Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 23-06-2011) 22-09-2011, n. 34458 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. A seguito di appello del Pubblico Ministero contro il rigetto, da parte del gip, della richiesta misura cautelare, il Tribunale del riesame di Brescia ha disposto la custodia cautelare in carcere nei confronti di C.R. in relazione alla contestazione del reato di violenza sessuale commesso, quale medico di base del servizio sanitario, in danno di una sua giovane paziente.

2. La Corte di Cassazione ha annullato la ordinanza custodiale nella parte relativa alla adeguatezza della misura, rilevando che, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 265 del 2010, occorreva individuare positivamente le ragioni per le quali le esigenze cautelari non potevano essere soddisfatte con misure diverse dalla custodia in carcere.

3. Il Tribunale della libertà di Brescia, in sede di rinvio, ha rinnovato il giudizio sulla sussistenza del pericolo di reiterazione del reato; ha rilevato che la decisione dell’indagato di autosospendersi dall’esercizio della professione medica e di trasferirsi in un’altra regione induceva a ritenere che il medesimo fosse disponibile alla spontanea osservanza delle prescrizioni inerenti una misura custodiale meno grave e precisamente degli arresti domiciliari; ha ritenuto tuttavia non applicabile una tale misura in quanto l’indagato non aveva fornito indicazioni circa un domicilio idoneo all’esecuzione della misura e non era noto l’attuale domicilio dell’indagato che si era trasferito dalla Regione Lombardia alla Regione Basilicata.

4. Avverso tale ordinanza ha presentato ricorso per cassazione il difensore dell’imputato. Con un primo motivo deduce violazione di legge e difetto di motivazione per quanto riguarda la valutazione circa il pericolo di recidiva. Evidenzia la contraddizione tra l’aver ritenuto che il reato fosse connesso alle condizioni di lavoro dell’indagato e il non aver preso atto della volontaria autosospensione del medesimo dall’esercizio della professione, oltre che del volontario allontanamento ad altro luogo, lontano da quello di commissione del reato. L’ordinanza riconduce la violenza sessuale contestata ad una sorta di propensione dell’indagato al soddisfacimento sessuale "in altri contesti agevolati", ma non spiega sulla base di quale elementi abbia potuto ritenere esistente una tale generale propensione e di quali contesti si tratti.

Con un secondo motivo censura la mancata concessione degli arresti domiciliari collegata ad una preteso inadempimento da parte della difesa di un onere informativo circa il luogo dove poterli effettuare, onere non previsto dal codice e comunque relativo ai profili esecutivi della misura e non i presupposti applicativi;

sostiene che, in ogni caso, tale onere risultava ampiamente assolto posto che la disciplina relativa alla autosospensione e al procedimento disciplinare avviato dal consiglio dell’Ordine dei medici, acquisita dal Tribunale nel corso dell’udienza camerale, contiene compiuta indicazione dell’attuale domicilio dell’indagato.

Motivi della decisione

1. Il ricorso non merita accoglimento.

In ordine al primo motivo di ricorso, la motivazione fornita dal Tribunale in ordine alla ribadita esistenza di esigenze cautelari collegate al pericolo di reiterazione del reato è assolutamente congrua ed esente da contraddizioni. Il Tribunale ha infatti osservato che le modalità di esecuzione della violenza deponevano per una scaltrezza e pervicacia di esecuzione che escludeva la occasionalità del comportamento e la esclusiva riconducibilità del medesimo all’esercizio della professione medica, indicando invece l’esistenza di desideri e impulsi sessuali incontenibili da soddisfare ad ogni possibile occasione. Trattasi di valutazione che può essere certamente non condivisibile, specie dal punto di vista della difesa, ma che non contiene contraddizioni logiche tali da inficiarne la tenuta. E’ altresì opportuno al riguardo ricordare che l’art. 275, comma 3, prevede una presunzione di natura relativa attinente alle esigenze cautelari per il reato in esame, esigenze che il giudice deve ritenere sussistenti salvo che consti la prova della loro mancanza. Tale presunzione non è stata toccata dalla sentenza della Corte Costituzionale ed è stata richiamata dal Tribunale nel ribadire, peraltro ad abundantiam non essendo stato il punto oggetto di annullamento da parte di questa Corte, che la sospensione dalla professione medica, dedotta dalla difesa a sostegno del venire meno delle esigenze cautelari, non faceva venire meno la necessità di una misura cautelare, non essendo il reato indissolubilmente collegato all’esercizio di tale professione. Il Tribunale è poi passato ad esaminare il tema della adeguatezza della misura, che costituiva lo specifico oggetto del giudizio di rinvio per effetto dell’annullamento disposto da questa Corte a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 265 del 2010. Come già si è detto, ha in proposito rilevato che la decisione dell’indagato di autosospendersi dall’esercizio della professione medica induceva a ritenere che il medesimo fosse disponibile alla spontanea osservanza delle prescrizioni inerenti una misura custodiate meno grave della custodia in carcere e precisamente degli arresti domiciliari; ha ritenuto tuttavia in concreto non applicabile una tale misura in quanto l’indagato non aveva fornito indicazioni circa un domicilio idoneo all’esecuzione della misura e neppure era noto l’attuale domicilio dell’indagato che si era trasferito dalla Regione Lombardia alla Regione Basilicata.

Il ricorrente contesta questa decisione sostenendo che il luogo di esecuzione della misura sarebbe sostanzialmente ininfluente risolvendosi in una semplice modalità esecutiva e che comunque dagli atti risultava il domicilio del ricorrente. Le censure sono infondate.

L’individuazione del luogo dove devono svolgersi gli arresti domiciliari non è, come sembra ritenere il ricorrente, elemento accessorio rispetto al provvedimento stesso, tanto da potersi considerare irrilevante e rimesso ad un successivo momento esecutivo, ma costituisce elemento essenziale di valutazione che deve essere noto nel momento della relativa decisione. Ciò è reso palese dalla stessa formulazione dell’art. 284 che prevede luoghi diversi in cui possono svolgersi gli arresti domiciliari (la propria abitazione, un altro luogo di privata dimora, un luogo pubblico di cura o di assistenza) oltre che la possibilità, da un lato, di imporre limiti ai contatti con terze persone e, dall’altro, di autorizzare l’imputato a svolgere quelle attività che risultino indispensabili alle sue esigenze di vita. E’ di tutta evidenza che tali prescrizioni presuppongono la conoscenza del luogo dove devono svolgersi gli arresti domiciliari al fine di consentire al giudice una valutazione sulla concreta idoneità della misura, indispensabile per operare consapevolmente quella scelta di adeguatezza imposta dall’art. 275 c.p.p., comma 1, secondo il quale "nel disporre le misure, il giudice tiene conto della specifica idoneità di ciascuna in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto".

Tanto precisato, rileva il Collegio che nè dalla memoria difensiva prodotta dalla difesa al Tribunale del riesame nè dai documenti ad essa allegati, attinenti la autosospensione del C. e il procedimento disciplinare nei suoi confronti, è indicato un domicilio del medesimo; neppure un tale domicilio risulta dagli altri atti processuali pervenuti a questa Corte, avendo tra l’altro il C. eletto domicilio ai fini del procedimento presso il proprio difensore di fiducia. Non si vede dunque come il Tribunale avrebbe potuto disporre gli arresti domiciliari in assenza della indicazione di un qualsivoglia luogo di domicilio del C..

Peraltro neppure con il presente ricorso è stata fornita una tale indicazione, essendosi limitato il difensore a rinviare, come già si è detto ai documenti prodotti davanti al Tribunale del riesame che però, come pure già si è osservato, non contengono tale indicazione; ne deriva la mancanza di autosufficienza del ricorso che costituisce ulteriore causa di infondatezza dello stesso.

2.Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmesso al competente Tribunale Distrettuale del riesame perchè provveda a quanto stabilito nell’art. 92 disp. att. c.p.p..

Manda alla cancelleria, al Direttore dell’Istituto Penitenziario competente per gli immediati provvedimenti a mezzo fax.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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