Giudice di Pace di Susa – a seguito di riassunzione conseguente a declaratoria di incompetenza per valore da parte del Tribunale di Torino davanti al quale era stata proposta – ha provveduto sull’opposizione da lui introdotta avverso un precetto intimatogli il 1 marzo 2007 dalla M. per il pagamento di Euro 1.897,58 a titolo di mancato integrale pagamento del 50% delle spese mediche e scolastiche per la figlia A., sulla base di titolo esecutivo rappresentato da verbale di separazione consensuale dei coniugi del 21 aprile 1999, omologato dal Tribunale di Torino.

L’intimata non ha resistito al ricorso.

Motivi della decisione

p.1. Con il primo motivo si deduce "violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 166 c.p.c. nonchè degli artt. 155 ss. c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3".

Il motivo è concluso dal seguente quesito di diritto: "in presenza di un’azione fondata da una parte su di uno specifico titolo esecutivo, contestato nel merito dall’altra parte, il Giudice non può porre a fondamento della propria decisione un diverso titolo esecutivo, non allegato nè richiamato dalle parti nei propri atti.

Il titolo esecutivo deve sussistere quando l’azione esecutiva è minacciata o iniziata e la sua validità ed efficacia debbono permanere durante tutto il corso della fase esecutiva, sino al suo termine finale, non potendosi dare inizio ad un’azione esecutiva in sua assenza per poi allegarlo successivamente". p.1.1. Il Collegio rileva che il riportato quesito è inidoneo ad assolvere al requisito di cui all’art. 366-bis c.p.c..

Questa norma è applicabile al ricorso nonostante l’abrogazione intervenuta il 4 luglio 2009 per effetto dell’art. 47 della stessa legge. L’art. 58, comma 5, della legge ha, infatti, sostanzialmente disposto che la norma abrogata rimanesse ultrattiva per i ricorsi notificati – come nella specie – dopo quella data avverso provvedimenti pubblicati anteriormente (si vedano: Cass. (ord.) n. 7119 del 2010; Cass. n. 6212 del 2010 Cass. n. 26364 del 2009; Cass. (ord.) n. 20323 del 2010). Nel contempo, non avendo avuto l’abrogazione effetti retroattivi l’apprezzamento dell’ammissibilità dei ricorsi proposti, come quello in esame, introdotto con notificazione perfezionatasi – anche dal punto di vista del notificante – il 29 giugno 2009, anteriormente a quella data continua a doversi fare sulla base della norma abrogata, che ha dispiegato i suoi effetti regolatori del contenuto del ricorso al momento in cui era pienamente vigente e non ha visto elisi detti effetti.

Ora, il sopra riprodotto quesito pone nella sua prima parte un interrogativo del tutto astratto e privo di alcun riferimento alla decisione impugnata e nella seconda enuncia – con implicita consequenzialità rispetto alla prima parte – un principio che dovrebbe rappresentare la corretta risposta al quesito.

In tali termini il quesito appare, però, pur potendo evocare astratti principi normativi di doverosa conoscenza per questa Corte, assolutamente privo del requisito della conclusività, necessario perchè la formulazione del quesito possa assolvere al suo scopo.

L’art. 366-bis c.p.c., infatti, quando esigeva che il quesito di diritto dovesse concludere il motivo imponeva che la sua formulazione non si presentasse come la prospettazione di un interrogativo giuridico del tutto sganciato dalla vicenda oggetto del procedimento, bensì evidenziasse la sua pertinenza ad essa. Invero, se il quesito doveva concludere l’illustrazione del motivo ed il motivo si risolve in una critica alla decisione impugnata e, quindi, al modo in cui la vicenda dedotta in giudizio è stata decisa sul punto oggetto dell’impugnazione e criticato dal motivo, appare evidente che il quesito, per concludere l’illustrazione del motivo, doveva necessariamente contenere un riferimento riassuntivo ad esso e, quindi, al suo oggetto, cioè al punto della decisione impugnata da cui il motivo dissentiva, sì che ne risultasse evidenziato – ancorchè succintamente – perchè l’interrogativo giuridico astratto era giustificato in relazione alla controversia per come decisa dalla sentenza impugnata. Un quesito che non presenta questa contenuto è, pertanto, un non-quesito (si veda, in termini, fra le tante, Cass. sez. un. n. 26020 del 2008; nonchè n. 6420 del 2008).

E’ da avvertire che l’utilizzo del criterio del raggiungimento dello scopo per valutare se la formulazione del quesito sia idonea all’assolvimento della sua funzione appare perfettamente giustificato dalla soggezione di tale formulazione, costituente requisito di contenuto-forma del ricorso per cassazione, alla disciplina delle nullità e, quindi, alla regola dell’art. 156 c.p.c., comma 2, per cui all’assolvimento del requisito non poteva bastare la formulazione di un quesito quale che esso fosse, eventualmente anche privo di pertinenza con il motivo, ma occorreva una formulazione idonea sul piano funzionale, sul quale emergeva appunto il carattere della conclusività. Da tanto l’esigenza che il quesito rispettasse i criteri innanzi indicati.

Per altro verso, la previsione della necessità del quesito come contenuto del ricorso a pena di inammissibilità escludeva che si potesse utilizzare il criterio di cui all’art. 156 c.p.c., comma 3, posto che quando il legislatore qualifica una nullità di un certo atto come determinativa della sua inammissibilità deve ritenersi che abbia voluto escludere che il giudice possa apprezzare l’idoneità dell’atto al raggiungimento dello scopo sulla base di contenuti desunti aliunde rispetto all’atto: il che escludeva che il quesito potesse integrarsi con elementi desunti dal residuo contenuto del ricorso, atteso che l’inammissibilità era parametrata al quesito come parte dell’atto complesso rappresentante il ricorso, ivi compresa l’illustrazione del motivo (si veda, in termini, già Cass. (ord.) n. 16002 del 2007; (ord.) n. 15628 del 2009, a proposito del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6).

E’, altresì, da avvertire, che l’intervenuta abrogazione dell’art. 366-bis c.p.c. non può determinare – in presenza di una manifestazione di volontà del legislatore che ha mantenuto ultrattiva la norma per i ricorsi proposti dopo il 4 luglio 2009 contro provvedimenti pubblicati prima ed ha escluso la retroattività dell’abrogazione per i ricorsi proposti antecedentemente e non ancora decisi – l’adozione di un criterio interpretativo della stessa norma distinto da quello che la Corte di Cassazione, quale giudice della nomofilachia anche applicata al processo di cassazione, aveva ritenuto di adottare anche con numerosi arresti delle Sezioni Unite.

L’adozione di un criterio di lettura dei quesiti di diritto ai sensi dell’art. 366-bis c.p.c. dopo il 4 luglio 2009 in senso diverso da quanto si era fatto dalla giurisprudenza della Corte anteriormente si risolverebbe, infatti, in una patente violazione dell’art. 12 preleggi, comma 1, posto che si tratterebbe di criterio contrario all’intenzione del legislatore, il quale, quando abroga una norma, tanto più processuale, e la lascia ultrattiva o comunque non assegna effetti retroattivi all’abrogazione, manifesta non solo una voluntas nel senso di preservare l’efficacia della norma per la fattispecie compiutesi anteriormente all’abrogazione e di assicurarne l’efficacia regolatrice rispetto a quelle per cui prevede l’ultrattività, ma anche una implicita voluntas che l’esegesi della norma abrogata continui a dispiegarsi nel senso in cui antecedentemente è stata compiuta. Per cui l’interprete e, quindi, anche la Corte di Cassazione ai sensi dell’art. 65 dell’Ordinamento Giudiziario, debbono conformarsi a tale doppia voluntas e ciò ancorchè, in ipotesi, l’eco dei lavori preparatori della legge abrogativa riveli che l’abrogazione possa essere stata motivata anche e proprio dall’esegesi che dia norma sia stata data. Invero, anche l’adozione di un criterio esegetico che tenga conto della ragione in mente legislatori dell’abrogazione impone di considerare che l’esclusione dell’abrogazione in via retroattiva ed anzi la previsione di una certa ultrattività per determinate fattispecie sempre in mente legislatoris significhino voluntas di permanenza dell’esegesi affermatasi, perchè il contrario interesse non è stato ritenuto degno di tutela.

Il primo motivo è, dunque, inammissibile perchè si conclude con un quesito inidoneo al rispetto dell’art. 366-bis c.p.c.. p.1.2. Il detto motivo sarebbe, comunque, inammissibile anche perchè mette di indicae specificamente gli atti ed i documenti sui quali si fonda.

Vi si fa riferimento, infatti, al verbale di separazione consensuale fra i coniugi omologato il 17 maggio 1999, del quale si riproduce il contenuto per la parte che sorreggerebbe il motivo, ma non si indica se e dove venne prodotto e da chi in sede di merito e, soprattutto, se e dove sia stato prodotto in questa sede di legittimità, al fine di consentire alla Corte di esaminarlo per riscontrare le allegazioni illustrative del motivo. Tali indicazioni non risultano fornite nemmeno nella parte espositiva del fatto.

Analoghe considerazioni merita il riferimento al precetto intimato dalla M., sul quale pure il motivo si fonda.

Stessa cosa dicasi per il riferimento al provvedimento presidenziale del 5 luglio 2007, del quale, peraltro, ambiguamente successivamente si deduce che no si rinverrebe in atti alcun elemento da cui ritrarre l’esistenza del provvedimento, il che non consente di comprendere se si voglia dire che l’atto non era stato introdotto in giudizio, pur avendo vis fatto riferimento il Giudice di Pace.

In tal modo risultano inosservati i principi sanciti da consolidata giurisprudenza di questa Corte sull’esegesi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, norma costituente il precipitato normativo del principio di autosufficienza (si vedano Cass. sez. un. n. 28547 del 2008 e n. 7161 del 2010, fra tante; da ultimo Cass. sez. un. n. 22726 del 2011). p.2. Con il secondo motivo si denuncia "violazione e falsa applicazione dell’art. 474 c.p.c. nonchè degli artt. 155 e ss. c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3".

Il motivo è concluso dal seguente quesito di diritto: "il verbale di omologa della separazione consensuale dei coniugi, di cui all’art. 155 c.c., comma 1, non costituisce titolo esecutivo, ex art. 474 c.p.c., i favore di un coniuge per l’immediata ripetizione, nei confronti dell’altro coniuge cui sono pose a carico in misura pro quota, delle spese straordinarie sostenute in favore dei figli minori, essendo necessario un ulteriore intervento del Giudice, volto ad accertare l’avveramento dell’evento futuro e incerto cui è subordinata l’efficacia della condanna, ossia la effettiva sopravvenienza degli specifici esborsi contemplati dal titolo e la relativa entità, no suscettibili di essere desunti sulla base degli elementi di fatto contenuti nella prima pronuncia, in quanto ivi indicati solo con riferimento alla tipologia di spese". p.2.1. Anche questa formulazione prospetta una quaestio iuris del tutto astratta, mancando di ogni riferimento pur succinto alla decisione impugnata ed alla vicenda concreta da essa giudicata, onde per esso valgono le medesime considerazioni svolte a proposito del quesito di cui al primo motivo e, dunque, la conclusione che esso è inidoneo ad assolvere al requisito dell’art. 366-bis c.p.c.. p.2.2. Il motivo è, comunque, nuovamente inammissibile anche per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, perchè si fonda sul precetto e sul verbale di separazione omologato, riguardo ai quali continua a mancare l’indicazione specifica nei termini di cui ala ricordata giurisprudenza. p.3. Con il terzo motivo si torna a denunciare "violazione e falsa applicazione dell’art. 474 c.p.c. nonchè degli artt. 155 e ss. c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3", oltre che "omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia i relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5". p.3.1. Il motivo (che, per quanto attiene al quesito in questa occasione non impinge nell’inidoneità segnalata a proposito dei precedenti motivi, atteso che vi si fa un riferimento alla decisione impugnata, con l’evocare "il giudice") è inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, perchè si fonda nuovamente sul contenuto del verbale di separazione omologata e del precetto, riguardo ai quali continua a mancare l’indicazione specifica nei termini già enunciati a proposito degli altri due motivi. p.4. Il quarto motivo prospetta "violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3", ma non si conclude con la formulazione di alcun quesito di diritto, pur necessario (si vedano, ex multis, Cass. (ord.) n. 4329 del 2009; (ord.) n. 1310 del 2010; sent. n. 5146 del 2011) e per tale ragione è anch’esso inammissibile. p.5. Conclusivamente, stante l’inammissibilità di tutti e quattro i motivi, il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile.

Non è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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